Commentario al Bodhisattvacharyavatara

Commentario al Bodhisattvacharyavatara

Ghesce Yesce Tobden (Chiara Luce Edizioni – 2014, 4° Ed.)

Prefazione di Sua Santità il XIV Dalai Lama, per la 2° Edizione del Commentario

Il Bodhisattvacharyavatara è stato composto dal famoso erudito indiano Shantideva, riconosciuto da tutte le scuole buddhiste in Tibet come uno dei maestri più degni di fiducia, e come una fonte di grande ispirazione. Il libro si concentra principalmente sulla coltivazione e l’accrescimento della mente del risveglio di bodhicitta, e in quanto tale è un testo mahayana. Inoltre la visione filosofica di Shantideva, come è rivelato in particolare nel nono capitolo sulla saggezza, segue la tradizione Madhyamaka-Prasangika di Chandrakirti.
L’enfasi maggiore del testo viene posta sul nutrire una mente che desidera beneficiare gli altri esseri senzienti. Nel corso della mia vita ho letto molte volte questo testo e ne ho ascoltato spiegazioni, ho riflettuto a fondo sul suo significato e ho pure avuto la fortuna di insegnarlo io stesso in molte occasioni. Di conseguenza ho una certa esperienza in merito ai consigli che vi sono contenuti e posso certamente affermare che continuano a essere applicabili e utili anche oggi. Se sinceramente cerchiamo di mettere in pratica l’essenza di questi insegnamenti, non avremo dubbi sulla loro efficacia. 
Coltivare qualità come l’amore, la compassione, la generosità e la pazienza non solo è vantaggioso a livello personale, ma è di aiuto per tutti gli esseri senzienti e persino per il mantenimento dell’armonia nell’ambiente. Questo è il motivo per cui incoraggio le persone a seguire queste pratiche, non semplicemente per preservare la tradizione.
Il presente lavoro contiene una completa e pratica guida di ghesce Yesce Tobden al Bodhisattvacharyavatara. Egli possiede la rara caratteristica distintiva non solo di essere qualificato come erudito, ma anche di aver acquisito una conoscenza profonda attraverso molti anni di meditazione in eremitaggio sulle montagne.
Come risultato di ciò, la sua spiegazione di tali insegnamenti avrà la speciale fragranza derivante da una calda e autentica esperienza personale.
Mi rallegro nel sapere che venga pubblicata in italiano la trascrizione del commentario dato da Ghesce-la, e offro le mie preghiere affinché i lettori possano essere ispirati ad accoglierlo nel cuore, per la più grande pace e felicità di tutti gli esseri senzienti.

29 Giugno 1999              Il Dalai Lama

Commentario Bodhisattvacharyavatara

Il Bodhisattvacharyavatara insegna come praticano i bodhisattva ed è stato composto da Shantideva per il nostro beneficio: lo ha lasciato con il medesimo amore che una madre potrebbe avere per il proprio figlio nello scrivere un testamento prima di morire! Siamo veramente fortunati di poter ascoltare o conoscere questo testo e io stesso considero un privilegio poter dare insegnamenti su di esso.
Quando abbandoneremo questa esistenza dovremo lasciare tutti i possedimenti e le ricchezze che consideriamo così importanti, gli amici, i parenti, le persone care che al momento ci sono così vicine, i nostri genitori che hanno tanto amore per noi ma, se lo avremo praticato, il Dharma non ci abbandonerà e, se non lo avremo distrutto con odio e visioni errate, il karma positivo potrà venire con noi. Se realizzeremo la rinuncia alle esistenze condizionate, la grande compassione e la giusta comprensione del modo di esistere dei fenomeni, sarà impossibile per i difetti mentali annientare questa nostra ricchezza interiore. Per tale motivo il Dharma è la cosa più importante e preziosa, quindi è necessario praticarlo, ma per farlo dobbiamo prima conoscerlo e attraverso il testo del Bodhisattvacharyavatara stiamo tentando di impararlo, con qualcuno che cerca di dare insegnamenti e altri che cercano di ascoltarli.
La pratica del Dharma non deve dipendere dall’aiuto che possiamo avere dagli altri, ma solo da noi stessi. Finché dimoriamo nell’esistenza condizionata non saremo di nessun vero aiuto per gli altri esseri, dobbiamo quindi ottenere lo stato di buddha per essere in grado di farlo, e con tale proposito decidiamo di intraprendere la condotta dei bodhisattva, attraverso la pratica delle sei paramita. Ma per comprendere il Bodhisattvacharyavatara, un insegnamento mahayana, prima dobbiamo prepararci attraverso i vari stadi del sentiero hinayana. Ci sono tre livelli di praticanti: inferiore, medio e superiore. Quando saremo preparati nei primi due, allora saremo pronti per gli insegnamenti mahayana. Ora occorre riflettere, confrontare le spiegazioni date con le nostre esperienze personali, e cercare di avere una comprensione chiara di quanto viene esposto.

1983 – Centro Lama Tzong Khapa, Villorba (TV) Ghesce Yesce Tobden

Agosto 2000. Nello studio privato del Dalai Lama a McLeod Ganj.
Ricevuti consigli per la realizzazione della versione inglese del Commentario al Bodhisattvacharyavatara di Ghesce Yesce Tobden.
Questo testo e le successive versioni in tedesco (2003 Diamant Verlag) e in inglese (2005 Wisdom Publication) sono state le prime pubblicazioni a cura dell’Associazione Culturale La Ruota del Dharma.



Come è noto Richard Gere è profondamente devoto al Dalai Lama, suo principale maestro spirituale, ed è un attivo sostenitore e testimonial della causa a favore del Tibet. Fu proprio il Dalai Lama a parlargli di Ghesce Yesce Tobden – presentandoglielo come un meditatore erudito verso il quale nutriva profonda stima e apprezzamento – e Richard Gere ebbe già modo di conoscerlo a New York nel 1989 durante un suo breve soggiorno negli U.S.A., invitato da suoi vecchi discepoli. Qualche anno dopo si trovò a McLeod Ganj per un’udienza privata col Dalai Lama, così pensò di andare a visitare Ghesce-là nel suo eremo in montagna, e Losang Dondhen lo accompagnò e gli fece da traduttore. Durante il colloquio, Richard Gere espresse a Ghesce Tobden il suo profondo desiderio di ricevere insegnamenti sulla vacuità e il rammarico di non poterne avere occasione per via dei suoi tanti impegni di lavoro. Allora Ghesce-là lo informò che era da poco stato pubblicato (1997) in italiano il suo Commentario al Bodhisattvacharyavatara, il cui nono capitolo tratta specificamente della Perfezione della Saggezza e quindi del soggetto vacuità. A quel punto, quando Richard Gere dispiaciuto gli fece presente di non conoscere l’italiano, Ghesce-là gli suggerì di sponsorizzarne la traduzione in inglese, in modo da poterlo poi studiare, e di contattare la curatrice Fiorella Rizzi per procedere. In effetti il progetto partì, e giunse a conclusione nel 2005, con la pubblicazione del testo inglese per i tipi della Wisdom Publication, che nel 2017 ha anche prodotto una seconda edizione.

Presentazione del testo radice
e
Commento al 1° capitolo:
I benefici della mente dell’illuminazione

Il Bodhisattvacharyavatara conserva il titolo sanscrito perché fu composto dall’acharya Shantideva e solo in seguito tradotto in tibetano. 
Shantideva era un perfetto praticante di Dharma ma, poiché lo faceva in modo discreto, gli altri monaci pensavano non lo praticasse e, anzi, che si occupasse solo di tre cose: mangiare, dormire e defecare e per questo fu soprannominato ‘colui che compie tre sole attività’.
Nell’università monastica di Nalanda, di cui faceva parte, a quel tempo (VIII sec. d.C.) vi erano grandi studiosi, ai quali non piaceva il modo di fare di Shantideva, che per loro era motivo di vergogna, e perciò escogitarono un trucco per essere legittimati a espellerlo, stabilendo che ogni monaco periodicamente avrebbe dovuto dare degli insegnamenti. Quando fu la volta di Shantideva, per schernirlo prepararono un trono molto alto senza gradini per salirci, ma Shantideva arrivò, con una mano abbassò il trono e vi prese posto. Dopo questa dimostrazione di grandi poteri, chiese ai monaci lì riuniti che tipo di insegnamenti desiderassero, se su qualche argomento nuovo oppure no e un pandita rispose: “Visto che ti distingui perché mangi tanto, allora da te vogliamo sentire qualcosa che non è ancora stato ascoltato”. 
Così Shantideva cominciò a insegnare il Bodhisattvacharyavatara e tutti rimasero stupiti, perché effettivamente si trattava di insegnamenti profondi, rivelatori di una grande comprensione spirituale. Arrivato al nono capitolo, iniziò a sollevarsi dal trono e a sparire verso l’alto, e solo i pandita che avevano particolari realizzazioni riuscirono ad ascoltarlo a distanza e ad annotare quanto diceva, e lo pregarono di non abbandonarli.
 
In Tibet esisteva una volta un decreto reale per il quale ogni testo che veniva tradotto dal sanscrito doveva risultare incluso in uno dei tre cesti (pitaka):
• Vinayapitaka (insegnamenti riguardanti la disciplina o moralità),
• Sutrapitaka (insegnamenti riguardanti la concentrazione),
• Abhidharmapitaka (insegnamenti riguardanti la saggezza).
Per contraddistinguere ogni testo tradotto ed indicare a quale gruppo appartenesse lo si doveva introdurre con un verso di omaggio rivolto a Buddha se incluso nel Vinayapitaka, a tutti i buddha e bodhisattva se appartenente al Sutrapitaka, o a Manjushri se parte dell’Abhidharmapitaka. 
All’inizio del testo che stiamo studiando adesso c’è un unico verso in tibetano, del traduttore: “Omaggio a tutti i buddha e bodhisattva” che sta quindi a indicare la sua appartenenza al Sutrapitaka.
Era tradizione letteraria quella di esprimere in versi l’omaggio e la determinazione a proseguire nella composizione del testo fino alla fine, perché il lavoro avesse successo e non incontrasse ostacoli, ma sempre quando iniziamo qualsiasi lavoro è bene pregare i Tre Gioielli perché non vi siano interferenze e possiamo concluderlo nel migliore dei modi.
Ai versi di omaggio della prima stanza seguono appunto quelli con i quali Shantideva si impegna a portare a termine la composizione del testo, dal momento che quando una persona saggia fa una promessa non la lascia incompiuta. È poi spiegato il motivo per cui è stato scritto, di modo che iniziando a leggere lo si venga subito a conoscere e la comprensione ne risulti facilitata.
Il testo recita: “Con rispetto mi prostro ai Sugata, che sono dotati del dharmakaya”. (st.1)
I sugata – coloro che sono andati nella beatitudine – sono i buddha, i quali possiedono il dharmakaya, avendo la loro mente perfettamente purificato tutti i difetti e accumulato tutte le virtù, e sono dotati inoltre dei due corpi della forma. Ci sono tre caratteristiche dell’eliminazione dei difetti nella mente di un buddha: tale eliminazione è perfetta, è permanente, e riguarda i difetti mentali in tutti i loro aspetti. 
Una persona in perfetta concentrazione, in samadhi, riesce a non percepire i cinque aggregati del reame del desiderio come attraenti e ne elimina tale apparenza ingannevole, riconoscendola come una proiezione dell’attaccamento. Nei difetti mentali è presente un livello manifesto e un livello potenziale. Per esempio, ora qui nessuno di noi è arrabbiato, ossia non esiste un odio evidente, però esiste il suo seme. Una persona in samadhi elimina il primo aspetto dei difetti mentali, ma non ancora il secondo. Essa riesce a vedere che gli oggetti ordinari non sono attraenti, e ne distoglie allora la mente, indirizzandola verso il livello superiore, il mondo della forma. L’unico modo per eliminare anche il seme del desiderio, però, è arrivare alla percezione diretta della vacuità, e solo allora si potrà dire di aver eliminato i difetti mentali alla radice. Se non si giunge a tale stato, dopo il samadhi essi possono ancora manifestarsi. Ci sono due sentieri, di differente livello, per eliminare i difetti mentali:
• il sentiero extramondano, in cui si arriva alla diretta percezione della vacuità, e quindi all’eliminazione completa e perfetta dei difetti mentali;
• il sentiero mondano, in cui non giungendo a percepire direttamente la vacuità si elimina solo il livello manifesto dei difetti stessi. Quest’ultimo sentiero può essere seguito anche dai non-buddhisti, come i rishi.
L’eliminazione delle oscurazioni da parte di un buddha è poi superiore anche a quella degli arhat del sentiero hinayana, avendo questi ultimi eliminato anche il seme dei difetti mentali, ma non l’ostruzione all’onniscienza, dovuta al permanere delle loro impronte.
La nostra mente, come quella di tutti gli esseri, è della natura della vacuità, cioè priva sin dall’inizio di esistenza intrinseca. Negli esseri ordinari però la mente, pur incontaminata per natura, temporaneamente è oscurata, mentre nello stato di completa illuminazione non è inquinata né per natura né occasionalmente. Essendo la mente per sua natura pura, è possibile ottenere la perfetta illuminazione, dal momento che l’oscurazione è solo temporanea e può quindi essere purificata. Il fuoco per sua natura è caldo, mentre il ferro rovente lo è solo in particolari circostanze; la mente degli esseri per natura è pura, ma contingentemente è oscurata.
 
La prostrazione nel verso iniziale è fatta non solo ai buddha, ma anche a tutti coloro che sono degni di venerazione, cioè i bodhisattva, chiamati ‘nobili figli’ perché eventualmente diventeranno buddha.
Ci sono tre tipi di omaggio: fisico, verbale e mentale. Il motivo per cui lo si porge è di cercare poi per noi stessi le qualità che contraddistinguono gli esseri superiori così venerati.
Gli insegnamenti sui quali stiamo discutendo sono stati dati da Buddha ed è fondamentale indagare all’inizio se egli ci stia effettivamente guidando sul sentiero giusto. A tale scopo occorre analizzare se Buddha possiede saggezza e abilità. I bodhisattva che hanno ottenuto il sentiero della visione possono vedere che le qualità di un buddha sono tante da non poter essere enumerate e cercheremo di conoscerle attraverso loro. Noi non abbiamo avuto la possibilità di incontrare e ascoltare direttamente Buddha, mentre questi bodhisattva hanno la capacità di percepirlo direttamente, però siamo abbastanza fortunati di poter apprendere qualcosa su di lui grazie a loro.
Le qualità di un buddha possono essere suddivise tra quelle che appartengono al corpo, alla parola e alla mente.
 
Elenchiamo i ‘Dieci poteri’ di un buddha:
1.Conosce gli effetti positivi e negativi rispettivamente del karma virtuoso e non virtuoso, senza che possa cadere in contraddizione, ossia conosce ciò che è o non è possibile, e non si può negare la verità di quanto afferma.
2.Conosce anche la più piccola conseguenza di una causa specifica e ogni relazione tra una causa ed il suo effetto. 
Per esempio, nelle piume della coda di un pavone ci sono vari colori, ognuno con una precisa causa, e un buddha le conosce tutte in dettaglio. Grazie a questo potere non esiste domanda a cui non possa rispondere.
3.Conosce le differenti attitudini e disposizioni di ogni individuo, come quella per il sentiero hinayana o per quello mahayana.
Questo potere permette ai buddha di guidare tutti gli esseri a seconda delle loro necessità, particolari bisogni e caratteristiche, e poiché sono in grado di soddisfare le esigenze di ognuno, in tanti li hanno venerati nel passato e li venerano tuttora. Sua Santità il Dalai Lama ha questo stesso potere, perciò ha potuto essere di aiuto a molti.
4.Conosce la natura di ogni individuo, così dà insegnamenti in accordo a essa.
5.Conosce le capacità di ogni individuo, per cui a quelli di capacità elevate offre insegnamenti in forma concisa, mentre agli esseri di capacità inferiori in forma dettagliata ed estesa.
6.Conosce tutti i sentieri con le rispettive cause, per esempio come diventare umani, o deva, come ottenere la liberazione, ecc.
7.Conosce tutti i dharma (fenomeni) che devono essere abbandonati e i dharma che devono essere cercati.
8.Conosce le varie vite precedenti.
9.Conosce le diverse trasmigrazioni degli esseri dell’universo.
10. Conosce la cessazione di ogni difetto mentale.
 
Un buddha ha tutti questi poteri e conoscenze e allora qualsiasi suo consiglio non può che essere giusto e utile per noi. Un esperto dottore è in grado di prestare le più efficaci cure ai suoi pazienti, e così un buddha può essere la guida migliore per un praticante.
 
Ora prendiamo in esame le ‘Quattro mancanze di paura’ proprie di un essere illuminato:
1.Può affermare senza errore di conoscere tutto, e non c’è alcuna possibilità che qualcuno abbia successo sfidandolo.
Se prendiamo tutti gli alberi della terra, li bruciamo, spargiamo la cenere nell’oceano, poi ne prendiamo un po’ e la portiamo a un buddha chiedendogli a quale albero appartenesse ogni singola particella e in quale zona si trovasse, egli è in grado di poter rispondere esattamente a tutto.
Si racconta che Buddha Shakyamuni mandò in un villaggio una persona che non aveva creduto a ciò che le aveva detto riguardo alle sue precedenti rinascite, perché scrivesse i nomi di ogni abitante su dei fogli, che furono chiusi e mescolati, e poi Buddha li indovinò tutti.
2.È in grado di dire, senza timore di essere contraddetto, che le oscurazioni mentali sono di ostacolo al nirvana e che le loro impronte sono di ostacolo alla perfetta illuminazione.
3.Può affermare senza paura che differenti sentieri portano a differenti realizzazioni.
4.Può dichiarare di aver eliminato ogni tipo di ostacolo e di paura.
 
Un buddha possiede le ‘Quattro conoscenze individuali perfette’:
1.Conosce ogni fenomeno dell’universo.
2.Conosce le caratteristiche di ogni fenomeno.
3.Conosce i termini con cui ci si riferisce a tutti i vari fenomeni nel mondo, nelle differenti lingue esistenti.
Non necessita di alcuna traduzione quando dà insegnamenti. Noi crediamo che Sua Santità il Dalai Lama sia un nirmanakaya, una manifestazione di Buddha stesso, e potremmo allora chiederci perché abbia bisogno di un traduttore. Il fatto è che non è venuto come un buddha, altrimenti non avremmo potuto vederlo né riceverne benefici, ma come un essere ordinario, e manifestandosi come tale deve anche agire di conseguenza e mostrare che non conosce le lingue. 
4.Non ha alcun ostacolo alla conoscenza della natura, della categoria e del tipo di ogni fenomeno.
 
