Shantideva

Shantideva

Shantideva (pandita indiano vissuto nell’VIII sec. d.C.) era un grande erudito e saggio e un perfetto praticante di Dharma, ma poiché lo faceva in modo discreto gli altri monaci pensavano il contrario, anzi, che si occupasse solo di tre cose: dormire, mangiare e digerire, e per questo fu soprannominato ‘colui che compie tre sole attività’.
Nell’università monastica di Nalanda di cui faceva parte, a quel tempo vi erano grandi studiosi, i quali non amavano il suo modo di fare – che per loro era motivo di vergogna – e perciò escogitarono un trucco per essere legittimati a espellerlo, stabilendo che a turno ogni monaco avrebbe dovuto dare degli insegnamenti. Quando fu la volta di Shantideva, per schernirlo prepararono un trono molto alto privo di gradini per salirci, ma Shantideva arrivò, con una mano abbassò il trono, e quindi vi prese posto.
Dopo questa dimostrazione di grandi poteri, chiese ai monaci lì riuniti che tipo di insegnamenti desiderassero, se su qualche argomento nuovo oppure no, e uno di loro rispose: “Visto che ti distingui perché mangi tanto, allora da te vogliamo sentire qualcosa che non è ancora stato ascoltato”.
Fu così che Shantideva cominciò a esporre il Bodhisattvacharyavatara, e tutti rimasero stupiti, perché in effetti si trattava di insegnamenti profondi, che rivelavano una grande comprensione spirituale.
Arrivato al IX capitolo, iniziò a sollevarsi dal trono e a sparire verso l’alto, e solo i pandita che avevano particolari realizzazioni riuscirono ad ascoltarlo a distanza e ad annotare quanto diceva.
Erano versi che combinavano bellezza poetica a raffinatezza dialettica e a un’enorme forza ispiratrice, e in quanto tali ancor oggi, oltre a costituire un testo base del buddhismo mahayana, si rivelano in generale come una fonte preziosa cui attingere per arricchire il proprio mondo interiore.

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