Un buddha possiede le ‘Diciotto qualità di conoscenze non condivise’:
1.Quando un elefante pazzo lo carica non ha paura. 
2.Non ha paura neppure in una foresta buia echeggiante di rumori terribili.
3.Ha la speciale qualità di non dimenticare, e avendo l’occasione di beneficiare un essere non accadrà mai che non lo ricordi.
4.Può aiutare in modo spontaneo gli esseri, simultaneamente alla diretta percezione della vacuità.
5.Per un buddha, samsara e nirvana sono uguali, in quanto privi entrambi di esistenza intrinseca o indipendente.
6.Ha la costante consapevolezza del giusto momento per beneficiare i vari esseri. Come guidando in una strada piena di traffico si è continuamente consapevoli e attenti, allo stesso modo un buddha è sempre vigile nel guardare ai bisogni degli esseri, per intervenire appena possibile con il proprio aiuto.
7.Ha il costante desiderio di aiutare gli esseri e a tale scopo è sempre presente nei luoghi dove può farlo.
Ciò può accadere perché quando era un bodhisattva aveva generato la bodhicitta per il bene di tutti gli esseri, poi per un lungo periodo aveva praticato le perfezioni trascendentali con questa motivazione, ottenendo infine grazie a essa la perfetta illuminazione. Un buddha non ha alcuna difficoltà a essere presente dove è necessario, avendo realizzato tutto ciò che deve essere realizzato.
Finché tutti gli esseri non saranno liberati, un buddha continuerà sempre ad aiutarli, perché non ha il problema del deterioramento del corpo come noi. Ogni volta che qualcuno è pronto a ricevere il suo aiuto e i suoi insegnamenti, un buddha li dà nella forma che ritiene più adatta e più utile, come di un laico, di un monaco o addirittura di un animale, a seconda della situazione e del livello dell’essere che deve beneficiare. Può manifestarsi anche come un cieco o un mendicante.
Nei boschi ci sono zone in cui è possibile cacciare e altre no, e gli animali che si rifugiano nelle aree protette si salvano, ma solo alcuni di loro le conoscono, ed essi cercano di portare lì al sicuro gli altri: potrebbero appunto essere dei buddha o bodhisattva.
Come le nuvole non hanno desiderio di produrre pioggia, senza nessuno sforzo e in modo naturale i buddha spontaneamente aiutano gli esseri. Come la luna che splende di notte si riflette in tutte le pozze d’acqua senza alcuna volontà, allo stesso modo dovunque ci sia bisogno di un buddha egli spontaneamente si manifesta.
Quando preghiamo, meditiamo e invitiamo Buddha, egli è lì anche se non lo possiamo vedere. Se in casa abbiamo dei dipinti, delle statue, un altare e facendo offerte abbiamo il desiderio che Buddha ci visiti, effettivamente questo succede, anche se non lo percepiamo. 
Asanga andò in ritiro per avere la visione di Maitreya e vi rimase tre anni meditando continuamente, ma non riuscì nel suo intento. Scoraggiato, uscì dal ritiro e si mise in viaggio. Lungo la strada si imbatté in un vecchio che con un po’ di cotone sfregava una grossa sbarra di ferro e quando, incuriosito, gli chiese cosa stesse facendo, il vecchio rispose che voleva ricavarne uno spillo. Asanga allora rifletté che se quell’uomo aveva una determinazione così forte da pensare di ottenere uno spillo in quel modo, a maggior ragione egli stesso, per avere la visione di Buddha Maitreya, doveva avere perseveranza nel meditare e quindi ritornò in ritiro.
In seguito più volte abbandonò e più volte riprese a meditare, poi dopo dodici anni, deluso, smise definitivamente, senza aver avuto la visione di Maitreya, ma mentre andava via, sulla strada vide una cagna con una coscia ferita e putrefatta, invasa dai vermi. Mosso da grande compassione Asanga pensò di aiutare l’animale, però non voleva prendere i vermi e buttarli perché sarebbero morti, né lasciarli sulla ferita, perché la cagna soffriva; allora pensò di mettere i vermi su un pezzo di carne che tagliò dal suo corpo, ma poiché avrebbe potuto ucciderli afferrandoli con le mani, cercò di prenderli con le labbra. La scena era così ripugnante che chiuse gli occhi, ma quando li riaprì Maitreya era lì davanti, al posto dell’animale, e Asanga cominciò a lamentarsi con lui perché gli era apparso solo dopo dodici anni. Maitreya spiegò allora che gli era stato vicino sin dall’inizio del suo ritiro, e come prova mostrò che sulle sue vesti c’erano i segni degli sputi fatti da Asanga in tutto quel tempo, ma lui allora era privo di compassione e non era mai riuscito a percepirlo; dopo essere uscito dal ritiro, aver trovato la cagna e generato per questa una fortissima compassione fu invece in grado di vederlo. 
8.Va in tutti i luoghi dove ci siano esseri da beneficiare. 
9.Conosce tutti i metodi per beneficiare ogni essere.
10.Ha la capacità di non uscire dal samadhi. 
11.Ha la particolare qualità della saggezza discriminante.
12.Poiché ha eliminato tutti gli ostacoli ed ha ottenuto tutte le realizzazioni, non potrà mai perderle.
13.La sua attività ha tali qualità che i suoi discepoli al solo vederlo provano venerazione.
Semplicemente vedere il corpo di un buddha fa sì che creiamo meriti.
14.Qualsiasi cosa un buddha dica è significativa ed è un insegnamento di Dharma.
Per esempio, lo è qualsiasi cosa dica Sua Santità il Dalai Lama. 
15.La mente di un buddha è sempre colma di amore e compassione per tutti.
16.Ha la completa capacità di conoscere il passato.
17.Ha la completa capacità di conoscere il presente.
18.Ha la completa capacità di conoscere il futuro.
 
Un buddha ha la capacità di beneficiare in modo tanto vasto e profondo gli esseri perché possiede tutte queste qualità.
Se uno desidera e chiede una guida gli verrà data in accordo alle sue capacità, inclinazioni ed abilità, e se uno pratica quanto gli viene insegnato può ottenere ciò a cui aspira. Visto che una delle qualità di un buddha è quella di sapere sempre quando un essere può venire beneficiato, non potrà mai accadere che una persona pronta non riceva in quello stesso momento l’aiuto, e non è necessario che essa sia dove c’è un buddha perché in qualsiasi luogo ci sia bisogno di lui, lì è presente.
Possedendo tutte queste qualità non c’è occasione in cui egli non sia di aiuto per i discepoli.
Il testo prosegue dicendo: 
“Qui spiegherò come impegnarsi nella condotta dei figli dei buddha, i bodhisattva, condensandone il significato in accordo alle scritture”.
Ora si potrebbe pensare che, visto che Shantideva ha scritto questo testo traendolo dalle scritture, il suo sia stato un lavoro inutile; in realtà gli argomenti di cui tratta si trovano in numerosissimi volumi, mentre nel Bodhisattvacharyavatara, il cui contenuto riguarda le sei perfezioni trascendentali o paramita, possiamo trovarli in una forma semplice e concisa. Se attraverso di esso possiamo conoscere i sentieri e i frutti del Mahayana e praticandolo ottenere lo stato di illuminazione o il nirvana, sarà soddisfatto lo scopo per cui è stato composto. In questo testo non c’è nulla che non provenga dagli insegnamenti di Buddha ed è stato scritto per chi non è in grado di ricavarli da scritture più vaste.
Shantideva afferma che non avendo molta speranza di poter beneficiare tutti, scrive specialmente per familiarizzare la propria mente con gli insegnamenti ascoltati e auspica che a causa di ciò i meriti propri e di quanti gli sono uguali in fortuna possano aumentare ed essi ricevere qualche vantaggio. (st.2)
Egli conosceva già questi insegnamenti e quindi aveva già accumulato molti meriti, ma scrivendo il testo aveva dovuto prestare attenzione anche ai particolari, accumulandone ancora di più, inoltre il testo avrebbe potuto aumentare i meriti e l’energia virtuosa anche delle persone che avessero avuto occasione di leggerlo, come noi. Il suo scopo è che possano nascere nuove qualità in chi non ha mai conosciuto questi insegnamenti ed aumentare quelle di chi li ha già ricevuti. (st.3)
Ma per poter ascoltare e praticare il Dharma è necessaria una forma umana che possegga tutte le libertà e ricchezze, condizioni difficili da trovare. Analizzandole con cura possiamo realizzare che tale tipo di rinascita è veramente molto rara. Noi ora comunque l’abbiamo ottenuta e dobbiamo riconoscere pienamente questa fortuna. Con la nostra preziosa condizione umana possiamo ottenere lo stato di buddha o la liberazione o qualsiasi felicità in questa vita, in pratica tutto ciò che vogliamo. Se non sfruttiamo al massimo questa opportunità, come ne potremo in futuro ottenere una simile? Essa è rara e breve come un lampo improvviso in una notte scura, e solo per la forza di un buddha qualche pensiero virtuoso a volte appare in noi. (stt.4-5)
Lo possiamo facilmente constatare riflettendo che sulla terra ci sono miliardi di esseri, milioni in Italia, ma solo pochi sono qui riuniti per ascoltare insegnamenti, quindi è una fortuna che si ha molto raramente. Il karma negativo è molto frequente e intenso, quello positivo occasionale e debole, perciò la quantità del primo è decisamente maggiore del secondo. (st.6)
Anche nel lam-rim (il sentiero graduale) si pone molta enfasi sul fatto che questa preziosa rinascita umana è molto rara; inoltre, essendo grandemente significativa, è necessario realizzarne appieno il valore, utilizzandola al massimo, e comprendendo che possiamo e dobbiamo praticare il Dharma. Riflettendo poi che in futuro potremmo non averne più l’occasione, si comprende la necessità di praticare adesso. Potremmo decidere di farlo nell’ultima parte della nostra vita, ma nel caso pensassimo questo occorre ricordare l’impermanenza e non perdere l’occasione di impegnarci fin d’ora.
Il nostro karma negativo è forte, essendo stato accumulato da un tempo senza inizio, e non potremo quindi sconfiggerlo con la forza di virtù ordinarie: solo la bodhicitta è l’arma straordinaria con cui lo si può indebolire, come hanno realizzato i buddha, che sono rimasti in contemplazione per ere cosmiche e, dal momento che è la migliore, dobbiamo possederla. (st.7)
Bodhicitta è di enorme beneficio per masse incalcolabili di esseri senzienti e può fare ottenere istantaneamente o rapidamente la suprema illuminazione! In questa esistenza condizionata abbiamo molti problemi e sofferenze, ma tutto può essere risolto con l’aiuto di bodhicitta, e i bodhisattva non dovrebbero mai abbandonare e tradire questa mente dell’illuminazione, con la quale si può ottenere lo stato di un buddha, ed essere così in grado di aiutare tutti gli esseri con ogni metodo efficace. (st.8)
Ci sono due modi per accumulare meriti: con bodhicitta o senza bodhicitta. Il secondo è paragonabile a una pianta di banane che dopo aver dato i frutti secca; i meriti creati con bodhicitta sono invece come l’albero celestiale che dà frutti simili a gioielli, che si producono perennemente. (st.12)
Bodhicitta produce una quantità illimitata di benefici, e come il ‘grande fuoco’ distrugge l’universo, così essa distrugge il karma negativo da noi creato da tempo senza inizio. (st.14)
Secondo le scritture un grande eone è formato da ottanta eoni: venti per la creazione di un universo, venti per la sua durata, venti per la sua distruzione, venti di vuoto. Nella fase della distruzione ci sarà per sette volte quella apportata dal fuoco, poi quella dall’acqua, e queste si alterneranno ancora per sette volte. È questo fuoco alla fine dell’universo, che riesce a distruggerlo completamente, a essere chiamato ‘grande fuoco’.
La potenza e i vantaggi di bodhicitta sono enormi e sono stati insegnati da Maitreya al bodhisattva Sudhana..
Nel Bodhisattvacharyavatara è detto che la compassione è importantissima per il sentiero all’inizio, come il seme di una pianta, a metà, come l’acqua, e alla fine, come il frutto. La differenza tra un praticante mahayana e chi non lo è sta proprio nell’avere o no sviluppato bodhicitta.
Dopo l’ottenimento dell’illuminazione, i buddha non rimangono in perpetuo assorbimento nella beatitudine, ma lavorano per il beneficio di tutti gli esseri senzienti; al contrario, gli arhat hinayana, mancando di questa motivazione, restano immersi nell’estasi dello stato del nirvana. Le qualità infinite di un buddha e la conoscenza da parte sua di tutti i metodi per liberare ogni essere sono dovuti principalmente al potere di bodhicitta.
Possiamo fare una distinzione tra la mente che aspira all’ottenimento dell’illuminazione e la mente effettivamente impegnata a seguire il sentiero. (st.15)
La prima è la ‘bodhicitta dell’aspirazione’, paragonabile al desiderio di andare in un determinato posto, la seconda è la ‘bodhicitta dell’azione’, simile al percorrere la strada per raggiungere quel posto. (st.16)
Per esempio, la bodhicitta dell’aspirazione corrisponde al conoscere le sei paramita (senza averne intrapreso la pratica), la bodhicitta dell’azione all’aver cominciato a praticarle, per raggiungere l’illuminazione. Entrambe le menti sono sostenute dal desiderare il bene degli altri, ma solo la seconda è basata sull’azione effettiva. La bodhicitta dell’aspirazione è come un piccolo pezzo di diamante, la bodhicitta dell’azione come un diamante intero, ma ognuna è più preziosa della mente di un arhat hinayana, che già viene comparata all’oro. La bodhicitta dell’aspirazione non solo farà maturare in futuro tutte le qualità di bodhicitta, ma anche in questa vita può portare moltissimi vantaggi, comunque mai tanti quanti la bodhicitta dell’azione. (st.17)
Chi sviluppa la mente della bodhicitta dell’aspirazione può essere chiamato bodhisattva, nome che non può essere attribuito all’arhat hinayana.
Un bodhisattva, dopo aver realizzato la necessità di raggiungere lo stato di buddha per il beneficio degli altri e aver preso la decisione di praticare il sentiero, crea anche quando non è cosciente o dorme una quantità enorme ed ininterrotta di meriti. (st.18) 
Le qualità di bodhicitta sono state spiegate da Buddha stesso nel sutra richiesto da Subahu per incoraggiare i praticanti del veicolo inferiore a seguire il sentiero mahayana. (stt.19-20)
Qualcuno potrebbe pensare che è un impegno troppo grande seguire tale sentiero, essendo gli esseri numerosissimi e diversi, che è impossibile aiutarli tutti e inoltre che alcuni possono anche ostacolarci in questo obiettivo. E, ancora, si potrebbe pensare che è impossibile raggiungere lo stato di buddha e che sarebbe più logico cercare rifugio nel nirvana, la liberazione personale. Per le persone che hanno questo tipo di convinzioni si spiegano i vantaggi di bodhicitta, soltanto attraverso la quale è ottenibile lo stato di buddha.
Se la semplice azione di dare una pastiglia a chi sta male viene lodata, a maggior ragione cosa si deve pensare di un bodhisattva che agisce per il beneficio di tutti gli esseri, desiderando che siano liberi da ogni sofferenza e da ogni causa di sofferenza? Egli sarà degno di lodi incommensurabili, come incommensurabili sono i meriti da lui accumulati. (stt.21-22)
L’intenzione di aiutare è propria anche di Brahma, degli dei, dei genitori, ma la loro compassione non è comparabile a quella dei bodhisattva. (st.23)
Noi tutti, come quegli esseri, non possediamo la vera compassione nemmeno per noi stessi, e come possiamo allora farla sorgere per il bene altrui? (st.24)
La bodhicitta è quel tipo di preoccupazione che ha come scopo ultimo il beneficio degli esseri, ma noi non ne abbiamo nemmeno per noi stessi. In una lode ad Avalokiteshvara (in tib. Cenresig) viene detto che la nostra autocompassione risulta essere un millesimo o meno della compassione che egli ha per noi. Come è possibile allora far sorgere tale mente nei confronti degli altri? Privi di bodhicitta, non abbiamo alcun interesse per loro, ma dopo che l’avremo sviluppata ne saremo molto più preoccupati che per noi.
Bodhicitta è qualcosa di straordinario, è un livello superiore della mente, è un miracolo. (st.25)
Dobbiamo cercare di avere dentro di noi questa mente preziosa, questo gioiello. Essa è la panacea che allevia tutte le sofferenze, è la causa di tutte le gioie. Non riuscendo a valutare appieno la profondità di questa mente virtuosa, per ottenerla dobbiamo impegnarci e pregare i Tre Gioielli. (st.26)
Se una sola azione verso un singolo essere è meritoria, è superfluo dire quanti siano i meriti di un bodhisattva che vuole risolvere tutti i problemi degli infiniti esseri, e che cerca perciò di raggiungere l’illuminazione. (st.27)
 
Ovunque ci sia una mente, sia umana o animale, in essa c’è il desiderio di eliminare la sofferenza e di trovare la felicità: tutti gli esseri tendono a perseguire tale scopo. Coloro che conoscono e credono nel Dharma, anche se non hanno la realizzazione diretta delle vite future, si affidano a persone valide e cercano di trovare una soluzione ai problemi che vada oltre questa vita.
Nel Cristianesimo si spiega che se si compiono azioni meritorie si andrà in paradiso; allo stesso modo nel Buddhismo si dice che si otterrà una buona rinascita se in questa vita se ne pongono le cause, producendo karma positivo, e quanto più riusciremo a crearne tanto migliori saranno le condizioni della nuova rinascita.
 
Gesù Cristo desiderava il bene degli esseri, e insegnò a evitare di commettere azioni negative e ad accumularne di positive per avere in futuro una buona condizione, e non si preoccupava soltanto dei cristiani. Anche Buddha non diede insegnamenti solo per i suoi seguaci, ma per tutti coloro che desiderano eliminare le cause della sofferenza e di una rinascita sfortunata, e vogliono ottenere in futuro condizioni favorevoli e felici. È possibile per i cristiani prendere ciò che è loro utile dagli insegnamenti di Buddha; allo stesso modo i buddhisti seguono anche gli insegnamenti di Gesù Cristo quando eliminano il karma negativo e creano quello positivo. Tanto Gesù che Buddha si compiacciono per un simile comportamento. Noi siamo l’insieme di un corpo e di una mente. Quando questa vita sarà finita, il continuum mentale avrà un seguito, legandosi a un’altra forma corporea, poi a un’altra ancora, e così via fino a che non si saranno eliminate le cause di ogni ulteriore rinascita. Il praticante di livello inferiore cercherà di porre le cause perché la prossima sia migliore. A livello medio si tenderanno a eliminare le cause di qualsiasi rinascita nel samsara, raggiungendo il nirvana. L’essere nati in Italia, per esempio, in una determinata famiglia, ed il dover invecchiare e ammalarci, non sono legati alla nostra volontà: in tutto ciò non abbiamo avuto alcuna possibilità di scelta, dal momento che dipendiamo dai difetti mentali. Eliminare questi condizionamenti e le loro cause e liberarci da questa situazione significa raggiungere la liberazione, il nirvana, ed è questa la motivazione del praticante di scopo intermedio. Al livello superiore di pratica spirituale la maggiore preoccupazione è l’altrui benessere. Si comincia a pensare che anche gli altri esseri sono soggetti a vari tipi di sofferenza e come noi desiderano esserne liberi, e ci si pone allora l’obiettivo di aiutarli in questo. Tale desiderio è una grande aspirazione, ma da sola non porta a nessun beneficio ultimo, poiché per essere di effettivo aiuto agli altri bisogna prima raggiungere lo stato di un buddha. Questo tipo di attitudine mentale è la bodhicitta, ma per sviluppare l’intenzione a intraprendere il sentiero che ci conduce all’illuminazione occorre conoscere i vantaggi che derivano dalla sua generazione, ed essi sono appunto descritti nel primo capitolo del Bodhisattvacharyavatara. La virtù che si crea con la bodhicitta dell’aspirazione è molto più vasta dei meriti che si accumulano con offerte fatte ai buddha delle dieci direzioni per un numero incredibile di ere cosmiche, e se solo aspirare di generarla è causa di innumerevoli meriti, è inutile parlare di quelli che si accumulano con la bodhicitta dell’azione. Anche venerare la preziosa mente dei bodhisattva è incredibilmente meritorio, infatti solo avendone un’alta considerazione cercheremo di imitarli. Il karma negativo da noi accumulato da un tempo senza inizio è enorme e l’unico antidoto e causa di felicità è la generazione di bodhicitta. Un ammalato deve prendere la medicina prescritta se desidera guarire e nessuno può farlo per lui. Allo stesso modo, poiché siamo noi a soffrire, dobbiamo individuare da soli le cause della nostra sofferenza per poterla eliminare, e nessuno ci può sostituire nella pratica del Dharma, né costringerci ad attuarla. Un medico ci darà le medicine e i consigli, ma se non seguiremo quanto ci viene detto, pur avendone compreso la validità, di sicuro non guariremo ed egli non potrà obbligarci a seguire le prescrizioni. Noi dimostriamo di avere interesse per il Dharma, però questo non basta perché dobbiamo mettere in pratica gli insegnamenti in modo da poterne ricevere benefici, più felicità e meno sofferenza. Innanzi tutto occorre sviluppare l’attitudine di giudicare gli altri in un modo migliore. Se guardiamo ai difetti altrui, ci abitueremo a vedere solo i lati negativi e ciò creerà infelicità nella nostra mente, in un processo chiuso. Al contrario, per fare un esempio, un bambino che vede solo le qualità della madre ne ricambierà l’amore con altrettanto affetto. Se dopo aver conosciuto il Dharma si riescono ad apprezzare i pregi delle altre persone, a differenza di prima, allora si può dire che effettivamente il Dharma ha operato un cambiamento. Una madre nutre per il suo unico figlio un enorme affetto, e desidera che egli non abbia mai la minima sofferenza. Questa è compassione, ma è un sentimento rivolto solo verso il proprio figlio, mentre dobbiamo cercare di estendere tale attitudine amorevole ai parenti, agli amici, a tutti gli esseri, indipendentemente da quale delle tre categorie appartengano: degli esseri che ci piacciono, che non ci piacciono, o che ci sono indifferenti. All’inizio dobbiamo rivolgere il nostro sentimento di amore e compassione verso coloro che amiamo, come parenti e amici, poi alle persone che sentiamo estranee e verso cui non proviamo né amore né avversione, ed infine a coloro che consideriamo ‘nemici’. In questo modo tutti saranno oggetto del nostro amore e ciò è proprio dell’addestramento mentale sulla bodhicitta, in cui dobbiamo procedere includendo poco a poco tutti gli esseri, fino al momento di maggior difficoltà in cui ci chiederemo come sia possibile considerare positivamente anche le persone che odiamo. Ora, queste non sono state sempre nostre nemiche, ma lo sono dal momento in cui abbiamo generato tale proiezione su di loro. Il nostro nemico attuale potrebbe essere stato fino a ieri un nostro amico, e in una vita passata un nostro parente o addirittura nostra madre. Naturalmente dovremmo aver ben chiaro che la vita attuale non è l’unica e, analizzando in modo logico, arrivare alla conclusione di averne avute infinite, per la maggior parte delle quali abbiamo avuto una madre. Si potrà allora affermare che anche il numero delle madri è infinito e che tutti gli esseri sono stati nostra madre, compreso colui che ora chiamiamo nemico e che perciò allora ha avuto verso di noi una amorevole gentilezza. All’opposto, le persone che ora chiamiamo amici sono stati in passato anche nostri nemici e possiamo dire quindi che sia gli amici che i nemici sono perfettamente uguali, dal momento che ci si sono manifestati sia nella prima veste che nell’altra. Il nostro sentimento di amicizia o di inimicizia è ingannevole, e discriminare tra amici e nemici è un errore. Una persona che ci è stata prima di grandissimo aiuto ed ora ci tratta molto male non è differente da una che prima ci ha danneggiato ed ora ci beneficia. Se riflettiamo bene ci renderemo conto che non c’è una base logica per affermare che ci sono amici, nemici e persone indifferenti. Dopo aver sviluppato amore e compassione per tutti gli esseri, sorgerà spontaneo il desiderio di essere proprio noi ad aiutarli a liberarsi dalla sofferenza. Questa attitudine viene definita straordinaria. Solo un buddha è di beneficio per tutti e lo si può affermare non solo perché siamo buddhisti, ma perché un buddha per definizione è colui che ha eliminato ogni difetto, accumulato tutte le virtù e sviluppato tutte le qualità positive. Attualmente noi non siamo in grado di comprendere in modo corretto ogni cosa, abbiamo molte oscurazioni dovute ai difetti mentali e molti ostacoli all’onniscienza, mentre un buddha può percepire e conoscere ogni fenomeno. Come non possiamo vedere un prezioso gioiello se è coperto da una stoffa, così ci è impossibile percepire l’autentica natura dei fenomeni, a causa delle nostre oscurazioni. Impegnandoci adeguatamente potremo però rimuovere i due tipi di ostacoli e diventare un essere illuminato. Il nostro continuum mentale non ha un’esistenza intrinseca e per questa ragione abbiamo la potenzialità di sviluppare la nostra mente fino a diventare un buddha. Un principe appena nato ha il diritto naturale di diventare re e allo stesso modo noi possediamo il seme che ci dà il diritto naturale di diventare buddha. Se un genitore ha due figli, il primo dei quali è ignorante e indolente mentre il secondo è intelligente e volenteroso, al momento della successione il trono andrà sicuramente a quest’ultimo, anche se più giovane, poiché merita il potere. Noi potremmo paragonarci al primo figlio, avendo il diritto naturale, il seme dell’illuminazione, ma non siamo progrediti, dal momento che non abbiamo fatto nessuno sforzo in questa direzione. Non bisogna lasciarsi sopraffare dall’indolenza, ma sfruttare questa preziosa rinascita umana che abbiamo ottenuto e raggiungere così al più presto l’illuminazione. Si potrebbe pensare che il compito di un singolo individuo sia di pensare a se stesso e che non sia necessario preoccuparsi degli altri, ma questo è un modo di pensare errato e, come la madre preoccupata per la felicità del figlio cercherà di creargli condizioni favorevoli, così noi che abbiamo una comprensione leggermente superiore di ciò che deve essere abbandonato e di ciò che deve essere coltivato, dobbiamo aiutare gli altri a fare altrettanto. Il compito del bodhisattva è quello di cercare di soddisfare tutti gli esseri, i quali desiderano la felicità e rifiutano la sofferenza, ma non ne conoscono le cause specifiche, perché oscurati dall’ignoranza. Aiutarli a eliminarla è l’azione virtuosa più alta, ed è propria di un bodhisattva, che è quindi il nostro migliore amico. E se siamo soliti apprezzare la persona che ricambia il bene ricevuto, a maggior ragione dovremmo tenere in alta considerazione chi è altruista senza aver ricevuto nulla. (st.31) Generalmente onoriamo colui che dona cibo e bevande ai bisognosi, e quanto dovremmo apprezzare, allora, il bodhisattva che fa del bene agli infiniti esseri per un tempo senza fine! Dal momento poi che li aiuta non offrendo solo oggetti materiali, il cui valore è limitato, ma mostrando la via attraverso la quale è possibile raggiungere l’illuminazione, un dono definitivo e permanente, non c’è bisogno di dire quanto un bodhisattva sia degno di lode. (stt.32-33) L’illuminazione è uno stato in cui si sperimenta una felicità permanente, e per ottenerla dobbiamo completare le due raccolte di meriti e saggezza, cominciando con il seguire gli insegnamenti e verificando poi se in noi ci sia stato un cambiamento. Anche se non ci fosse, almeno avremo più informazioni. È importante dedicare il maggior tempo possibile al Dharma, cercando di avere la forte e buona motivazione di poter raggiungere lo stato di buddha per il beneficio degli esseri, avendo compreso i vantaggi della bodhicitta. I bodhisattva sono coloro che hanno scelto il sentiero mahayana e hanno preso i voti affinché la propria mente si evolva fino all’illuminazione, e per tale motivo sono onorati e considerati ‘figli dei buddha’. Se generiamo un pensiero malevolo nei confronti di uno di loro creeremo un karma negativo così pesante da maturare in una sofferenza intensissima e in un istante andrà distrutto il karma positivo accumulato in un’intera era cosmica. (st.34) D’altra parte, nutrendo pensieri positivi per un bodhisattva produrremo invece karma virtuoso, proprio per le qualità di tale oggetto. Un bodhisattva infatti non creerebbe mai karma negativo, nemmeno a costo della sua stessa vita, mentre accumula karma positivo anche dormendo, e dobbiamo prostrarci a chi possiede tale mente. (stt.35-36) Generalmente si cerca di ricambiare un danno subito, ma non è così per il bodhisattva, che rende invece una buona azione per una cattiva. Nella Lama Ciöpa c’è un verso in proposito che loda la pazienza del bodhisattva, e in cui si afferma che, se anche gli esseri di tremila mondi si scagliassero contro di lui tentando di danneggiarlo, egli cercherebbe sempre di fare loro solo del bene, senza mai ricambiarne il male.
Preghiamo per poter sviluppare le stesse capacità.
 

Commento al 2° capitolo:
Rivelare le azioni negative

Se vogliamo entrare nel sentiero mahayana, sia attraverso la porta dei sutra che dei tantra, dobbiamo sviluppare sempre e comunque bodhicitta, che del Mahayana è il solo cancello di accesso.
Tutti sappiamo che generare bodhicitta non è facile, e dapprima dobbiamo capire cos’è per poi gioire di un tale tipo di mente: solo in questo modo gradualmente creeremo le condizioni per il suo sviluppo. Inoltre è necessario incrementare il karma positivo ed eliminare quello negativo. Quando invitiamo un ospite importante addobbiamo la casa e la puliamo, così, volendo generare bodhicitta nella nostra mente, occorre purificarla ed abbellirla.
Il secondo capitolo tratta della presa di rifugio, della purificazione del karma negativo e della confessione delle negatività (da cui il titolo), confessione intesa come riconoscimento, dal momento che prima di purificare il karma non virtuoso bisogna appunto riconoscerlo.
Quando avremo generato bodhicitta la forza del karma negativo sarà ridotta, mentre si incrementerà il karma positivo, e allora riusciremo a ottenere una rinascita migliore, poiché questa preziosa mente è simile alla gemma che esaudisce tutti i desideri. Come un mendicante che trova per caso un gioiello è in grado così di ottenere tutto ciò che desidera, allo stesso modo con la mente di bodhicitta potremo porre fine alla maggior parte delle nostre sofferenze eliminandone le cause, e saremo in grado di sviluppare le perfezioni trascendentali, per esempio la generosità, fino ad arrivare a donare il nostro corpo con gioia estrema.
(Ghesce-la dice che noi tutti siamo allo stesso livello e sulla stessa barca, solo che lui cerca di spiegare questo testo e relativo commentario tibetani, il contenuto dei quali illustra come generare la mente di bodhicitta, così che la si possa poi ottenere.)
Per prima cosa bisogna porre impronte positive, accumulando karma virtuoso, e a tal fine si inizia riferendosi ai Tre Gioielli: i Tathagata (gli esseri illuminati), il Dharma (gioiello immacolato) e i Figli di Buddha (gli esseri superiori del sentiero, oceani di saggezza). (st.1)
Un buddha ha eliminato tutti gli ostacoli causati dalle impurità e dai difetti mentali, che non sono della stessa natura della mente ma temporanei, inoltre ha eliminato anche le impronte lasciate da essi. I bodhisattva hanno invece purificato solo una parte di queste impurità e sono sul sentiero della eliminazione completa. La chiarificazione totale di ogni oscurazione è un aspetto della mente di un illuminato.
Per creare meriti occorre riferirsi ai Tre Gioielli, ma anche gli esseri possono essere oggetto delle nostre offerte e delle nostre azioni virtuose, e senz’altro devono esserlo della nostra compassione ed amore.
Sull’altare di questa stanza abbiamo molte rappresentazioni dei Tre Gioielli e varie offerte (acqua da bere, acqua per le abluzioni, fiori, incenso, luci, profumo, cibo), ma anche a casa nostra possiamo fare qualcosa di simile con l’offerta di tutto ciò che ci sembra piacevole, creando così del buon karma, e se abbiamo del buon karma il denaro nelle nostre tasche non si esaurirà velocemente!
Possiamo offrire ogni cosa che apprezziamo, in qualsiasi momento, appena la vediamo. Anche ciò che mangiamo o beviamo può essere offerto, magari moltiplicandolo con l’immaginazione e pensando prima ai Tre Gioielli. Se offriamo oggetti come oro, argento, pietre preziose, accumuliamo tanti più meriti quanto più alto è il loro valore. In estate, se godiamo di posti molto belli e freschi, possiamo offrirli. Possiamo offrire montagne fatte d’oro e di gioielli o, come nell’offerta del mandala, l’intero universo. È possibile creare mentalmente luoghi estremamente piacevoli, campi pieni di messi, alberi piegati dal peso della frutta o un bellissimo lago con fiori di loto e cigni meravigliosi. Se offriamo giardini e fiori del nostro vicino non dobbiamo preoccuparci, perché i Tre Gioielli non li prenderanno, dal momento che non ne hanno bisogno: tutto ciò viene fatto solo per accumulare meriti. 
Prima cominciamo a offrire i nostri possedimenti e poi, non limitandoci a questa terra, possiamo offrire anche i paradisi. (stt.2-6)
Alla fine, dobbiamo richiedere che ogni cosa venga accettata. (st.7)
Nel Guru Yoga c’è l’offerta in cui è contenuto tutto, anche il karma positivo, generato come un oggetto degno di essere offerto.
 
La bodhicitta è una mente preziosa che non possiamo ottenere in breve tempo e senza grande applicazione.
Se molto in alto, in montagna, c’è un posto meraviglioso ma difficile da raggiungere, avremo desiderio di andarci solo se conosciamo il piacere che ci arrecherà. Ugualmente, solo conoscendo i benefici della mente di bodhicitta avremo il desiderio di possederla e metteremo il necessario impegno. Ma occorre predisporre la mente facendo offerte e accumulando meriti, e allo stesso tempo purificare il karma negativo, dichiarandolo ai Tre Gioielli.
Non è sufficiente gettare i semi e innaffiarli: prima bisogna preparare il terreno togliendo pietre ed erbacce che ostacolano la crescita delle piante. Allo stesso modo, dobbiamo fare pulizia nella nostra mente per poter coltivare la pianta della bodhicitta, eliminando quanto potrebbe esserci di impedimento, ossia purificando il karma negativo. (st.9)
 
La purificazione si attua applicando i ‘Quattro poteri opponenti’:
1. Si riconosce l’effetto negativo delle azioni non virtuose e ci si pente di quelle commesse in passato.
2. Ci si determina a non commetterle più in futuro, chiedendo benedizioni per essere in grado di riuscirci.
3. Si utilizza la forza dell’oggetto (il karma negativo viene creato avendo per oggetto gli esseri senzienti o i Tre Gioielli, e in relazione a entrambi occorre invece fare offerte e impegnarsi in azioni meritorie).
4. Si purifica realmente il karma negativo con il potere di un antidoto specifico (ce ne sono molti, tra cui la recitazione del mantra delle cento sillabe, la pratica delle prostrazioni e la meditazione sulla vacuità).
 
Dobbiamo usare in particolare l’antidoto per il difetto mentale che ci ha fatto produrre un certo karma negativo. Se è stato l’attaccamento, sulla base del sostegno del mantra delle cento sillabe si genera l’antidoto al desiderio, se abbiamo provato odio si genera l’antidoto all’odio. 
L’applicazione dei poteri opponenti è l’aspetto principale della purificazione e dà risultati immediati senza grandi sforzi, per cui possiamo e dobbiamo applicarli subito.
Se quando abbiamo tempo puliamo la stanza, meditiamo e poi ci alziamo e usciamo, ci accorgeremo che qualcosa è cambiato nella nostra mente: potremo veramente constatarlo. Facendo così ogni mattina per cinque minuti, potremo poi prolungare il tempo fino a creare un’abitudine, e se un giorno non mediteremo ne sentiremo la mancanza e ci sentiremo a disagio. 
Buddha ha purificato tutte le oscurazioni e accumulato tutte le virtù, ma questo non è successo in un giorno o in un anno bensì gradualmente, e anche noi possiamo fare lo stesso. Anche meditare per un breve tempo nel modo giusto è un passo verso le perfezioni e, se accumuliamo karma positivo e purifichiamo il karma negativo, quando moriremo di sicuro avremo posto le cause per una migliore rinascita. 
Il processo della purificazione continua fino all’illuminazione, vi si possono distinguere però vari stadi, a partire da uno dei quali non c’è più il pericolo di rinascere nell’esistenza condizionata.
 
I sentieri del Mahayana sono cinque:
1. Il sentiero dell’Accumulazione.
Vi si accumulano meriti, ma non è ancora un sentiero stabile.
2. Il sentiero della Preparazione.
È suddiviso in quattro livelli: dal terzo non c’è più pericolo di ricadere nelle rinascite sfortunate. 
3. Il sentiero della Visione.
4. Il sentiero della Meditazione.
5. Il sentiero del Non-più-apprendimento.
 
Anche i sentieri dell’Hinayana sono cinque ma essi, pur avendo la stessa denominazione, non danno gli stessi ottenimenti, infatti i seguaci dell’Hinayana per non essere soggetti alle rinascite condizionate devono raggiungere l’ultimo stadio del quinto, che corrisponde al nirvana.
Fino a che un seguace del Mahayana non ottiene il primo bhumi (inizio del terzo sentiero), prenderà sempre rinascita per la sola forza del karma e dei difetti mentali, ma da quello in poi potrà scegliere la propria rinascita, con le condizioni necessarie per beneficiare maggiormente gli esseri, perché non accumula più karma proiettante, pur rimanendo nell’esistenza condizionata fino a che non raggiunge l’ottavo bhumi.
 
Desiderando una mente felice dobbiamo creare le cause per la felicità duratura, perché se ricorriamo a soluzioni temporanee, come andare al cinema o al mare o in montagna, ciò produrrà un sollievo alla nostra insoddisfazione, che sarà però di breve durata e di lieve entità.
Quando facciamo offerte potremmo non disporre di molte cose materiali, e allora immaginiamo di destinare a tale scopo tutto ciò che non appartiene a nessuno, come montagne o laghi, e poi chiediamo ai buddha di accettarli. Milarepa non possedeva nulla, però offrì la sua pratica e questa in realtà era un’offerta continua. 
La cosa più gradita ai buddha e bodhisattva è l’impegno nel sentiero, con l’accumulazione di karma positivo e la purificazione del karma negativo. Anche nel Lam Rim di Lama Tzong Khapa si dice che la migliore offerta al proprio guru è impegnarsi nella pratica spirituale. 
Praticando non è necessario informare i buddha e i bodhisattva, dal momento che ne sono ugualmente a conoscenza e gioiscono delle nostre azioni positive, perché desiderano proprio che creiamo le cause della felicità. 
Se non possiediamo nulla possiamo offrire il nostro corpo e comportarci sempre in accordo ai desideri dei buddha e bodhisattva, e anche questo sarà loro gradito, come quando ci si offre come servitore di qualcuno: il loro  scopo è solamente beneficiare gli esseri e dobbiamo aiutarli in questo, senza aver timore delle rinascite condizionate.
Possiamo offrire il karma positivo, visualizzato nella forma di oggetti preziosi e molte altre cose, secondo i costumi della nostra cultura. Quando riceviamo un ospite di riguardo puliamo la casa, gli offriamo cibi, gli mostriamo il bagno, gli porgiamo sapone ed asciugamano; così possiamo offrire ai buddha sale da bagno odorose di essenze soavi, adorne di baldacchini, dal pavimento di cristallo brillante, e con colonne incastonate di gemme. (st.10)
Offriamo le cose che reputiamo più belle, immaginando noi stessi che porgiamo vasi di acqua pura aromatizzata o, manifestandoci in forma attraente, che suoniamo musica, cantiamo e balliamo. (st.11)
Quindi si vestono i buddha con indumenti preziosi e dagli splendidi colori, dopo aver cosparso i loro corpi di oli fragranti, e gli abiti usati vengono deposti in scatole sull’altare, come reliquie. Offriamo anche gioielli, collane, anelli, orecchini, senza avarizia. (st.12)
Tutto ciò serve per addestrare la mente, e mentre meditiamo porgendo queste offerte mentali ricordiamo i nomi degli arya Samantabhadra, Manjushri, Avalokiteshvara e tutti gli altri. (st.13)
Potremmo pensare che in realtà non stiamo facendo nulla, però quando ci arrabbiamo offendiamo gli altri dicendo: “Va all’inferno!” o “Muori!”, e siamo soddisfatti perché ci sembra di esserci davvero scagliati contro quella persona e in effetti abbiamo accumulato karma negativo. Ugualmente, quando facciamo offerte nei modi descritti si ottiene un risultato: diamo a noi stessi la possibilità di abituarci a pensieri positivi. 
Se ingiuriamo un nostro nemico, questi se è stupido si sentirà offeso, mentre in realtà non gli succede niente e siamo solo noi ad accumulare karma negativo. Se invece ci abituiamo a porgere auguri agli altri, per esempio pensando: “Possa questa persona realizzare ciò che desidera”, anche se può non accadere nulla familiarizziamo la nostra mente con pensieri positivi e creiamo karma virtuoso, e lo stesso avviene quando visualizziamo le cose più belle per poterle offrire. 
Nella pratica del nyu-ne la persona che guida la meditazione versa l’acqua sullo specchio: facendo ciò non sta semplicemente immaginando una piccola ciotola, ma l’offerta più vasta. E, con l’offerta del mandala, intrecciando le dita pensiamo di offrire l’universo intero.
Durante la mia ultima venuta in Italia fu eseguito il rituale dell’abluzione, versando l’acqua sullo specchio, e qualcuno disse che sembrava un gioco da bambini, perché non conosceva il processo mentale che sosteneva questo rituale. Se sappiamo come fare, allora si tratta davvero di qualche cosa di utile e importante, altrimenti è effettivamente un gioco.
 
Noi siamo esseri umani e il periodo che possiamo trascorrere su questa terra è molto breve. Abbiamo già avuto nel passato questo tipo di esistenza molte volte, e molte altre ne avremo in futuro. Parecchi di noi hanno già trascorso venti, venticinque, quaranta anni della loro vita e prima o poi dovremo separarci da questo corpo e prendere un’altra rinascita. Però non potremo sceglierla, perché dipenderà non dalla nostra volontà ma dalle azioni compiute e, avendo creato più cause negative che positive, è probabile che non sarà delle più piacevoli. 
Dobbiamo cercare di creare il maggior numero di cause positive e in questa condizione umana è possibile, perché possiediamo l’intelligenza che può discernere tra il bene e il male, mentre in una condizione diversa, animale o peggio, ciò sarebbe molto difficile.
La morte è un fatto ineluttabile ed è giusto rendersene conto, visto che dovremo affrontarla e non possiamo sfuggire a questa realtà. L’impermanenza è intrinseca alla nostra natura, non un nostro desiderio, e dobbiamo allora interrogarci in questo modo ogni giorno: “Desidero una rinascita in un reame inferiore?” 
Ciò che saremo in futuro non può essere chiesto a nessuno, ma è possibile guardare la nostra mente e fare il bilancio del karma positivo e negativo. Se la quantità di entrambi sarà la stessa, allora l’ultimo stato mentale prima della morte influenzerà la prossima rinascita e se sarà l’odio o l’attaccamento avremo una rinascita sfortunata, se sarà virtuoso una rinascita fortunata. Anche avendo molte impronte positive e qualche impronta negativa, sarà molto importante il tipo di mente dell’ultimo istante di vita. Dobbiamo quindi purificare il karma negativo, anche un po’ per volta, esattamente come possiamo lavare dei vestiti sporchi. Come chi ha la coscienza pulita se viene chiamato dalla polizia va tranquillamente, così avendo solo karma positivo affronteremo la morte sicuri e sereni, avremo la sensazione di ritornare a casa e sarà come ritornare giovani, come ricominciare, visto che si prende una nuova rinascita. Se ci fosse la possibilità di ringiovanire daremmo sicuramente qualsiasi cifra per poterlo fare, ma i bodhisattva non hanno questo tipo di problema e abbandonano la vita senza rimpianti.
Decidere che da questo momento non faremo nulla di dannoso per gli altri è già praticare la moralità. Anche prendere i cinque voti per tutta la vita (non uccidere, non rubare, non mentire, non avere una condotta sessuale scorretta, non prendere intossicanti) è praticare la moralità e porterà certamente i suoi frutti. Se è difficile prendere questi voti per tutta la vita, allora si può cominciare a prenderli per un anno, per un mese, per un giorno o al minimo per una mattina. Si possono poi creare le condizioni per allungare questo periodo, allenando la nostra mente. È solo questione di abitudine mentale e se all’inizio troveremo difficoltà poi tutto diventerà via via più facile, così come una persona che sta imparando a guidare dopo un po’ lo farà automaticamente.
Cosa si intende per karma negativo? Ebbene: ogni tipo di azione commessa sotto la spinta dei difetti mentali. 
Un proverbio tibetano dice: “Se ci pensiamo prima siamo dei saggi, se ci pensiamo dopo siamo degli stupidi”. E un altro che voglio ricordare è: “Se non facciamo le cose al mattino, dovremo farle alla sera”, perciò se non pratichiamo il Dharma da giovani, quando è più facile perché il nostro corpo e la nostra mente sono più flessibili, ce ne pentiremo da vecchi.
Volendo sperimentare il frutto di certe azioni, occorre avere una raccolta di meriti sufficiente. Se dei genitori hanno lavorato molto, hanno accumulato una grande ricchezza e la lasciano ai figli, che però non hanno un’adeguata raccolta di meriti per poterne godere, accadrà che qualche inconveniente impedirà loro di usufruirne e, similmente, un ammalato può guarire solo se ha il karma che gli permette di guarire.
Riguardo all’accumulazione dei meriti è stato spiegato che uno dei metodi è fare offerte ai Tre Gioielli.
Dopo aver offerto l’abluzione e i vestiti a Buddha, visualizzato con un corpo luminoso e dorato, c’è l’offerta di unguenti odorosi, come si usa fare per se stessi quando ci si cosparge di profumi o creme. Quindi offriamo ghirlande di vari tipi di fiori, incensi, immaginando nuvole di fumo dal profumo gradevole che si innalzano verso il cielo, lampade fatte con materiale prezioso, cibo, bevande e tutte le cose che riteniamo piacevoli, pensando di essere in un ambiente sfarzosamente decorato o, se si è all’aperto, in un meraviglioso giardino. Offriamo palazzi ingioiellati, immaginando nello spazio tutt’intorno divinità femminili che cantano e suonano in modo dolcissimo. (stt.14-19)
Ricordiamo che queste offerte sono fatte a Buddha, che possiede bodhicitta, la mente dell’illuminazione.
Le offerte sono di due tipi, comparabili e incomparabili, e quelle descritte sono le prime, perché le nostre capacità mentali sono limitate.
Impegniamoci quindi nelle prostrazioni, immaginandoci manifestati in corpi numerosi come gli atomi dell’universo, tutti che ci prostriamo ai Tre Gioielli, ai bodhisattva, ai luoghi dove Buddha apparve, alla mente di bodhicitta, agli stupa che contengono reliquie di buddha e bodhisattva, al Maestro che ci dà insegnamenti, ai praticanti di Dharma. (stt.24-25)
Facciamo ora le nostre richieste.
Ci rivolgiamo a tutti i buddha delle dieci direzioni rivelando la nostra preoccupazione: “Attraverso il ciclo delle reincarnazioni, consciamente o inconsciamente ho accumulato molto karma negativo, ho indotto altri a compiere azioni negative e ho gioito di queste; ora le ho riconosciute e voglio confessarle davanti a voi; confesso tutto il karma negativo che ho compiuto contro i Tre Gioielli, i genitori, il guru, confesso tutte le mie negatività di fronte a loro. Posso morire da un momento all’altro, senza essere riuscito a purificare il karma negativo; realizzando la pericolosità della mia situazione e vedendo quali potrebbero esserne le conseguenze, prego per essere in grado di purificare ora, in questo momento, tutto il karma negativo”. (stt.28-32)
Nessuno si cura di quando morirà, invece bisogna fin d’ora attuare ogni purificazione, perciò chiediamo la benedizione e la protezione per riuscirci al più presto e con il mezzo più rapido. Il ‘signore della morte’ non aspetta che il nostro lavoro sia finito o meno, e potrà coglierci sia che siamo sani o malati. La nostra vita e il nostro tempo sono effimeri e si consumano di momento in momento. (st.33)
Quando moriremo dovremo lasciare tutto e partire soli, non potremo portare con noi neanche il nostro corpo ma, non avendolo compreso prima, abbiamo commesso svariate azioni negative per il beneficio di amici e parenti, che comunque non potranno accompagnarci. (st.34) 
“Per me, quel giorno tutti i nemici spariranno e così gli amici, io stesso diventerò nulla e ogni cosa sparirà da questo mondo”. (st.35) 
“Come al momento del risveglio, anche del più bel sogno o del più terribile incubo, non rimane che una sua lieve traccia nella nostra memoria, così qualsiasi cosa bella o brutta abbia sperimentato nella mia vita, al momento della morte non ne rimarrà che un ricordo: sarà stato un sogno che non si ripeterà”. (st.36)
“Dalla nascita ho sperimentato molte cose e queste non si ripeteranno; gli amici e i nemici di una volta non torneranno più, ma il karma negativo commesso nel passato per loro o contro di loro rimarrà con me”. (st.37)
“Poiché non ho realizzato la mia natura impermanente e che la mia vita dura solo un momento, ho prodotto molto karma negativo e ora capisco che è stato un errore”. (st.38) 
 
Per eliminare la sofferenza occorre eliminare le sue cause, le abitudini negative, e cambiare l’attitudine della nostra mente, ed esaminando attentamente possiamo vedere che la soluzione può essere trovata solo negli insegnamenti spirituali. Se non siamo contenti della nostra situazione, della nostra vita, dobbiamo essere preoccupati anche di quello che succederà nelle vite future, poiché ciò che abbiamo ora è dovuto alle cause create nelle vite precedenti, e se desideriamo delle buone condizioni nel futuro dobbiamo cominciare a crearne ora le cause appropriate. Il nostro continuum mentale non finisce con la dissoluzione di questo corpo fisico, ma prosegue prendendo altre forme di vita. 
L’idea del karma non è un’ipotesi o un’invenzione, ma un fatto che non possiamo negare e di cui dobbiamo tenere conto, perché le azioni negative di corpo, parola e mente creano effettivamente risultati negativi, e le azioni positive risultati positivi. 
Forse al nostro livello risulta piuttosto difficile comprendere che dopo la morte di questo corpo si prenderà un’altra rinascita, che non necessariamente sarà umana e, anche se lo fosse, potrebbe essere in Africa, in Asia, non necessariamente in Europa. In sostanza, la verità è che non possiamo scegliere il tipo di esistenza che prenderemo, e se ora non siamo in grado di sopportare i problemi di questa, è inutile dire come non ci piacerebbe averne una di qualità inferiore. 
Comunque, anche non riuscendo a pensare in termini di tempo così vasti, si può vedere come in questa stessa vita una persona avara, o irascibile, o molto orgogliosa, o con molto attaccamento, non sia lodata né amata da nessuno, ma disprezzata da tutti. Sappiamo che questi sono difetti mentali che dobbiamo eliminare, e riconosciamo che aspireremmo a essere la persona migliore della nazione o del mondo intero, ma la persona migliore non è quella molto ricca o con un bel fisico o sana, bensì quella con una buona attitudine e un buon cuore. E non solo noi vorremmo esserlo, ma anche gli altri ci loderebbero ed apprezzerebbero così. 
E allora bisogna cambiare la propria mente!
Quando pensiamo al futuro e alla morte, questa ci sembra molto lontana, ma in realtà ogni momento che passa la avvicina sempre di più: la nostra vita si accorcia di minuto in minuto, di secondo in secondo, e non può essere allungata. È sicuro che dovremo morire, che questo corpo finirà, che tale momento è sempre più vicino e che non può essere procrastinato. (st.39)
Come è stato già discusso altre volte, molte persone credono che non si debba parlare di questi argomenti perché spiacevoli, ma è molto meglio sapere cos’è la morte, in modo da potervisi preparare, così saremo pronti per quel momento e anche per le prossime vite, e lo affronteremo con gioia o almeno con tranquillità. È sicuro che questo corpo si dissolverà e, siccome è una realtà, non possiamo nasconderla in nessun modo. Quando l’avremo realizzata, e perciò provveduto alla purificazione del karma negativo e all’accumulazione del karma positivo, forti di questi preparativi perché dovremmo avere paura della morte quando arriverà? Dall’esterno vediamo come sia migliore la situazione della persona che, essendosi preparata, ottiene dopo la morte una rinascita umana rispetto a chi, non avendolo fatto, rinasce in una sfera inferiore, di sofferenza acuta.
Se non riusciamo a purificare il karma negativo già creato e non accumuliamo karma positivo, quando arriverà il momento della morte e saremo sdraiati nel letto ci troveremo in una condizione di sofferenza che dovremo sperimentare noi e solo noi: nessun altro soffrirà al posto nostro, né potrà farlo. (st.40)
Di che beneficio saranno parenti ed amici, anche se ne saremo circondati, quando arriveranno ad afferrarci i ‘messaggeri della morte’? L’unica cosa che ci sarà di aiuto saranno i meriti accumulati e le virtù, e se non ne possiederemo non potremo avere alcuna protezione. (st.41)
In quel momento grideremo: “Non avendo pensato a una situazione così terribile, ho creato solo karma negativo”. (st.42)
Immaginiamo cosa provi chi, avendo infranto la legge, viene portato in un luogo dove sconterà tremende pene fisiche, e identifichiamoci anche con la persona che, non avendo creato che karma negativo durante tutta la sua vita, nell’estremo momento è afferrata dai messaggeri della morte, che sono come i difensori della legge del karma. (st.44)
Come un condannato a morte portato al patibolo cercherà qualsiasi aiuto e non trovandolo si sentirà disperato, allo stesso modo noi in quel momento cercheremo in tutte le direzioni un possibile protettore, non avendolo creato dentro di noi sotto forma di karma positivo. (stt.45-46)
Come ci sentiremo? Saremo completamente senza speranza, senza aiuto e protezione. Realizzando ciò, fin d’ora dobbiamo creare dentro di noi il protettore e il rifugio, il karma positivo, e purificare quello negativo. 
Occorre comprendere che abbiamo le necessarie opportunità per creare cause positive: siamo esseri umani intelligenti, abbiamo molte condizioni favorevoli e tutte le facoltà integre, perciò dobbiamo utilizzarle per generare le cause per il miglior futuro possibile. 
 
Abbiamo parlato di vite future, ma potremmo domandarci se è vero che esistano e, per arrivare ad affermarlo, bisogna prima chiedersi se ci sono state delle esistenze precedenti a questa.
Noi siamo costituiti da una parte fisica e da una mentale. La prima, il corpo, è composta di atomi, di materia, mentre la seconda, la mente, non è fatta di parti fisiche ma di fattori mentali, che non hanno alcuna forma. Corpo e mente hanno ciascuno una loro propria causa, una loro origine.
Distinguiamo due tipi di cause: quella ‘sostanziale’, che poi si trasforma nel suo specifico effetto e ne ha la stessa sostanza, e quella ‘circostanziale’, che è una causa ambientale, o secondaria, e aiuta la causa sostanziale a trasformarsi nel suo effetto. 
Facciamo un esempio: per avere un albero di mele devono esserci la causa sostanziale, che è il seme del melo, e le cause circostanziali, rappresentate dal terreno, il sole, l’acqua, senza le quali non potremmo avere come risultato quel frutto.
Anche la mente deve avere i due tipi di cause. Siccome non è materia e non è fatta come il corpo di atomi, deve avere una causa sostanziale della sua stessa natura e questa è rintracciabile solo nella mente di un momento precedente: non può esserci una mente che nasce così, all’improvviso, autonomamente. 
Se analizziamo, vediamo che ogni istante mentale appartiene a un continuum: la mente di questo momento è il frutto o risultato di quella di ieri, la mente di una persona adulta proviene da quella di quando era giovane, che a sua volta deriva dalla mente di quando era bambino, che proviene dalla mente di quando era un neonato, che è susseguente alla mente del primo momento del concepimento e quest’ultima deve venire ancora da una mente, che possiamo individuare solo in quella della vita antecedente.
Il corpo fisico proviene dall’incontro del seme paterno con l’ovulo materno, ma la mente non può essere fatta risalire alla mente dei genitori, bensì alla precedente mente dello stesso continuum mentale. Se comprendiamo questo, possiamo risalire a una vita passata da cui siamo arrivati a questa, e applicare la stessa logica per affermare che avremo una vita futura.
La causa della mente deve essere di natura mentale, ed è la mente che trova riparo in un involucro fisico, come nell’ovulo fecondato. Prima di tale unione c’è uno stato intermedio, il bardo, dove si possiedono una mente ed un corpo fisico molto sottili e si è alla ricerca di una nuova esistenza, che viene determinata dal karma delle vite precedenti e anche dalle particolari relazioni karmiche con i futuri genitori. Quando la mente dell’essere del bardo trova questa causa circostanziale (la nuova madre pronta al concepimento) allora prende rinascita.
Se possiamo rintracciare in questo modo una vita precedente all’attuale, andando con il pensiero alla vita precedente e guardando alla nostra adesso, questa risulta essere la vita futura della vita passata. 
C’è una formula nei testi di logica buddhista che indica perché si afferma l’esistenza di una vita passata: “La mente di un bambino al momento del concepimento deve venire da una mente precedente, perché è mente”.
Ci sono scuole di pensiero che affermano che la mente non deve avere una causa precedente mentale perché è prodotta dal corpo, ma affermando che la mente sorge da un corpo fisico, bisognerebbe allora chiedersi se un cadavere ha mente, visto che è un corpo fisico: se abbiamo questa stessa visione materialista dovremmo indirizzare a noi il ragionamento appena fatto. 
Inoltre, se la mente sorge da un corpo fisico, in uno stesso corpo dovrebbero esserci più menti, perché il corpo è costituito da molti atomi, ed è un secondo tipo di argomentazione. Un’altra prova per dimostrare che la mente deriva da una vita precedente è constatare che i figli degli stessi genitori, o i gemelli, o gli individui che hanno avuto le stesse esperienze possono avere attitudini diverse e una differente intelligenza: ciò è dovuto alle diverse cause da ognuno poste nelle vite precedenti. 
Ci sono dei metodi anche nella meditazione per poter vedere le proprie vite precedenti, così come quelle degli altri. È possibile conoscere che cosa eravamo e a riguardo ci sono varie prove.
Si può guardare alla vita dell’attuale Dalai Lama, che è ritenuto essere la reincarnazione del suo predecessore, il xiii Dalai Lama.
In Tibet c’è un lago sacro dove si può scorgere il proprio futuro, e tutti lo possono fare. Quando arrivò il momento di cercare la quattordicesima reincarnazione del Dalai Lama, il reggente di allora vide apparirvi l’immagine di una piccola valle con caratteristiche molto ben definite e furono distinte anche tre lettere tibetane: a, ka, ma. Si ebbero poi delle predizioni e furono mandate varie spedizioni alla ricerca della terra apparsa nel lago. 
Una di esse riconobbe perfettamente nella provincia di Amdo il luogo, e comprese il significato delle tre lettere: a stava per Amdo, ka per le iniziali del monastero del villaggio, ka e ma insieme per le lettere del nome di uno speciale luogo di ritiro lì vicino. Venne riconosciuta la casa del piccolo che si pensava essere il nuovo Dalai Lama e che allora aveva tre anni, e lo si sottopose a varie prove: egli riconobbe tra vari oggetti simili quelli appartenuti al xiii Dalai Lama e scoprì pure la vera identità di un grande Lama conosciuto nella vita passata che, presentandosi a lui in quell’occasione, si era travestito da servitore. 
Possiamo renderci conto del legame dell’attuale Dalai Lama con il precedente per la sua vasta saggezza, intelligenza e grandi qualità. Comunque, la sua biografia completa si trova sia in inglese che in italiano, e leggendola ne avremo un’idea più precisa.
 
Non c’è nulla nell’universo che si generi senza causa, ogni fenomeno ne ha una per poter nascere ed è per questo che le cose si producono in certi momenti particolari e con certe condizioni. Il fatto che ci siano appunto momenti particolari dimostra che quando una causa è operante si produce poi anche il suo effetto, quando la causa non è operante non lo si ha. 
La mente può essere causa circostanziale del corpo e il corpo può essere causa circostanziale della mente, ma i due non possono essere causa sostanziale l’uno dell’altra. L’essere del bardo e l’essere della rinascita successiva hanno mente e corpo; la mente del primo è causa sostanziale della mente del secondo. La mente di ora ha un legame con la mente dell’essere del bardo, che a sua volta ha un legame con la mente dell’essere precedente, e si tratta di legami di causalità.
Il nostro corpo e la nostra mente a un certo momento si separeranno. Il corpo sarà distrutto, però la mente non sparirà nel nulla bensì prenderà una esistenza nel bardo, dopo questa in un’altra rinascita, e continuerà ancora in vite future, a meno che non eliminiamo le cause perché ciò accada. Supponiamo di essere saliti su un treno: dovunque andrà la locomotiva noi andremo. Il karma e i difetti mentali ci portano ovunque e noi li dovremo seguire. Se riusciamo a purificare il karma e a eliminare i difetti mentali, allora potremo ‘saltare giù dal treno’, ‘prendere la nostra macchina’ e andare dove ci pare: avremo completa libertà di scegliere come rinascere.
Ci sono molte vite passate, così come molte vite future; varie prove e ragionamenti sostengono questa teoria, invece l’unica cosa che si può dire a favore della non-esistenza delle vite passate è il fatto che non le vediamo, e questa non è una prova logica.
Ci sono persone che praticano un sentiero religioso perché hanno fede, ed altre che non avendola non lo fanno. Chi non crede e quindi non ha fede non creerà neanche le cause per le vite future e non farà nessun preparativo, chi invece è religioso e crede nelle vite future compirà azioni positive per migliorare la propria situazione e ne godrà poi i risultati.
Che ci si creda o no, comunque, si dovranno sperimentare le vite future e la maggiore o minore fortuna creata. Credendo nelle rinascite faremo tutti i preparativi necessari e nelle esistenze future non saremo dei perdenti. Se invece non vi crediamo non faremo nulla, poi però, quando ci renderemo conto che esistono, realizzeremo anche di aver perso molto tempo, ma non avremo più possibilità di prepararci.
Ci sono due modi per conoscere i fenomeni:
• con la percezione diretta,
• con il ragionamento perfetto.
Molte cose non possono essere viste con la percezione diretta e devono essere quindi comprese con il ragionamento perfetto.
Ora noi siamo in una situazione in cui non possiamo vedere direttamente le vite future e forse non siamo nemmeno in grado di comprendere la loro esistenza attraverso il ragionamento perfetto, ma attraverso la meditazione e la pratica si può raggiungere uno stadio in cui si ottiene la chiaroveggenza, o ‘occhio della divinità’, con la quale si può vedere come un essere prenda effettivamente rinascita dopo la morte. Quindi dobbiamo dare ascolto alle persone che hanno esperienza e che sono in grado di guidarci.
Perché non è possibile ricordare le vite passate?
Prima di tutto perché la nostra memoria non è tale da ricordare tutte le cose accadute prima, poi perché abbiamo cambiato vita e passare da una vita a un’altra è un grande salto. Comunque ci succede anche in episodi quotidiani, come quando, se stiamo cucinando e poi usciamo, ci dimentichiamo del fuoco acceso, lasciando bruciare tutto. Può esserci quindi anche un difetto nella nostra memoria. 
Non si può dire che, siccome non ce ne ricordiamo, le vite passate non esistono! Per esempio, tutti siamo stati nel ventre materno ma non ci ricordiamo di quel momento, e io stesso non lo ricordo, però c’è chi può farlo. E qualche persona può anche ricordare le vite passate.
Ho sentito la storia, raccontata da Sua Santità il Dalai Lama, di un bambino indiano che ricordava la sua precedente vita e a cui non piacevano molto i genitori di quella attuale. Crescendo, cominciò a ricordare i genitori di allora e di avere avuto un incidente in cui era morto. Ricordò il luogo di provenienza e riconobbe i vecchi genitori e la loro casa.
Di sicuro anche noi abbiamo sentito storie simili.
Ho anche appreso da una rivista indiana di una donna che raccontava di essere stata pure nella vita precedente una donna. Aveva sposato un uomo che non l’amava e che insieme alla sua amante l’aveva uccisa e messa in un baule che, gettato da un treno, si era fermato su un ponte. Lei si ricordava di questo e aveva pure riconosciuto il vecchio marito. Già verso i due, tre anni di età aveva cominciato a ricordare, e diceva sempre che voleva i suoi vecchi genitori. Il padre e la madre pensavano avesse delle allucinazioni ma la bambina ripeteva che aveva altri genitori. Al momento abitava in un villaggio molto lontano da quello in cui viveva con la propria famiglia nella vita precedente, e fino all’età di otto anni non le diedero ascolto, poi la bambina disse il nome di quel posto, vi fu portata, e anche se non lo aveva mai visitato, non avendo mai avuto occasione prima di fare un viaggio simile, lo riconobbe chiaramente.
Quando Sua Santità seppe di questa storia si incuriosì e mandò alcune persone a verificare, che osservarono e riferirono quanto detto.
Un’altra storia significativa è quella di Lama Ciüsang Rimpoce che, viaggiando nel nord del Tibet e non potendo più portare con sé i vari animali ed oggetti che possedeva, a un certo punto li lasciò in custodia a una famiglia di tibetani, affinché ne avessero cura. Ma il capofamiglia prese una parte della lana che aveva in consegna e la sostituì con altra più scadente, inoltre vendette alcuni yak e disse in seguito di averli persi.
Lama Ciüsang Rimpoce dopo un po’ di tempo ritornò, e in quella occasione gli venne richiesto di dare un’iniziazione di lunga vita. Ero presente anch’io. Dopo l’iniziazione tutti andarono a visitare Rimpoce e tra gli altri ci fu una donna di cui si impossessò uno spirito che, appena vicino a lui, si confessò dicendo di essere quel capofamiglia morto, si scusò di aver rubato la lana e venduto gli yak, e chiese di essere perdonato e di avere anche un po’ d’acqua, visto che non beveva da molto tempo. Subito dopo aver bevuto, lo spirito dichiarò di essere estremamente felice. Bevve tre caraffe d’acqua e io stesso, che porgevo l’acqua, alla quarta caraffa, pensando di fare anche la benedizione, vi recitai il mantra om ah hum, però lo spirito a quel punto non fu più in grado di finire di bere.
 
Domanda: “Il karma di persone ben disposte può produrre effetti su altre persone migliorandone le condizioni?”
Risposta: “No, non è possibile, perché se non si crea personalmente il karma per godere di un certo frutto, questo non potrà essere sperimentato, come nel caso di un gruppo di persone motivate positivamente che crea un Centro di Dharma: anche chi lo frequenta deve avere la sua parte di karma positivo per usufruirne. Se non viene creato il karma non sarà sperimentato il risultato. Una volta creato il karma positivo, a meno che non venga distrutto dall’odio, ne sperimenteremo il frutto conseguente e lo stesso vale per il karma negativo, qualora non si applichino i quattro poteri opponenti per purificarlo”.
 
Nella nostra situazione, bisognosi di aiuto, occorre cercare rifugio nei protettori che possono guidarci verso la liberazione completa, e questi sono gli esseri illuminati, che agiscono per il beneficio altrui, e i bodhisattva, che hanno ottenuto livelli superiori di comprensione. Inoltre prendiamo rifugio nelle realizzazioni della loro mente e questo è il vero rifugio, perché se riusciremo ad avere noi quelle stesse qualità, godremo della vera protezione, potendo così liberarci dalla sofferenza dell’esistenza condizionata e anche ottenere la perfetta illuminazione, lo scopo finale. (stt.47-48)
 
Quando prendiamo rifugio non lo facciamo soltanto per un giorno ma fino al raggiungimento dello stato di buddha.
Per prendere rifugio, ci si basa sulle sue cause:
• La paura di rinascere nell’esistenza condizionata, in particolare nei tre reami di maggiore sofferenza.
Anche se siamo umani sperimentiamo molta sofferenza, e nell’esistenza ciclica esistono rinascite inferiori, che dobbiamo aver paura di prendere.
• La fiducia nei Tre Gioielli, che hanno la capacità di liberarci dalle sofferenze, o meglio di mostrarci il metodo per liberarcene. 
Noi prendiamo rifugio in tutti e tre, ma in realtà possono sintetizzarsi in uno solo, il Dharma, cioè le nostre realizzazioni nel sentiero, senza le quali gli altri due, Buddha e Sangha, sono inutili. Il Dharma è il vero rifugio, infatti Buddha anche se ha sviluppato tutti i poteri può solo mostrarci la via, come un viaggiatore esperto che ha già fatto il viaggio, ma non può trasferire su di noi la sua saggezza, né prendere su di sé i nostri difetti mentali.
 
Quando si sarà sviluppata la saggezza che comprende la non-esistenza intrinseca dei fenomeni, si potranno eliminare i difetti mentali e raggiungere la felicità permanente, e Buddha può salvarci spiegandoci qual è l’autentica natura dei fenomeni.
Dobbiamo pensare che se ci impegniamo in qualcosa di positivo è grazie ai Tre Gioielli, e che se facciamo azioni negative è per mancanza di rispetto verso di essi e per via dei nostri difetti mentali, e questo ci porterà sofferenza.
Quando dobbiamo affrontare situazioni spiacevoli possiamo pregare i Tre Gioielli, e così facendo creeremo karma positivo e verremo aiutati. I bambini piangono e chiamano sempre la mamma, e allo stesso modo il praticante spirituale dovrebbe pregare i Tre Gioielli.
Se sognando abbiamo un incubo e prendiamo rifugio rivolgendoci a loro, ciò significa che siamo sulla buona strada dello sviluppo mentale.
 
Racconterò ora una storia.
C’era un sarto di nome Kunciung che si recò a trovare una donna il cui marito era via. Mentre era lì a casa questi tornò, e lei, spaventata al pensiero della possibile reazione, nascose il sarto in una cesta e la mise in cantina. 
Di notte sopraggiunsero dei ladri che, vista la cesta e convinti che contenesse cose preziose, la portarono via. Dopo un po’ il sarto dovette fare pipì e così i furfanti, che pensavano di trasportare un tesoro e non certo un uomo, si accorsero di lui e si infuriarono.
Uno di loro credeva in Ishvara, una divinità indiana, e disse a Kunciung: “Non ci hai avvisato che c’eri tu dentro questa pesante cesta e così abbiamo dovuto fare molta fatica inutile, perciò adesso almeno ti sacrificheremo a Ishvara”. Il sarto sapeva che nei sacrifici umani tagliavano la testa della vittima, e non poteva fare niente, ma dal profondo del cuore prese rifugio nei Tre Gioielli. E in quel momento Buddha apparve nelle sembianze di Ishvara e disse ai briganti: “Oggi non voglio l’offerta di un cadavere, ma un corpo vivo”. I ladri ubbidirono e offrirono il sarto, che prontamente scappò ed ebbe così salva la vita.
Questa storia si trova nei testi e a me è stata raccontata da un Rimpoce; ce ne sono molte altre analoghe.
 
Se analizziamo qual è l’origine di qualsiasi felicità, troveremo che sono i Tre Gioielli e, sia che li preghiamo o no, cercheranno di proteggerci e aiutarci in ogni modo. 
Può essere che non crediamo nei Tre Gioielli, ma se abbiamo ottenuto questa preziosa rinascita umana è stato a causa del karma positivo, ed esso è stato accumulato grazie ai Tre Gioielli. Potremmo pensare che anche la sofferenza sia stata causata da loro, ma non è così perché è invece il risultato dei nostri difetti mentali.
Di quanto è stato detto non tutto potrà essere ricordato, ma è necessario che teniate a mente almeno le cose più importanti, e a casa, nella vostra stanza, cercate di rifletterci sopra e poi di metterle in pratica.
 
Nella ‘Preghiera del rifugio’:
 
“Sang ghie ciö dang tsog chi ciog nam la
giang ciub bar du dag ni chiab su ci
dag ghi gin sog ghi pe di da chi
dro la pen cir sang ghie drub par sciog”
 
ci affidiamo ai Tre Gioielli non solo per un giorno, ma da ora fino a che non raggiungeremo l’illuminazione (primi due versi).
Nei versi successivi si dice che se siamo così poveri di quella felicità che tanto desideriamo è perché manchiamo delle giuste cause, e per crearle dobbiamo praticare le azioni virtuose, sorgente di karma positivo, ossia le sei perfezioni, tramite le quali potremo ottenere il loro frutto, la felicità.
Quindi prendere rifugio nel Dharma significa ascoltare e seguire i consigli degli esseri illuminati, i buddha.
Prendiamo infine rifugio nei seguaci del sentiero poiché, se siamo soli, diventa difficile praticare il Dharma e potremmo non farcela; trovandoci invece in un ambiente in cui vi sono anche altre persone impegnate nella pratica spirituale, ci sentiremo incoraggiati e ispirati dalla loro presenza e avremo modo di imparare molto da tali compagni. È come quando desideriamo andare in un luogo lontano: in compagnia di un amico ci sentiremo più contenti e sicuri; diversamente, dovendolo intraprendere da soli, potrebbe avvenire che l’entusiasmo per il viaggio svanisca.
Avere fiducia nei Tre Gioielli e pregarli perché ci mostrino la via verso l’illuminazione è il significato del prendere rifugio.
Le azioni negative sono quelle che procurano sofferenza a noi e agli altri, e hanno varie conseguenze: alcune possono essere dannose immediatamente, altre a lunga distanza di tempo.
Dobbiamo tener conto della nostra esperienza e riferirci a essa. Se qualcuno ci bastona proviamo di sicuro infelicità e una sensazione dolorosa che non ci piace, e non vorremmo più sperimentarle. Esattamente le stesse cose fanno soffrire anche gli altri, ed essi non lo vogliono, quindi possiamo usare noi come oggetto di verifica per sapere ciò che è valido e ciò che non lo è. 
Ora facciamo l’esempio di qualcosa che appare come sgradevole adesso ma che sarà di beneficio in futuro: praticare il sentiero spirituale e affrontare le difficoltà che vi sono legate. 
All’opposto, se qualcuno dovesse consigliare di tralasciare la pratica per il divertimento, ciò risulterebbe gradevole nell’immediato ma dannoso a distanza, perché provocherebbe risultati negativi. È come per la droga: chi desidera una felicità subitanea la cerca, e ottiene una esperienza piacevole in quel momento, ma gravi problemi in futuro. 
Esaminando bene, vediamo che da soli non siamo in grado di orientarci nell’intrico dell’esistenza condizionata, perciò dobbiamo trovare una guida che ci possa aiutare a liberarcene con i metodi giusti. Ciò viene detto negli insegnamenti di Buddha, ma essi non sono una cura magica: dobbiamo avere le idee chiare su come stanno le cose e, cominciando a osservare, ci accorgeremo che una delle principali leggi del mondo fisico è la legge di causa ed effetto, ed è la stessa legge che funziona dentro di noi a livello psichico.
Dobbiamo analizzare la nostra sofferenza e i nostri problemi e riconoscere le loro cause, distinguendole da quelle che recano invece felicità. In questo modo possiamo decidere quali azioni devono essere praticate e quali evitate e, se si è cristiani, è bene ascoltare gli insegnamenti di Gesù Cristo e cercare quindi di compiere le azioni positive ed evitare quelle negative. 
Se qualcuno ci è di aiuto siamo molto contenti, e allora perché non dovremmo fare lo stesso noi con gli altri? Essere di beneficio agli altri è un buon karma, che porta alla felicità.
Volendo seguire i consigli corretti dobbiamo agire, non soltanto invocare e sperare, e ciò vale anche per il comportamento mondano, con una grande differenza però. Lavorando in una fabbrica con cura e fedelmente, infatti, otterremo come risultato un salario e il nostro lavoro darà un profitto a noi e al proprietario della fabbrica; nel caso della pratica del sentiero spirituale, solo noi ne trarremo beneficio e non Buddha, né Cristo.
Una madre che ha amore per il suo bambino gli insegnerà a fare solo le cose giuste e a evitare quelle sbagliate, e gli spiegherà che per avere una vita soddisfacente dovrà studiare. Tutto ciò che dirà sarà in funzione del beneficio del bambino, il quale però, non comprendendo i vantaggi che derivano da quelle indicazioni, le vivrà come un ostacolo alla propria libertà, in quanto la madre porrà dei limiti al tempo del gioco. Così noi non abbiamo nessuna inclinazione per le azioni positive mentre proviamo piacere per le azioni negative, non realizzandone gli effetti di sofferenza, e non siamo in grado di seguire i consigli dei buddha e bodhisattva, che si comportano con noi come una madre con il proprio figlio.
Un principiante che ha un certo interesse per la pratica dovrebbe alzarsi  presto la mattina, preparare un luogo adatto e fare un po’ di meditazione. Si accorgerà che questo ha portato una certa pace e felicità nella mente, e chiedendosene il perché potrà concludere che è il risultato della sua pratica spirituale. Se faremo questo tipo di esperienza ne sentiremo il sapore e nessuno potrà dissuaderci dal ripeterla, come quando assaggiamo un cibo nuovo e se è saporito cercheremo poi di riprovarlo. Ricavando un certo gusto da un’esperienza di meditazione, saremo poi indotti a ripeterla.
Nel buddhismo vengono dati insegnamenti in accordo ai diversi livelli spirituali dei praticanti, come a un bambino viene data un’istruzione adatta alla sua età e non una universitaria. 
Il primo livello riguarda appunto il non creare karma negativo, il purificare quello già prodotto e l’accumulare karma positivo. 
Il livello successivo considera le cause della nostra sofferenza. Tali cause sono i difetti mentali, sei i principali: odio, attaccamento o desiderio, invidia, orgoglio, dubbio e visioni errate. Esaminiamoli singolarmente.
Odio. Provoca infelicità nel momento in cui dobbiamo sperimentare qualcosa che non desideriamo, ma che non possiamo evitare. Quando abbiamo un nemico che desideriamo danneggiare e non riusciamo a farlo, questo ci fa soffrire. Se siamo contenti, tranquilli, e qualcuno ci rivolge parole che consideriamo spiacevoli, il sentimento di avversione che sorge in noi fa sì che la nostra mente diventi infelice ed inquieta. Ancora, a livello mondiale, l’odio è la ragione per cui una nazione dichiara guerra a un’altra.
Attaccamento. Sorge se vediamo qualcosa che ci piace e sviluppiamo il desiderio di ottenerla, ricavandone infelicità e agitazione, cosìcché ci sforzeremo in ogni modo di ottenere quell’oggetto fino a quando non saremo riusciti a possederlo, ma anche in questo caso i problemi non saranno finiti, poiché nascerà poi la paura di esserne separati. 
Odio e attaccamento sono alla base delle dispute sia tra pochi individui che tra collettività, e sono le ragioni di ogni sofferenza. Da essi derivano tutte le tensioni e i litigi tra figli e genitori o tra marito e moglie. Se c’è amore e compassione tra loro ci sarà felicità, ed essendo la stessa cosa valida anche a livello di nazioni non ci saranno neppure conflitti bellici.
Invidia. È quel fattore mentale negativo che ci arreca infelicità quando una persona che non ci piace ha qualcosa di migliore (una casa più bella, un’auto più nuova).
Orgoglio. Ci crea sofferenza nel momento in cui pensiamo di essere superiori agli altri in qualche modo, di avere più conoscenza, più salute, più ricchezza, maggiore bellezza, e questa superiorità non ci viene riconosciuta. Allora cominciamo a provare disagio, come se fossimo minacciati, e non siamo tranquilli.
Dubbio. Sorge quando ci domandiamo se esistano o no le vite passate e future, i Tre Gioielli, la legge di causa ed effetto, e così via. Questa afflizione è come se generasse due punte nella mente. Se abbiamo un ago con una sola punta possiamo cucire, mentre se ne avessimo uno con due punte, non potremmo far nulla. L’ago a due punte non serve per cucire, e allo stesso modo non si riesce a raggiungere nessuna conclusione con una mente che continua a oscillare fra due possibilità. Ciò crea infelicità perché non riusciamo a deciderci per un’azione o per un’altra, per un corretto modo di agire, e quindi non otteniamo i risultati voluti. Avendo dubbi, per esempio, sul fatto che il karma positivo crei felicità, non ci impegneremo ad accumularlo e, nutrendoli sull’esistenza delle vite passate e future o sugli oggetti del rifugio, non elimineremo il karma negativo, non faremo alcuno sforzo, e non potremo neppure realizzare nulla.
Visioni errate. Una visione di questo tipo è presente quando abbiamo la sensazione di un ‘io’ che esiste realmente, naturalmente, come entità autosostenuta, senza dipendere dagli aggregati. Cominciamo allora a pensare: “Io devo avere tutta la felicità, io non devo soffrire, io devo provare piacere a dispetto degli altri”. L’afferrarsi a questa concezione errata di base è la radice di tutti i nostri problemi: abbiamo creato dentro di noi un forte senso di ‘io’ e in contrapposizione abbiamo creato gli ‘altri’, inoltre anche tra gli altri abbiamo fatto delle divisioni tra chi ci è particolarmente caro o ci fa del bene, chi ci disturba in qualche modo o ci danneggia, e che chiamiamo ‘nemico’, e chi infine non rientra in nessuna di queste due categorie ma ci è indifferente. Proviamo quindi infelicità quando non riusciamo a fare tutto il bene che vorremmo agli amici, o quando non riusciamo a distruggere i nemici, coloro che odiamo; in relazione a coloro che ci sono indifferenti abbiamo invece ignoranza. 
I difetti mentali comunque si possono rimuovere, ed eliminandoli cambia la nostra attitudine mentale. Riguardo ai metodi per attuare ciò ce ne sono di vari livelli, ma sostanzialmente sono due: quello temporaneo, che possiamo adottare come misura provvisoria cercando di evitare il più possibile che i difetti si manifestino, e quello definitivo, che consiste nello sradicarli completamente dalla nostra mente, distruggendone il seme.
Relativamente ai metodi temporanei, per quanto riguarda l’odio, se per esempio i genitori ci sgridano e magari ci danno uno schiaffo noi ci arrabbiamo moltissimo, ma se ci pensiamo su, visto che è stato un episodio che è durato solo un attimo, mentre i genitori ci hanno amato e fatto del bene molto a lungo, allora l’odio si raffredda. 
Riguardo all’attaccamento, non bisogna averne neppure per le esperienze positive già sperimentate, perché di queste cosa ci rimane? Tutto è già passato, inoltre avendo avuto esperienze di piaceri fisici, proprio a causa dell’attaccamento verso di essi abbiamo accumulato una grande quantità di karma negativo, non abbiamo creato karma positivo, e siamo andati contro i consigli del guru.
Relativamente agli antidoti per l’orgoglio, se sorge in relazione al fatto che ci sentiamo ricchi bisogna considerare che molte persone lo sono più di noi. Se la causa è una grande conoscenza, rendiamoci conto che, siccome non abbiamo ancora ottenuto lo stato di buddha, ci sono molti esseri più progrediti di noi che hanno ottenuto alti livelli di realizzazione e una conoscenza più elevata della nostra, che è nulla al confronto, e anche se siamo arhat non possediamo comunque la bodhicitta e la completa illuminazione. Se siamo orgogliosi per la nostra giovinezza e salute bisogna meditare sull’impermanenza e la morte pensando che da un momento all’altro possiamo ammalarci e che in ogni caso diventeremo vecchi. 
Dobbiamo chiederci se siamo liberi dall’esistenza ciclica e, comprendendo che così non è, ci renderemo conto che persone verso cui ora ci sentiamo superiori potrebbero rinascere in una posizione migliore della nostra. Anche questo è un modo per combattere l’orgoglio e, inoltre, non possiamo effettivamente giudicare una persona, la quale potrebbe avere molte più qualità di noi, che in ogni caso abbiamo tanti difetti.
Quando litighiamo con qualcuno cerchiamo di colpirlo con molta forza, e allo stesso modo se proviamo orgoglio dobbiamo batterci contro di questo il più possibile, con ragioni logiche.
Riguardo a una soluzione definitiva per eliminare odio e attaccamento, occorre che esaminiamo la natura degli oggetti a cui sono rivolti. Normalmente pensiamo che gli oggetti dei nostri sentimenti abbiano una esistenza propria, concreta, dalla propria parte, fuori di noi, che non dipendano da una nostra designazione mentale, né da nient’altro. Possiamo invece renderci conto che non è così, e si può dire che sono creati dalla nostra mente. Quando cominciamo a realizzare questo, ad avere una comprensione della vacuità di esistenza intrinseca dei fenomeni, ciò costituisce un antidoto molto potente a tutti i tipi di difetti mentali.
Se pensiamo che Lobsang Dorje sia un ‘nemico’, cominciamo ad analizzare dov’è questo nemico, se nella testa, nei piedi o nella mente. Vedremo allora che questo nemico non c’è ‘veramente’, ma è solo un nome attribuito dalla mente. Analizzando così l’odio scompare, e con esso l’infelicità.
Se invece abbiamo attaccamento per lui e cerchiamo di scoprire dov’è la sua bellezza, se nei capelli, nella testa o nei piedi, ci accorgeremo che niente ‘veramente’ ci piace. E allora dov’è tale bellezza? Non c’è, perché è solo frutto di una nostra proiezione mentale, di una designazione nominale.
Cerchiamo di analizzare tutto ciò e di stabilire delle ragioni valide dentro di noi, contrapponendo alla mente che ha visioni errate la mente che ha visioni corrette. In questo modo, avendo anche eliminato i semi dei difetti mentali, li avremo sradicati completamente. 
Poiché oggetti di odio o attaccamento non esistono concretamente, intrinsecamente, dalla propria parte, come è allora possibile che proviamo l’uno e l’altro? A volte lo stesso oggetto può addirittura essere una base per entrambi. Ora, ciò è dovuto a cosa noi proiettiamo su questo oggetto.
Facciamo un esempio su come sia possibile che svaniscano odio ed attaccamento quando comprendiamo che gli oggetti non esistono nel modo in cui noi avevamo creduto. Vedendo da lontano uno spaventapasseri che ci sembra un uomo, se ne abbiamo paura proveremo avversione, se ci piace proveremo desiderio, ma quando ci avviciniamo a esso con una di queste attitudini, scoprendo che si tratta di uno spaventapasseri l’odio o l’attaccamento che nutrivamo per quello che credevamo un uomo svaniscono. L’odio o l’attaccamento verso questo ‘uomo’ sono frutto della nostra mente, scaturiscono da noi.
Quindi i fenomeni non esistono che dipendendo da diversi fattori e condizioni, mentre generalmente li percepiamo come se esistessero concretamente, indipendentemente da ogni altra cosa. Se realizziamo la natura autentica dei fenomeni scompare anche la base per l’odio, per l’attaccamento e per gli altri difetti mentali. Come essi ci appaiono e come effettivamente esistono sono due cose differenti. Non esistono dalla loro parte oggetti di odio e attaccamento: essi sono solamente frutto di una nostra designazione e proiezione, in pratica li abbiamo creati noi; ma possiamo cambiare la nostra attitudine mentale quando scopriamo che non esistono intrinsecamente come oggetti dei difetti mentali e allora, automaticamente, possiamo eliminare questi ultimi. Tale modo di pensare è una cosa nuova per noi e non possiamo pensare di comprendere subito, poiché ora crediamo esattamente il contrario riguardo al modo in cui i fenomeni esistono, ma dobbiamo riflettere fino a che diventerà un modo naturale di percepirli, una realizzazione.
La vacuità di esistenza intrinseca dei fenomeni è il loro effettivo e ultimo modo di esistenza, e con questa realizzazione otterremo la completa liberazione, e la felicità che allora sperimenteremo sarà grande come non mai. A causa delle visioni errate a volte creiamo karma positivo a volte negativo, e di conseguenza qualche volta sperimenteremo felicità altre volte infelicità, ma se genereremo la visione corretta dei fenomeni non produrremo più karma causa di sofferenza, bensì accumuleremo solo cause di felicità. I difetti mentali possono essere eliminati, però questo cambiamento non è immediato ma graduale, e fino a che non ci riusciremo completamente, dobbiamo togliere loro ogni occasione di sorgere, perché producono continuamente visioni distorte, così come se un pazzo è molto violento e distruttivo, finché non lo si cura completamente lo si confina in una stanza e, se c’è pericolo che danneggi anche se stesso, lo si legherà fino a quando non sarà guarito del tutto.
Riconoscere i difetti mentali e cercare di liberarsene definitivamente è chiamato livello medio della pratica del Dharma, mentre il livello inferiore è il desiderio di una vita migliore nel futuro. Il livello più alto della pratica, infine, sta nell’impegnarsi nel sentiero dopo aver generato la mente dell’illuminazione, fino a ottenere lo stato finale di un buddha per il beneficio degli esseri. Per ognuno dei tre livelli di pratica, dei tre scopi, bisogna creare le cause e lo sforzo necessari per ottenerli. Se vogliamo andare in un certo luogo, prima dobbiamo prendere adeguate informazioni e poi impegnarci per raggiungerlo. Ascoltare gli insegnamenti circa i tre livelli equivale al prendere informazioni, mentre la pratica effettiva equivale al cercare di raggiungere la meta. Ci sono vari obiettivi, ma una volta sceltone uno dobbiamo comunque purificare il karma negativo. Ci sono karma negativi facili da purificare, altri difficili, così come ci sono pratiche che possono essere fatte facilmente, altre molto difficilmente. Quindi dobbiamo impegnarci in ciò che possiamo fare subito, e poi creare le cause per le pratiche più elevate, cercando di passare ai livelli superiori gradualmente.
Abbiamo detto che il secondo capitolo del Bodhisattvacharyavatara tratta della purificazione del karma negativo e dell’accumulazione dei meriti come preparazione alla generazione della mente benefica dell’illuminazione. Il karma positivo si crea facendo offerte agli esseri illuminati che possiedono le varie qualità positive. “Per la paura delle conseguenze del karma negativo, offro il mio corpo al bodhisattva Samantabhadra e al bodhisattva Manjushri, perché si prendano cura di me”. (st.49)
Allo stesso modo, perché ci protegga, si cerca rifugio in Avalokiteshvara, che è la manifestazione della compassione di tutti i buddha. (st.50)
Offriamo poi noi stessi e prendiamo rifugio anche negli altri bodhisattva, come Vajrapani, che spaventa e terrifica i messaggeri della morte. (stt.51-52)
Cerchiamo protezione e rifugio negli otto bodhisattva principali – che per il beneficio degli esseri si sono manifestati in tale forma pur essendo già dei buddha – perché avendo noi sicuramente creato karma negativo, che maturerà in risultati di sofferenza, desideriamo purificarlo per non doverne sperimentare gli effetti. Queste invocazioni vengono fatte sulla base del pentimento per non aver ascoltato i consigli ricevuti: realizzando la gravità della nostra situazione prendiamo rifugio per essere protetti dalle conseguenze di tale comportamento. Se una persona condannata per un grave crimine sa di poter chiedere la grazia, di sicuro dal profondo del cuore sentirà il desiderio di invocarla. Allo stesso modo, considerando quanto sia ridotto il nostro karma positivo e quanto esteso quello negativo, dobbiamo cercare protezione e rifugio in qualcuno che sia in grado di aiutarci. (st.53)
Quando soffriamo per una malattia ci rivolgiamo a un medico che ci prescrive cure anche spiacevoli ma, sperando in una guarigione, seguiamo la terapia. Se siamo disposti a fare ciò anche per sofferenze limitate nel tempo, perché non cerchiamo la guida di un essere illuminato per evitare sofferenze di lunga durata? (st.54)
L’odio è un difetto mentale che può causare la distruzione e la sofferenza di tanti esseri: nessun dottore sulla terra è in grado di curare una malattia tanto grave. Incontrando il ‘medico onnisciente’ che ci spiega quanto può essere negativo, come fare per distruggerlo e per liberarci dai difetti mentali in generale, se non seguiamo tali consigli siamo persone estremamente ottuse e diventiamo oggetto di disprezzo di tutti gli esseri. (st.56)
Quando camminiamo vicino a un comune precipizio dobbiamo essere prudenti, ma se non lo siamo quando camminiamo sull’orlo di un burrone ben più profondo possiamo dirci pazzi. (st.57)
A causa della pigrizia, pur avendo compreso le conseguenze del karma negativo, pensiamo che non sia necessario purificarlo proprio ora, perché non crediamo di dover morire adesso, e rimandiamo la pratica del comportamento appropriato. (st.58)
Tuttavia è irragionevole e illogico pensare di trovare in futuro una condizione favorevole piuttosto che sfruttare quella attuale. Occorre cercare di fare ciò che è giusto subito, perché non sappiamo quando dovremo lasciare questo corpo. (st.59)
Finora non eravamo consapevoli, a causa dell’ignoranza, delle conseguenze specifiche delle diverse azioni, ma adesso le conosciamo, perciò cerchiamo rifugio nei veri protettori, confessiamo il karma negativo e chiediamo le benedizioni degli esseri realizzati per essere in grado di purificarlo. Le trasgressioni morali sono distinte in due tipi: quelle in relazione alla disciplina etica (come il non uccidere) e quelle in relazione a certi voti presi (come il non bere alcool). Per purificare il karma negativo dobbiamo riconoscere ognuna di esse alla presenza degli esseri illuminati visualizzati, con la giusta attitudine di rispetto e con offerte appropriate. Poi determiniamoci a non commettere più quelle azioni in futuro. (stt.63-65)
Sarebbe un’ottima cosa che ciascuno di noi durante la giornata osservasse ogni propria azione valutando se è positiva o negativa, e sarebbe molto utile contare quelle valide, perché potremmo constatare di migliorare gradualmente. Dovremmo essere in grado di giudicare e proteggere noi stessi dalle azioni negative, come un soldato che difende la propria nazione. Creando solo karma positivo moriremo con tranquillità e gioia, ma se creiamo molto karma negativo, al momento della morte saremo preoccupati, infelici, inquieti. Inoltre creando karma negativo non saremo amati dagli altri, mentre ne avremo l’approvazione creando karma positivo. Queste considerazioni ci aiuteranno a essere equilibrati e corretti. Se possediamo dell’oro misto a scorie, rimuovendo queste avremo solo oro puro e sia che lo mettiamo nell’acqua che nel fuoco rimarrà sempre tale. Così, se avremo purificato la mente con l’eliminazione dei difetti mentali resterà solamente la mente pura e non è irragionevole affermare che sperimenteremo solo una costante felicità, possedendo ormai soltanto le sue cause e avendo eliminato quelle della sofferenza. La forma fisica grossolana è la base di tutti i nostri problemi e abbiamo dovuto prenderla avendone creato le cause ma, se le sradichiamo, in futuro saremo in grado di ottenere un corpo sottile, che potrà sperimentare una felicità superiore e permanente. Se pensiamo bene, riconosciamo che al momento della nascita abbiamo dovuto sopportare una grande sofferenza, crescendo abbiamo incontrato molti problemi, in futuro ne avremo altri, e tutto ciò sulla base di questo corpo, che richiede moltissimo per il suo mantenimento. Appena ci alziamo abbiamo bisogno di bere, di mangiare, di vestirci, e abbiamo bisogno di una casa per proteggerci. Tutte queste, che ci costano tanto sforzo, sono necessità del nostro corpo. Ma pur avendo molte cose non siamo contenti: l’abitazione che abbiamo non ci basta, e anche la nazione dove viviamo non ci soddisfa e andiamo all’estero in cerca di altro. Nel primo insegnamento che diede a Sarnath sulle ‘Quattro nobili verità’, Buddha spiegò che la prima cosa da conoscere è la ‘Verità della sofferenza’, poi bisogna comprendere la ‘Verità della causa della sofferenza’, quindi occorre seguire la ‘Verità del sentiero’, per attualizzare infine la ‘Verità della cessazione della sofferenza’. Questo è il processo per l’effettivo superamento della sofferenza. Seguire il sentiero è l’antidoto contro i difetti mentali. Avendo saputo che il corpo fisico è la base di tutte le sofferenze potremmo pensare che basterebbe morire per mettervi fine, ma è stato detto che questo nostro continuum mentale procederà, istante dopo istante, per sempre, e se noi lo purifichiamo dai difetti mentali ciò che continuerà sarà una mente pura, mentre adesso è una mente confusa, mista a fattori mentali negativi e positivi. Non si ottiene la liberazione da questo corpo fisico uccidendolo, bensì cercando di liberarci dalle cause da cui deriva, in modo da non doverne più ottenere uno simile in futuro. Se libereremo la mente dai difetti mentali avremo una mente pura e un corpo puro, un corpo ‘finale’ con il quale saremo in grado di sperimentare la felicità più alta. Tra noi e la realtà ci sono i difetti mentali e questi ne velano la nostra percezione corretta. Ottenendo lo stato perfetto di buddha, in cui essi non saranno più presenti, potremo invece conoscere direttamente la realtà, come quando osserviamo qualcosa nel palmo della mano. Riguardo alle diverse manifestazioni del corpo di un buddha, il dharmakaya è il corpo che ha eliminato completamente tutte le ostruzioni, tutti i difetti mentali, e ha realizzato tutte le qualità. Questa mente illuminata è quel continuum mentale che ha completamente sia purificato che accumulato. Ma un dharmakaya può essere percepito solo da un altro essere illuminato, ed è per questo che un buddha, per essere di beneficio a noi, si manifesta con il corpo della forma – che in natura è un corpo mentale ma appare come grossolano – affinché noi lo possiamo percepire e averne appunto beneficio. Il corpo della forma ha due manifestazioni: il sambogakaya e il nirmanakaya. Il primo può essere percepito solo dagli esseri superiori, gli arya, coloro che hanno la percezione diretta della vacuità, il secondo può essere percepito anche dai bodhisattva dei livelli inferiori del sentiero e dagli esseri ordinari. Quando Buddha Shakyamuni venne in questo mondo, tutti poterono vederlo perché si manifestò come un nirmanakaya, ma può prendere varie altre forme, di amico, di maestro, a seconda delle necessità e del livello degli esseri. Dobbiamo quindi ottenere lo stato di buddha in modo da essere anche noi in grado di realizzare tutto ciò, per cui generiamo la mente amorevole di bodhicitta, che aspira all’illuminazione per il beneficio degli esseri e inoltre pratichiamo le sei perfezioni trascendentali o paramita. La prima è la generosità, che non è spiegata in particolare in nessun capitolo di questo testo di Shantideva: una parte la si trova nel primo capitolo, un’altra nel secondo e un’ultima parte nel nono. La seconda paramita è la moralità, che ha due capitoli dedicati esclusivamente a essa, il quarto e il quinto. La pazienza è spiegata nel sesto capitolo. Lo sforzo entusiastico, il piacere di accumulare karma virtuoso, è spiegato nel settimo capitolo. La paramita della concentrazione è spiegata nell’ottavo capitolo. La saggezza viene trattata nel nono capitolo. Quindi il Bodhisattvacharyavatara, in cui sono spiegate tutte le sei paramita, è un manuale per chi aspira alla pratica del sentiero di Buddha, per ottenere il suo stesso stato e compiere così il beneficio di tutti gli esseri, scopo ultimo del Dharma.
 

Commento al 3° capitolo:
Completa accettazione della mente dell’illuminazione

L’accumulazione dei meriti e la purificazione delle negatività vengono fatte con quella che si chiama la ‘Preghiera in sette rami’, che sono:
1. Le prostrazioni ai buddha e bodhisattva, antidoto all’orgoglio.
2. Le offerte, antidoto all’avarizia.
3. La confessione.
4. Gioire per il karma positivo creato da noi e gli altri, antidoto alla gelosia.
5. Richiedere insegnamenti ai Maestri.
6. Richiedere loro di non abbandonarci, di ‘Girare la ruota del Dharma’, ossia di rimanere nel samsara fino a che questo esiste, continuando a guidarci.
7. La dedica dei meriti creati nel passato, presente e futuro, all’ottenimento dello stato di buddha per il beneficio di tutti gli esseri.
 
Nei primi due capitoli sono state spiegate tre di queste pratiche: le prostrazioni, le offerte, la confessione; il terzo capitolo inizia trattando del quarto ramo, il gioire. 
Si gioisce del karma positivo e della felicità nostra e degli altri, di quel tipo di felicità che, come un periodo di riposo tra lunghi periodi di sofferenza, si può sperimentare anche nelle esistenze samsariche sfortunate. (st.1)
Gioiamo di tale buon karma, della collezione di virtù, delle cause che permettono di ottenere la liberazione dal samsara ed inoltre dei meriti accumulati dagli arhat shravaka, dagli arhat pratyekabuddha e dagli arya, quegli esseri superiori che hanno la libertà definitiva dalle sofferenze dell’esistenza condizionata. (st.2)
I buddha desiderano che tutti gli esseri siano liberi dalla sofferenza e ottengano lo stato finale di completa illuminazione, e quindi hanno un’infinita collezione di virtù, vasta come l’oceano: gioiamone. (st.3)
Gioiamo della virtù dei bodhisattva, dei meriti necessari per ottenere una rinascita migliore, del karma positivo causa del nirvana, delle virtù che conducono all’illuminazione. (st.4)
I buddha e i bodhisattva sono la sorgente di ogni tipo di felicità e di meriti che possediamo, perché ci insegnano come praticare, accumulare buon karma ed ottenere la cessazione della sofferenza. Per giungere ad avere la capacità di aiutare tutti gli esseri hanno praticato numerosi e profondi sentieri, come quello delle sei perfezioni trascendentali.
Gioiamo di tutto ciò, che equivale ad apprezzare le buone virtù degli altri ed è uno stimolo per la creazione di ulteriore karma positivo, oltre a essere già in se stessa un’accumulazione. Al contrario, se gioiamo del karma negativo nostro e altrui, ciò diventa la base perché se ne produca ancora.
 
[Le stanze 3-4 in alcune versioni del testo radice sono contate come una; di conseguenza tutta la successiva numerazione del capitolo retrocede di uno, e l’ultima stanza il capitolo è indicata come 33 invece che 34. N.d.c.]
 
Il quinto ramo è la richiesta che venga girata la ruota del Dharma. (st.5)
Non è sufficiente che esistano i buddha e i bodhisattva, che esistano gli insegnamenti, che desideriamo la felicità e non la sofferenza: bisogna conoscere i metodi per liberarci da quest’ultima ed ottenere la prima e, per impararli, occorre creare le condizioni per ricevere insegnamenti e poi seguirli sotto la guida degli esseri illuminati. Siamo avvolti dall’oscurità dell’ignoranza e a causa di ciò non riusciamo a trovare il vero sentiero, perciò abbiamo bisogno della lampada del Dharma e del Maestro spirituale, allo stesso modo in cui, dovendo cercare qualcosa nella nostra stanza se è buio, occorre accendere la luce. 
Il sesto ramo è pregare i buddha e bodhisattva di rimanere il più a lungo possibile come nostra guida perché troviamo il giusto sentiero, dal momento che ora siamo come ciechi che vagano nel samsara. (st.6)
Il settimo ramo è la dedica delle virtù accumulate con le pratiche precedenti. Dedichiamo la virtù accumulata nel passato, quella che stiamo accumulando ora e quella che accumuleremo in futuro, affinché si ottenga l’illuminazione, per il beneficio di tutti gli esseri. (st.7)
Questo ramo è come un’assicurazione poiché, pur avendo creato molto karma positivo, esso può in certi casi andare distrutto, ma con la dedica lo preserviamo, dedicandolo agli altri.
Le sette pratiche appena descritte vanno fatte invitando i buddha e i bodhisattva e visualizzandoli davanti a noi. In questo modo si accumulano meriti e si eliminano le potenzialità negative.
I buddha e i bodhisattva gioiscono delle nostre azioni positive, come i genitori per i buoni risultati ottenuti da un figlio, e già produrre quell’effetto costituisce un merito.
Quando invitiamo di fronte a noi gli esseri illuminati, è certo che ciò avverrà realmente, dal momento che tre sono i possibili modi per spostarsi:
• camminando, o con altri mezzi fisici,
• attraverso l’aspirazione,
• con il potere della meditazione.
Se dal profondo del cuore noi li invochiamo, essi saranno presenti e ascolteranno le nostre richieste e preghiere poiché raggiungono ogni posto con il semplice desiderio, senza bisogno di mezzi di trasporto come noi. La velocità con cui ci si sposta in questo modo è simile a quella della luce che attraversa lo spazio.
Quando li invitiamo, buddha e bodhisattva arrivano effettivamente (non è semplice immaginazione) per ricevere le nostre offerte ed ascoltare le nostre richieste e confessioni.
Nella biografia di Milarepa è detto che egli viaggiò sui raggi del sole. Questo accadde quando incontrò uno sciamano bön (appartenente alla religione presente in Tibet prima dell’introduzione del buddhismo) che era un mago e conosceva molti metodi anche per viaggiare senza mezzi fisici. 
Milarepa e lo sciamano si affrontarono in una competizione consistente nel raggiungere il più velocemente possibile il monte Kailash: chi fosse arrivato prima lo avrebbe posseduto. Lo sciamano partì la notte stessa volando su un tamburo rotondo, mentre Milarepa dormì tranquillo e, appena sorto il sole, cavalcandone i raggi raggiunse in un attimo la cima della montagna.
 
Nei testi di Lam Rim la bodhicitta viene trattata nella parte finale, ma nel Bodhisattvacharyavatara tale argomento viene sviluppato subito, perché il testo è diretto a coloro che hanno già la capacità di incamminarsi lungo il sentiero verso la perfetta illuminazione, il Mahayana.
È importante comprendere che il principale metodo con cui gli esseri illuminati ci aiutano è attraverso la spiegazione del Dharma.
Gli insegnamenti dati da Buddha Shakyamuni sono stati raccolti in numerosissimi volumi, a loro volta commentati e sintetizzati da vari Maestri indiani. Essi furono in seguito portati in Tibet, tradotti completamente, studiati e condensati dai Maestri tibetani. Una parte è stata quindi portata in occidente, nel cosiddetto ‘mondo di fuori’, alcuni sono stati tradotti e da essi abbiamo imparato come ottenere un po’ più di pace, o certi cambiamenti in meglio, o come sviluppare bodhicitta. Dopo aver ottenuto queste comprensioni, gli occidentali stessi le diffondono. 
È evidente perciò come si possano ancora avere effettivi benefici dagli insegnamenti originali, pur così antichi.
 
Pensando agli esseri in termini di pazienti che devono essere curati, continuiamo la dedica esprimendo il desiderio di poter essere per loro dei dottori, degli infermieri, delle medicine, fino a che non otterranno la completa guarigione. (st.8)
Dopo questo punto, nel testo è spiegato il tipo di addestramento necessario per trasformare la mente e darle quella forma ed attitudine che siano di massimo beneficio per gli altri. Con tale disposizione mentale, solo tesa e preoccupata per il benessere altrui, anche tutti i nostri problemi cesseranno.
Dedichiamo il nostro karma positivo affinché si trasformi in una pioggia di cibo e bevande per eliminare la sofferenza della fame e della sete e preghiamo di poter trasformare noi stessi in mezzi di ristoro per alleviare fame e sete nei periodi di carestia. (st.9)
Ci sarà una certa era cosmica in cui gli esseri dovranno sopportare in particolare proprio tali sofferenze.
“Possa io diventare un tesoro inesauribile per chi è povero, e chi è carente di qualcosa possa ricavare da me tutto ciò di cui abbisogna. E che io sia loro vicino in modo che, per trovare questo, non debbano avere troppe difficoltà”. (st.10)
Venendo in Italia, dall’aereo ho visto alcune regioni quasi completamente desertiche, come l’Arabia. Il suo popolo però vi ha scoperto il petrolio e, anche se manca di ogni altra ricchezza naturale, gode di una certa prosperità: questa potrebbe essere la realizzazione della dedica di un bodhisattva. Dobbiamo considerare ciò un esempio di come si possa offrire la propria energia agli esseri affinché ovunque ci sia una necessità sia possibile trovare una soluzione adatta. Iniziamo con l’addestramento mentale per poi arrivare a impegnarci in azioni, per ora impensabili, con le quali effettivamente riusciremo a soddisfare le esigenze degli altri. 
Allora dedichiamo il nostro corpo, i nostri piaceri, felicità e accumulazione di meriti del passato, presente, futuro, per il beneficio degli esseri, e questo senza alcun senso di perdita. (st.11) 
Con la dedica che tutto include otterremo la realizzazione finale dello stato di un buddha.
Offrire tutto agli esseri è ragionevole secondo due considerazioni.
La prima è che in genere siamo soliti investire ciò che abbiamo per ricavarne un profitto. Perciò potremmo dedicare i meriti per l’ottenimento in futuro di una situazione migliore o, ancora di più, del nirvana – lo stato della cessazione della sofferenza – ma ciò è ancora inferiore al massimo investimento: dedicare ogni merito per poter ottenere la realizzazione più alta – lo stato di un buddha – per il beneficio di tutti gli esseri. La seconda considerazione è che al momento della morte dovremo abbandonare comunque anche questo nostro corpo che ci è così caro, quindi non è forse meglio offrirlo adesso per poter ottenere tutti questi vantaggi, piuttosto che abbandonarlo poi senza nessuno scopo? (st.12)
“Per il fatto che ho donato completamente il mio corpo per il piacere di tutti gli esseri, non mi riguarda più se mi insultano, mi maltrattano o mi uccidono, perché esso è già completamente destinato al loro beneficio”. (st.13)
Avendo offerto il nostro corpo agli altri non dovremmo infatti essere preoccupati dell’uso che essi ne fanno: se lo picchiano, se lo deridono o se lo disprezzano. Una madre regala un giocattolo al proprio piccolo il quale poi ne fa ciò che vuole, e un padre non mantiene il controllo su un’automobile donata al figlio, altrimenti ciò vorrebbe dire che non l’ha messa completamente a sua disposizione.
“Possano gli altri usare il mio corpo in qualsiasi modo lo desiderino, per qualsiasi lavoro, purché ciò non sia di danno ultimo per loro o per me. Siccome mi sono offerto completamente agli altri, possano essi trovare in me tutto ciò di cui hanno bisogno, e possa io non essere mai inutile”. (stt.14-15)
Ciò sta a significare che non poniamo limiti, ma non vuol dire che si venga usati per uccidere qualcuno, e neppure che gli altri possano ucciderci, bensì mettiamo alla prova la nostra determinazione a offrire in modo completo il nostro corpo, e anche a essere pronti per un estremo sacrificio se ciò fosse di beneficio per gli altri e per noi. 
Se stessimo per commettere una gran quantità di karma negativo e qualcuno per evitarci di doverne subire le conseguenze ci uccidesse, dobbiamo essere disposti a sopportarlo.
C’è la storia di una delle vite passate di Buddha, quando era un bodhisattva, che illustra questa possibile situazione. Una volta, dopo aver viaggiato con cinquecento altri mercanti in cerca di tesori, stava ritornando in patria con loro, avendo accumulato grandi ricchezze. Saputo che era intenzione di uno di loro uccidere tutti gli altri compagni per potersi impossessare di ogni cosa, e non potendo dissuaderlo, per compassione e per evitare che si creasse tanta sofferenza, il bodhisattva uccise il mercante. Questa azione fu di grande beneficio e inoltre, poiché era motivata dalla compassione, non generò karma negativo.
Nel testo comunque si parla di essere pronti a lasciarsi uccidere e non esattamente dei benefici di quel tipo di azione.
Ogni volta che ci sediamo in meditazione dobbiamo ricordarci della ‘Preghiera in sette rami’, perché vi è contenuta l’essenza di tutto ciò che dobbiamo praticare.
 
Domanda: “Si è detto che dobbiamo donare il nostro corpo agli altri, lasciando anche che si prendano gioco di noi, ma così non poniamo le basi perché creino karma negativo? Come si spiega?”
Risposta: “In ogni situazione bisogna sempre agire con saggezza, guardando se il nostro dono sarà più di beneficio o più di danno. Se i vantaggi sono superiori è opportuno farlo, altrimenti no”.
 
Il testo continua:
“Si possa creare sempre una relazione tra me e ogni essere, sia che abbia un pensiero di odio o di fede verso di me, in modo che io diventi la fonte per realizzare ogni desiderio”. (st.16)
“Sia che gli esseri mi insultino, mi deridano o mi danneggino in qualsiasi modo, possano avere la fortuna del completo risveglio, ed io essere la causa di tale ottenimento”. (st.17)
“Possa io diventare una guida per chi non ha guida e un protettore per chi non ha un protettore. Chi ha bisogno di essere condotto lungo il viaggio verso l’illuminazione, o anche solo in questo mondo ordinario, possa trovare in me una guida. Possa io diventare un ponte, un battello, una nave per chi ha bisogno di attraversare un fiume o una distesa d’acqua”. (st.18)
“Per chi desidera un’isola per riposarsi o altro, possa io esserlo. Per chi è nell’oscurità e ha bisogno di luce, possa io mutarmi in essa. Per chi ha bisogno di una casa o di un riparo, possa io diventarlo. Per chi ne ha bisogno, possa io fare da servitore ”. (st.19)
“Per chi ha varie necessità, possa io diventare una gemma che esaudisce i desideri e un vaso della fortuna”. 
“Possa io acquisire tutti i poteri della pratica del Tantra e diventarne un perfetto praticante, in modo da riuscire a soddisfare tutti coloro che hanno bisogno di essere curati e liberati dalla sofferenza, ed ottenere io stesso quanto mi occorre.”
Con la Puja di Tara, a esempio, possiamo ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno e impiantare negli altri il seme della virtù. In certe circostanze, inoltre, possiamo anche usare l’azione irata per il loro bene.
“Possa io essere mantra”.
Queste sono formule particolari, molto potenti, che si recitano nel Tantra.
“Possa io diventare una prodigiosa medicina per tutte le sofferenze del mondo”.
Qui si parla di pillole fatte con essenze di fiori e poi benedette con i mantra, che danno salute e longevità.
“Possa io diventare l’albero che esaudisce i desideri”.
Si tratta di un albero che si trova nel continente meridionale, così grande che le radici arrivano fino ai reami inferiori, il tronco nel reame umano, la chioma nei reami degli dei.
“Possa io essere la mucca che dà continuamente latte”. (st.20)
Se ci chiediamo dove siano questo albero e questa mucca non siamo in grado di dirlo con esattezza ma, se esistono, che noi possiamo diventare tali fonti di gioia. Ora non riusciamo a individuare questo albero, ma non siamo neppure in grado di esprimere questi desideri, tuttavia se creiamo del buon karma, da esso potremo avere ogni felicità. 
“Proprio come lo sono lo spazio e i grandi elementi (terra, acqua, fuoco, aria), possa io diventare lo stesso prezioso sostegno per la vita di tutte le creature infinite”. (st.21)
“Per i molteplici esseri di tutti i regni, che arrivano ai confini dello spazio, possa io diventare ciò di cui hanno bisogno per trascendere il dolore”. (st.22)
 
Una volta una persona chiese a Sua Santità il Dalai Lama: “I bodhisattva innalzano preghiere così sublimi che sembra impensabile che possano poi effettivamente tradursi in realtà. Che scopo c’è, allora, nel farle?” Il Dalai Lama rispose che la maggior parte di esse risulteranno impossibili da realizzarsi, ma che questo tipo di preghiere allargano la mente dei bodhisattva, dando loro più coraggio. È importante l’addestramento mentale, e il bodhisattva lo svilupperà tanto da possedere veramente in seguito l’attitudine di poter fare qualunque cosa.
 
Gli ultimi versi commentati contengono la dedica del dono del nostro corpo, delle nostre virtù, di tutto ciò che possediamo: questo per arrivare ad affrontare qualsiasi difficoltà si possa incontrare nella pratica e nel sentiero verso l’illuminazione perfetta, il che fa parte del nostro addestramento mentale. 
Ora siamo giunti all’effettiva generazione di bodhicitta.
I precedenti buddha lo sono diventati avendo generato questo tipo di mente e avendo poi praticato i voti e gli impegni dei bodhisattva attraverso le sei perfezioni trascendentali solo ed esclusivamente per il beneficio degli esseri, a cui si stanno dedicando anche ora.
Per ottenere lo stato di buddha dobbiamo averne il seme, la bodhicitta, la particolare attitudine che ci porta a determinarci ad assumere noi la responsabilità di prenderci cura degli esseri. 
Questa mente che aspira all’illuminazione per il loro bene, dovrà sorgere spontaneamente e non in modo artificiale, come succede per noi ora. Essa ha come base l’amore e la compassione. L’amore è quella mente che desidera la felicità degli esseri, mentre la compassione è la mente che, considerando la loro sofferenza, desidera che ne siano liberi.
È facile generare amore e compassione nei confronti di amici, parenti e persone che amiamo, mentre è difficile nei confronti dei nostri nemici o di coloro che pensiamo ci possano danneggiare, ed è di media difficoltà generarli nei confronti di persone che ci sono indifferenti, tuttavia bisogna dirigere il nostro amore e compassione verso ogni essere, sia amico, nemico o indifferente. 
Quando saremo in grado di includere tutti, allora avremo ottenuto la realizzazione di questi stati mentali virtuosi.
Tra le persone che amiamo, quella verso cui ci sentiamo più vicini è nostra madre, perciò tutti gli esseri devono apparirci come madri, non solo, ma possiamo comprendere come effettivamente lo siano stati.
Se cerchiamo di individuare logicamente un inizio nella sequenza di vite di ciascuno, non possiamo arrivare a stabilire un primo momento. In realtà le vite sono senza inizio, sono state infinite, e in ognuna abbiamo avuto una madre, quindi innumerevoli sono state le madri e di conseguenza è molto ragionevole pensare che tutti gli esseri lo siano stati anche per noi e, in quanto nostre madri, hanno fatto quanto più potevano per il nostro bene. Dobbiamo cercare di ripagare il debito di gentilezza che abbiamo verso tutte loro e, anche se non siamo in grado di ricambiarle completamente, almeno occorre averne il desiderio.
I seguenti passaggi sono collegati logicamente.
Realizzando prima di tutto come le nostre vite siano senza inizio, si considera che:
• abbiamo avuto infinite madri, per cui riconosciamo che tutti gli esseri sono stati nostra madre;
• in quanto madri, essi hanno avuto infinita gentilezza verso di noi; 
• ne deriva il desiderio di ripagare questa grande gentilezza;
• tutti gli esseri ci risultano cari, proviamo affetto per loro, e su questa base generiamo amore
• e compassione;
• in conseguenza di ciò, sviluppiamo l’attitudine straordinaria con la quale ci assumiamo personalmente la responsabilità di fare qualcosa per loro; 
• sorge quindi la mente di bodhicitta.
I primi sei punti elencati sono le cause dell’ultimo, la bodhicitta, che ne è l’effetto risultante, così la loro pratica prende il nome di ‘Sei cause ed un effetto’.
Questa è una spiegazione particolare, appartenente a una linea di insegnamenti orali. Sulla base delle sei cause, si genera l’aspirazione alla generazione di bodhicitta e la determinazione a mantenere questa mente fermamente fino all’ottenimento dell’illuminazione.
 
Come i bodhisattva del passato hanno prima generato l’aspirazione alla completa illuminazione e su questa base hanno percorso i vari sentieri, impegnandosi nelle sei perfezioni e diventando infine dei buddha, così dobbiamo procedere anche noi: prima c’è l’aspirazione e poi l’effettiva pratica. (stt.23-24)
Valutando i vantaggi della mente di bodhicitta si desidera generarla, e questa è la presa dei voti di bodhicitta. Le stanze ventitré e ventiquattro del terzo capitolo, recitate tre volte, contengono in pratica la formula di uno dei due metodi per ricevere l’ordinazione del bodhisattva.
Avendo prima aspirato a ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, ci si applica poi nella bodhicitta dell’azione e si afferma: “Per ottenere l’illuminazione, anch’io seguirò gradualmente le pratiche dei bodhisattva”. Essendo ciò molto positivo, è quindi necessario e significativo che poi ci si lodi così:
“Ora, avendo ottenuto una vita umana, questa ha veramente dato i suoi frutti ed è stata utilizzata nel migliore dei modi: avendo generato bodhicitta sono diventato figlio di Buddha, sono della sua famiglia, ho il seme per diventare come lui”. (stt.25-26)
Mentre rivolgiamo a noi stessi questa lode, la gioia per aver generato tale mente deve essere pari a quella provata da un giovane mendicante che viene scelto da un re quale suo successore. Avendo generato bodhicitta, siamo diventati principi della stirpe dei buddha e siamo sul sentiero che ci porta alla buddhità, e per questo proviamo una infinita soddisfazione.
Entrati nella famiglia dei buddha, le nostre azioni devono allora essere in accordo con essa. (st.27)
Come ci si aspetta che un principe non agisca come un bambino, così da noi, che siamo del lignaggio dei buddha, ci si aspetta un comportamento diverso da quello delle persone ordinarie. 
Forse qualcuno di noi ha già sviluppato bodhicitta o forse no, ma poiché abbiamo fiducia che essa sia la causa sostanziale per l’ottenimento dell’illuminazione, dobbiamo almeno provare quella gioia che si basa sull’apprezzamento di tale tipo di mente.
 
Abbiamo compreso come siano spiacevoli le rinascite sfortunate e ogni esistenza condizionata, e conosciamo i metodi per poter uscire da questa situazione e ottenere:
• rinascite più favorevoli;
• la cessazione di tutte le sofferenze (il nirvana);
• lo stato di buddha (l’illuminazione).
Ciò dimostra che si ha una comprensione del sentiero graduale, cosa veramente degna di lode e di apprezzamento. Nei testi è detto che avere anche solo una conoscenza degli stadi del sentiero graduale è superiore al possedere gli ‘Otto poteri comuni’ (o ordinari) e i ‘Cinque occhi’ (o chiaroveggenze).
Conosciamo il sentiero per liberarci dalle esistenze sfortunate, per il nirvana e per la completa illuminazione: per avere questi insegnamenti e le condizioni favorevoli abbiamo fatto molti sforzi, dovuti al nostro interesse e fiducia in essi. Non pensiamo di essere molto fortunati? Se anche possedessimo tutte le ricchezze di questa terra, al momento della morte dovremmo lasciare ogni cosa e non potremmo portare con noi neanche un ago, mentre la conoscenza, specialmente quella relativa al sentiero graduale, non potrà esserci tolta da nessuno.
Anche solo udire il nome di un buddha o di un bodhisattva è sufficiente a purificare eoni di karma negativo.
I buddha e i bodhisattva spiegano che cause negative producono effetti negativi, ma che il karma negativo è purificabile. Se crediamo alla prima affermazione dobbiamo necessariamente credere anche alla seconda, oppure non dovremmo credere né all’una né all’altra. È illogico sentirsi come schiacciati dal peso del karma negativo e pensare di non poterlo purificare, visto che i buddha e i bodhisattva ci indicano mezzi di purificazione che sono anche alla nostra portata e attraverso i quali è possibile eliminare le impronte karmiche negative precedentemente poste. Se preghiamo e generiamo l’aspirazione di poterlo fare in futuro, di sicuro ciò avverrà.
Siamo sul sentiero e non c’è alcuna ragione per sentirci depressi o senza speranza. Guardiamo in basso verso chi non ha neanche le nostre condizioni! 
D’altra parte, se ci consideriamo persone eccezionali, ottime, dobbiamo guardare in alto e renderci conto che c’è chi è senz’altro migliore di noi, così da non essere troppo orgogliosi di noi stessi.
 
Se siamo in grado di generare bodhicitta, o anche solo di apprezzare questa preziosa mente, dobbiamo sentirci felici e colmi di gioia.
Aver incontrato insegnamenti su bodhicitta è un evento fortuito dovuto a particolari circostanze, ed è esattamente come se a un cieco capitasse per caso di trovare dei gioielli in un mucchio di rifiuti. (st.28)
La bodhicitta è come l’ambrosia, il nettare supremo che è in grado di vincere la tirannia della morte. (st.29)
Quando un bodhisattva insegna la vacuità, gli esseri possono realizzarla ed annientare di conseguenza i difetti mentali, il karma negativo, il potere degli elementi e quindi della morte. E quando avremo raggiunto questo stadio non dovremo più dipendere da un corpo fisico grossolano, ma ne avremo uno più sottile, mentale, e la nostra vita sarà più facile, senza tutti i problemi relativi all’attuale condizione. Non dovremo più dipendere da un ventilatore, da un’auto, da un treno, dal cibo. Come nel caso di Milarepa: se non ci fosse stato il cibo del suo samadhi, le ortiche non lo avrebbero sostenuto e, se non avesse sviluppato il calore interiore del tummo, il suo semplice abito di cotone non sarebbe bastato per ripararlo dal freddo. Ma tutti, con il giusto impegno, possono arrivare alle stesse straordinarie realizzazioni.
Quando un bodhisattva è giunto a tali livelli cercherà poi di ottenere rinascite ordinarie per beneficiare maggiormente gli altri, perché con un corpo straordinario non potrebbe avere una relazione con gli esseri comuni.
Il fatto che tutto ciò segua un filo logico non basta: dobbiamo riflettere molto e interiorizzare queste cose, facendole diventare parte di noi, altrimenti non serviranno a nulla. È facile che molti di noi non sentano spontaneamente il desiderio di imparare il Dharma per raggiungere lo stato di un buddha per il bene di tutti gli esseri, ma è positivo generarlo almeno artificialmente, nella speranza che un giorno, con l’abitudine, questo pensiero altruistico sorga spontaneamente.
Quando avremo realizzato che c’è una vita futura, allora ce ne preoccuperemo, e cominceremo ad agire di conseguenza.
Noi ora siamo esseri umani, viviamo con certe persone, in determinate situazioni, e questo è il frutto del karma accumulato nelle nostre vite precedenti. Siamo stati fortunati a non essere nati come insetti, pesci o mucche che pascolano nei campi. Possediamo una condizione umana e varie caratteristiche favorevoli, sappiamo pensare ed altro ancora.
Questo è un regalo che ci proviene dalle nostre azioni precedenti, ma ora dobbiamo cercare di ottenere un regalo migliore per la prossima vita. Adesso la teniamo nelle nostre mani: possiamo essere i salvatori o i distruttori di noi stessi. Creando karma positivo saremo i primi, creando karma negativo i secondi.
La bodhicitta è il tesoro inesauribile che elimina la povertà degli esseri. È la suprema medicina che ne cura tutte le malattie. È il rifugio in cui gli esseri possono trovare sollievo e rigenerare le proprie forze in questa stessa esistenza. Come i viandanti viaggiando in zone selvagge, pericolose e aride trovano un albero frondoso sotto cui ripararsi, la bodhicitta è il rifugio per noi che vaghiamo nel samsara. (st.30)
È il sostegno e il ponte per gli esseri che cercano una soluzione ai problemi dell’esistenza ciclica, ed è in grado di placare la loro sofferenza così come la radianza della luna calma la febbre di certe malattie. (st.31)
 
Domanda: “I voti del bodhisattva a quale tipo di bodhicitta si riferiscono?”
Risposta: “Alla bodhicitta dell’azione. È molto impegnativo e arduo sviluppare la mente di bodhicitta, e ci si riesce grazie a un’intensa applicazione, a vari ragionamenti logici e alla comprensione dei suoi benefici, per cui dopo è difficile che la si abbandoni.
In ogni caso si prende specificamente anche l’impegno di conservare questo tipo di mente fino all’illuminazione”.
 
In precedenza si è visto che gli ostacoli all’illuminazione sono due: i difetti mentali, che possono essere eliminati con la mente che ha realizzato la vacuità, e le oscurazioni alla mente onnisciente, che possono essere eliminate con la bodhicitta.
La bodhicitta rimuove tali oscurazioni così come il sole vince l’oscurità. Lavorando il latte si ottiene il burro che ne è l’essenza; allo stesso modo dall’oceano del Dharma, studiando, riflettendo e meditando, si estrae la sua essenza, bodhicitta. (st.32)
Tutti gli esseri, umani e non, hanno il seme o la natura di buddha, ed essa è la mancanza di esistenza intrinseca della mente. Quindi è possibile ottenere lo stato di perfetta illuminazione, ma dobbiamo applicare i metodi che ci portano a questa meta.
Per ottenere il nostro corpo umano abbiamo avuto bisogno del seme maschile e dell’ovulo femminile, e per diventare buddha dobbiamo avere la bodhicitta, la mentre altruistica, congiuntamente alla saggezza che conosce l’autentica natura dei fenomeni. Bodhicitta e saggezza sono le due cause sostanziali che ci permettono di ottenere lo stato di un buddha e sono paragonabili alle due ali di un uccello, ambedue necessarie per volare. Noi e tutti gli esseri che vagano nel samsara siamo in cerca di felicità e dei mezzi per ottenerla. La bodhicitta è proprio la sorgente dell’una e degli altri. Un viaggiatore si fermerà e sarà soddisfatto quando troverà una stanza e del cibo, e bodhicitta è il ristoro migliore per coloro che vagano nell’esistenza condizionata. (st.33) In che modo i bodhisattva che posseggono la mente del risveglio possono essere una fonte di felicità? Essi sanno che la causa della sofferenza è il karma negativo, mentre la causa della felicità è il karma positivo, quindi ne informeranno tutti gli esseri che, prestando ascolto, ne seguiranno i consigli e la otterranno a loro volta. Nell’ultima stanza di questo capitolo si dice che in presenza dei buddha, dei bodhisattva e dei protettori dei tre tempi, il nuovo bodhisattva – che ha generato la mente di bodhicitta e la determinazione di non abbandonarla mai fino al raggiungimento della completa illuminazione e che ha promesso di riuscirci per il beneficio di tutti – invita a questo banchetto di felicità temporanea e ultima ogni essere. (st.34) Si parla di felicità temporanea perché attraverso l’aiuto dei bodhisattva gli esseri possono ottenere rinascite fortunate come quelle di deva o di esseri umani, e di felicità ultima perché possono anche ottenere la liberazione dal samsara e lo stato di perfetta illuminazione, in cui tale felicità è definitiva.

Commento al 4° capitolo:
La coscienziosità

Dopo aver generato fermamente la mente di bodhicitta e l’aspirazione alla bodhicitta dell’azione, si deve effettivamente praticare il sentiero delle sei perfezioni trascendentali. Un bodhisattva, figlio dei ‘conquistatori’, deve tenere saldamente questa mente e non essere incurante né dimenticare gli impegni presi, la pratica delle sei perfezioni e i quattro metodi per portare gli esseri sul sentiero. (st.1) In generale, se si promette qualcosa di superiore alle proprie forze e poi ci si rende conto di non essere in grado di mantenere la parola data, è possibile tirarsi indietro. (st.2) Nel caso della bodhicitta, invece, anche se non abbiamo valutato a fondo la sua validità e le nostre capacità, essendo queste già state esaminate dai buddha e dai bodhisattva, non possiamo più sottrarci all’impegno preso, ossia raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, poiché si tratta di una promessa non qualunque ma straordinaria, e il non mantenerla equivale a ingannare tutti gli esseri. (st.3) Se agissimo così, quale pensiamo possa essere la nostra futura rinascita? (st.4) È stato detto dai buddha che se una persona, dopo aver generato l’intenzione anche solo mentale di dare una piccola cosa a qualcuno, poi per avarizia non lo fa, crea la causa per rinascere come spirito famelico. (st.5) Se ciò vale cambiando idea rispetto a cose insignificanti, cosa ci succederà se, dopo aver fatto dal profondo del cuore la promessa di aiutare tutti gli esseri a raggiungere lo stato del completo risveglio, non la traduciamo quindi in azione? (st.6) Ci sono ventidue livelli di bodhicitta: al primo – la bodhicitta come la terra – la si può ancora abbandonare, al secondo non è più possibile retrocedere da tale mente. Ma come si potrebbe farlo, dopo aver compreso che anche gli altri esseri soffrono, che desiderano invece la felicità, e che sono stati tutti nostra madre? Avendo in questo modo generato il desiderio di ottenere l’illuminazione per il loro beneficio e intraprendendo il sentiero del bodhisattva, se consideriamo che gli esseri sono infiniti e che tra questi alcuni ci danneggiano nonostante l’aiuto che offriamo loro, potrebbe accadere che ci facciamo cogliere da un sentimento di scoraggiamento. Per esempio ci chiediamo come sia possibile essere loro di beneficio, o ci sentiamo stanchi e incapaci di raggiungere l’illuminazione, con la conseguenza che lasciamo cadere tale idea. Ora, questo è abbandonare bodhicitta, e sarà la rottura di uno dei diciotto voti principali del bodhisattva. Ci sono degli esseri, comunque, che hanno ottenuto la liberazione anche dopo aver abbandonato questa mente. Shariputra, si dice, aveva generato bodhicitta e poi per particolari circostanze l’aveva abbandonata, ma era riuscito ugualmente a ottenere il nirvana. Come è possibile, dopo aver rotto uno dei diciotto voti, raggiungere comunque la liberazione? La ragione sta nel karma particolare di questi esseri, che può essere compreso solo dalla mente onnisciente di un buddha. (stt.7-8) È possibile che qualcuno di noi abbia generato bodhicitta e sia sul sentiero della pratica dei voti del bodhisattva, ma se non è già così dobbiamo cercare di prepararci accumulando più karma positivo possibile e purificando quello negativo. Il metodo più facile è cercare di aiutare gli altri ed evitare di danneggiarli, e allora saremo anche amati, per la stessa ragione per cui noi amiamo chi ci aiuta e non ci fa del male. La mente di bodhicitta è estremamente preziosa e utile, ma può non essere facile da generare e richiede impegno e tempo, però essere di beneficio agli altri e non di danno e le pratiche di accumulazione e purificazione sono cose che si possono attuare immediatamente, e sono essenziali per i seguaci del sentiero. Domanda: “Generalmente, se faccio un favore a qualcuno, questi dopo ne approfitta”. Risposta: “Se una persona ti chiede centomila lire e sai che dopo ne vorrà ancora, gliele dai dicendo che poi non ne avrai più la possibilità. Il punto essenziale è che dobbiamo cercare di fare il massimo, anche a livello materiale, sapendo però che comunque non potremo mai soddisfare completamente i desideri – che sono senza fine – di tutti. Ciò nonostante, anche se ora non ci è possibile realizzare il beneficio ultimo degli esseri, dobbiamo offrire loro una comprensione più profonda della realtà, e questo dopo che noi stessi l’abbiamo raggiunta. È il motivo per cui si dice che è necessario prima raggiungere la completa illuminazione, per aiutare poi gli altri con i metodi più abili ed efficaci: non c’è altra strada. Consideriamo il caso di una persona con risorse materiali limitate, la quale sa che pur donando tutto ciò che possiede riuscirebbe solo a soddisfare i bisogni minimi di qualche essere; se essa utilizza invece i suoi averi per la pratica, e attraverso questa riesce a ottenere stati elevati di realizzazione, avrà lasciato un po’ nella sofferenza quegli esseri per non averli aiutati materialmente, ma avrà creato molte più cause positive, grazie alle quali sarà in grado di dare loro in futuro una felicità ben maggiore. Comunque, sia che si utilizzino le proprie risorse per aiutare gli altri sia che le si impieghi per la pratica del Dharma, ciò diventa in entrambi i casi causa di felicità per la persona che compie l’azione. Milarepa, il famoso santo tibetano che viveva meditando sulle montagne, non possedeva oggetti materiali da offrire, e se gli avessero chiesto qualcosa non sarebbe stato in grado di donare nulla”. Come un’auto corre solo se è messa a punto, così noi potremo raggiungere lo stato di buddha solo se avremo generato bodhicitta e la saggezza che percepisce la vacuità. Le azioni di un bodhisattva riguardano il beneficio di tutti gli esseri, e se noi siamo minimamente di impedimento anche a una sola di queste azioni, creiamo una grande accumulazione di karma negativo, che ci porterà ad avere rinascite sfortunate nel futuro. (st.9) Infatti, dal momento che questo già accade quando distruggiamo la felicità di un essere comune, nell’ostacolare l’azione di un bodhisattva l’accumulazione di karma negativo sarà proporzionalmente maggiore. (st.10) Quando si abbandona la mente del risveglio dopo averla generata, si cadrà nei reami inferiori o si resterà nel samsara a lungo. Sarà possibile avere ancora l’opportunità di generare questa mente, ma verrà sprecato molto tempo per ottenere un obiettivo che avevamo già raggiunto. (st.11) La bodhicitta è preziosa e rara e non dobbiamo abbandonarla neanche a costo della vita. Nei testi è detto che quando si diventa buddha si è in grado di beneficiare tutti gli esseri, e che nel passato ci sono stati infiniti buddha; ci si potrebbe allora chiedere perché stiamo ancora soffrendo, insieme a innumerevoli altri esseri. (stt.12-13) Ciò succede per una mancanza nostra e non dei buddha, per non aver seguito il sentiero che ci è stato mostrato. Essi sono disposti a essere di guida per tutti, ma gli insegnamenti verranno compresi e seguiti solo da coloro che sono preparati e pronti per riceverli e praticarli. Se un cieco viene portato in un grande magazzino non vedrà nulla a causa di un suo difetto, non perché il magazzino sia vuoto. Non possiamo vedere direttamente i buddha, ma abbiamo testi ed insegnamenti, e se facciamo uno sforzo per praticare alla fine arriveremo a creare le condizioni per percepirli. Se siamo contenti della nostra situazione attuale, bisogna che ci rendiamo conto che in questa vita dobbiamo comunque affrontare sofferenze, e che anche nelle vite future ci saranno problemi. Potremmo però pensare che, visto che abbiamo ottenuto una preziosa rinascita umana e che la potremo riottenere, è inutile sforzarci troppo ora. Ma questo è sbagliato, perché adesso siamo nati in una situazione in cui ci sono gli insegnamenti di Buddha e abbiamo fede ed interesse per la pratica delle virtù, ma se non ne avessimo il solo fatto che essi esistano non avrebbe per noi nessuna importanza e non ci servirebbe a niente. Non basta aver ottenuto una forma umana, infatti ci sono miliardi di esseri umani, ma pochi hanno interesse verso la pratica spirituale. Tutte queste condizioni sono molto rare e preziose: l’apparire di un buddha, la fede nei suoi insegnamenti, avere una rinascita umana e l’attitudine a coltivare la virtù. Come possiamo sperare di ottenerle ancora se non mettiamo subito in pratica il Dharma? (stt.14-15)
Ora abbiamo la salute e le altre circostanze favorevoli e dobbiamo quindi utilizzare al meglio questa occasione, perché non sappiamo se in futuro potremo ottenerla nuovamente e, anche se ciò avvenisse, non è detto che sia così favorevole. Inoltre non possiamo fare troppo affidamento su questo corpo, perché è come se lo avessimo preso in prestito e, come tale, prima o poi dovrà essere restituito. Ogni momento può essere buono per tale restituzione! (st.16)
È bene approfondire il significato della preziosità di questa vita umana. Nei testi di Lam Rim è spiegato che ‘la morte è certa’, non esistendo nessuno che avendo preso forma fisica sia vissuto per sempre, ma che ‘non è certo il momento’ in cui moriremo. La nostra situazione è paragonabile a una candela accesa nella burrasca, la cui fiamma può spegnersi da un momento all’altro. Le condizioni per la vita sono poche, mentre sono molte le condizioni che determinano la morte. Del resto sappiamo molto bene che la durata della vita è incerta: alcuni bambini muoiono nel ventre materno, altri molto piccoli, altri ancora nell’adolescenza, e non è affatto sicuro che vivremo fino alla vecchiaia. Al momento della morte nulla e nessuno potrà esserci di aiuto, né parenti, né amici, né ricchezze. L’unica cosa che porteremo con noi saranno le impronte mentali buone e cattive. Ci sono due tipi di persone: quelle che cercano di realizzare i propri desideri materialmente e quelle che cercano di farlo praticando un sentiero spirituale. Le prime si costruiranno belle case e accumuleranno ogni tipo di comodità, ma dovranno lasciare tutto al momento della morte. Coloro che invece praticano un sentiero spirituale cercheranno di impegnarsi in azioni valide ed utili, e al momento della morte si troveranno con il patrimonio di impronte mentali positive create attraverso la pratica del Dharma. Se fossimo totalmente sicuri di non dover morire o di non dover rinascere o di non avere alcun problema nelle vite future, allora non ci sarebbe nessun bisogno di praticare. Noi parliamo di meditazione e ne siamo molto interessati: ebbene, si medita riflettendo su questi argomenti, considerando quanto lunga potrà essere la vita presente, per quanto tempo continueremo ad avere l’attuale forma fisica, come potrà essere la nostra futura rinascita in base alle azioni ora compiute. E se non sarà buona, che tipo di sofferenze dovremo affrontare? E qual è il modo per evitarle e per ottenere una rinascita fortunata? La nostra vita, per quanto fortunata sia, non ci soddisfa completamente, perché a volte certi disagi risultano insopportabili. Immaginiamo allora di avere una rinascita inferiore, per esempio come animale: le sofferenze proprie di questo stato sarebbero ancora maggiori! Noi non viviamo nella continua angoscia di essere danneggiati da qualcuno senza alcun motivo, gli animali invece hanno costantemente paura di essere uccisi o feriti, e non si tratta solamente di un timore, perché effettivamente possono venire uccisi all’improvviso, proprio per il fatto che nelle vite precedenti hanno essi stessi posto le cause per dover sperimentare tali risultati. Le persone che conoscono un sentiero spirituale sanno quali cause producono felicità, e cercheranno di coltivarle, di metterne i semi; e d’altra parte si guarderanno bene dall’accumulare quelle che procurano sofferenza. Se qualcuno di noi pensa che i metodi materiali siano migliori o che il sentiero spirituale non sia valido lo dica, in modo da poterne discutere. Domanda: “È molto facile comprendere che la pratica della virtù è la migliore e tutti lo accettano a livello intellettuale ma, dopo averlo capito, tradurlo nei fatti è difficile. È semplice parlarne, ma è più comodo non agire”. Risposta: “La legge di causa ed effetto non è un argomento di facile comprensione; essa non è propria solo al mondo fisico, grossolano, ma anche al mondo sottile, e in riferimento a questo è molto difficile da realizzare. Per prima cosa dobbiamo quindi familiarizzare la mente col ripetuto ascolto, con la riflessione e la meditazione. Ma non basta, essendo necessario avere anche il sostegno dei meriti accumulati e delle preghiere rivolte ai Buddha e ai Bodhisattva. Anche all’inizio degli insegnamenti vengono sempre recitate preghiere ai Buddha, ai Bodhisattva e a Tara, che è la manifestazione dell’azione illuminata dei buddha di tutti i tempi e direzioni, perché esse preparano la mente a una migliore comprensione di ciò che si sta per ascoltare. In Tibet, nelle sessioni di insegnamenti di quattro ore, un terzo del tempo veniva dedicato a tali preghiere, proprio per purificare il karma negativo e accumulare karma positivo. Nel mondo fisico ci sono fenomeni difficili da comprendere, anche se li vediamo con i nostri occhi, quindi è logico pensare che lo sarà molto di più cercare di capire il karma, che è di natura mentale. Anche se negli insegnamenti viene detto che abbiamo tutte le capacità per ottenere lo stato di buddha, occorrerà tempo per poterle sfruttare appieno. Per valutare la nostra situazione dobbiamo guardare a come eravamo prima di conoscere questi insegnamenti, e constatare che di sicuro c’è stato un progresso, che è da attribuire al Dharma. La maggior parte di noi può riconoscere che dopo averlo conosciuto il significato della propria vita è cambiato”. Quando ci viene detto che dobbiamo praticare azioni positive ed evitare quelle negative pensiamo che siano cose troppo semplici, ovvie, non interessanti da sentire. Di fatto invece sono quelle fondamentali, perché desideriamo la felicità e non vogliamo la sofferenza, e sono rispettivamente le azioni positive e negative a determinarle. Anche nel cristianesimo ci sono questi insegnamenti, e si tratta di concetti molto importanti. Se un cristiano non si impegna in azioni negative avrà eliminato le cause della propria sofferenza e se coltiva le azioni positive avrà creato le cause per la propria felicità. Le nazioni si preparano per il futuro, spendendo moltissimo denaro per creare una difesa, e questo solo immaginando la possibilità di una guerra, per essere in grado in quella eventualità di affrontare la minaccia. Allo stesso modo, se ci prepareremo in modo adeguato, saremo in grado di affrontare le situazioni future con coraggio ed efficacemente, e dobbiamo fare perciò i preparativi necessari per il momento della morte, pensando a quanto è stato spiegato prima. Potremo trovare queste cose molto ardue, ma a lungo andare ci saranno di beneficio, perciò è utile sforzarci di realizzarle. Le persone anziane qui presenti possono pregare gli esseri illuminati di ottenere una rinascita fortunata nella prossima vita, e di avere ancora occasione di praticare il sentiero. Come esseri umani possiamo evitare le azioni negative, che danneggiano gli altri, e possiamo invece beneficiarli, ma se avessimo preso esistenze inferiori tutto ciò sarebbe estremamente difficile. Nel mondo ci sono molti uomini che seguono vari sentieri spirituali, ma tra gli animali nessuno. Gli animali difficilmente possono creare karma positivo, mentre riguardo a quello negativo, vediamo che uccidono, mangiano insetti ed altri animali vivi, ecc. Comparato al numero degli animali, quello degli uomini è molto minore perché le cause per tale rinascita sono molto difficili da creare, mentre è molto più facile ottenerne una nei reami inferiori. Potremmo pensare che anche gli esseri umani sono tanti, e che stiamo per avere il problema della sovrappopolazione, ma se contassimo gli esseri non umani che vivono in questa piccola area del centro di Villorba, potremmo constatare che sono già più numerosi delle persone che vivono in tutta l’Italia; inoltre la maggior parte del nostro pianeta è occupata da oceani, e il numero degli esseri che vivono lì è incalcolabile. Tra gli uomini, poi, sono pochi quelli che hanno la pazienza di ascoltare insegnamenti, sono pochi coloro che sono inclini e interessati a un sentiero spirituale, e sono ancora meno coloro che lo seguono, quindi sono rari gli esseri umani fortunati ed è rara la preziosa rinascita umana, la condizione che ci permette di utilizzare al meglio le nostre potenzialità, e bisogna sfruttare ora nel migliore dei modi questa opportunità unica. Per gli esseri dei reami inferiori, infatti, è molto difficile accumulare karma positivo e quindi poter uscire da una situazione di grande sofferenza, e addirittura per loro sarà raro poter anche solo udire le parole ‘una rinascita fortunata’. (stt.17-19)
La difficoltà di poter ottenere una preziosa rinascita umana dopo essere caduti nei reami inferiori è paragonata a quella che ha una testuggine cieca, che vive nel fondo di un oceano e che risale in superficie ogni cento anni, di infilare il collo in un giogo d’oro che vi galleggia ed è scosso dai venti. È quasi impossibile che la testuggine possa riuscirci, ma è esattamente la stessa possibilità che abbiamo noi di ottenere nuovamente una preziosa rinascita umana dopo essere caduti nei reami inferiori: è poco probabile mettere insieme tutte le circostanze favorevoli. (st.20) Se guardiamo al passato possiamo renderci conto di aver creato pochissimo karma positivo e che questo è molto debole, mentre il karma negativo è enorme e potente. Se una piccola azione negativa creata in un istante può essere la causa di una rinascita nei reami inferiori per un tempo lungo quanto un eone, è inutile sottolineare quale sarà il risultato del karma negativo accumulato da un tempo senza inizio in tutte le nostre vite passate. (st.21)
Nei reami inferiori non solo sperimenteremo sofferenza ma anche continueremo a produrne, e quindi sarà quasi impossibile uscire da tale condizione. (st.22)
Ora noi abbiamo trovato una condizione estremamente ricca di occasioni favorevoli e di libertà, ma se non la utilizziamo per produrre il karma positivo che ci consentirà di ottenere condizioni migliori in futuro, e per purificare quello negativo già accumulato, non ci può essere follia ed ignoranza più grande di questa. (st.23)
Se avendo trovato una situazione così favorevole la sprecassimo, saremmo come un mercante che dopo aver a lungo vagato per i mari arriva all’isola del tesoro e, invece di prendere gioielli e pietre preziose, porta via dei sassi. Ma cosa si deve fare per accumulare karma positivo e purificare il karma negativo? Ogni giorno dobbiamo cercare di fare qualcosa che sia di beneficio per gli altri, evitando di procurare loro del danno, poi dobbiamo aumentare sempre più l’intensità di tali pratiche. Viceversa, il karma negativo accumulato in passato nei confronti degli altri esseri può essere purificato, generando pentimento per averlo creato, determinandosi a non commettere più in futuro le azioni che lo hanno prodotto, e generando l’aspirazione di ottenere l’illuminazione per il beneficio di tutti loro. Se dopo aver compreso che dal karma negativo sorgono grandi sofferenze e che il karma positivo dà felicità rimaniamo pigri ed indolenti, al momento della morte avremo un immenso rimpianto, che però a quel punto sarà inutile. (st.24)
Quando saremo poi caduti nei reami inferiori – dove sperimenteremo la più grande sofferenza fisica – ci chiederemo il motivo di una simile situazione, ci renderemo conto che è dipesa solo da noi e saremo presi allora da un terribile rimorso, provando un’ulteriore tremenda sofferenza mentale. (st.25)
Perché, pur conoscendo le cause della felicità e della sofferenza, non siamo ancora in grado di agire nel modo corretto? Possiamo dire di essere come ipnotizzati da un incantesimo. (st.27)
Comunque, se abbiamo accumulato molto karma negativo, non dobbiamo rimanere come paralizzati ma, per mezzo della fede nei Tre Gioielli e dei quattro poteri opponenti, purificarlo. Potremmo però pensare che sia impossibile distruggere tutto il karma negativo accumulato da tempo infinito, ma ciò è simile a quanto succede, dopo aver impiegato molto tempo a riempire un’intera stanza con bicchieri di vetro, se vi entriamo poi con un bastone, riuscendo in pochi istanti a distruggerli tutti. È necessario prestare particolare attenzione al karma perché ci aspettano ancora molte e molte rinascite, quindi prima di agire occorre sempre che verifichiamo la nostra vera motivazione. Dobbiamo chiederci se la nostra azione sarà di beneficio o no a qualcuno e, se non è di danno, allora possiamo intraprenderla. Se c’è un danno immediato ma un grande beneficio in seguito, l’azione che lo produce è positiva, come un intervento chirurgico risulta doloroso ma molto utile a lungo termine. Non dobbiamo fare invece ciò che crea del beneficio adesso ma danno in futuro, né ciò che giova a pochi ma danneggia molti. Se invece procuriamo un danno solo ad alcuni ma beneficiamo molti, allora dobbiamo agire. Un’azione che avvantaggia noi e danneggia gli altri va evitata, nel caso contrario deve essere portata a termine, dal momento che l’attitudine di una persona spirituale è esclusivamente rivolta verso il bene degli altri, alle vite future e alle azioni positive. Se agiamo in tal modo possiamo dire di essere ottime persone, e io stesso apprezzo chi ha questo tipo di comportamento. Sebbene non sia impossibile raggiungere l’illuminazione in una sola vita, risulterà molto difficile per la maggioranza di noi, e quindi è bene fare i preparativi per potervi riuscire almeno nell’arco di più vite. Comunque, una persona che ha generato bodhicitta, che ha avuto la percezione della vera natura dei fenomeni e che ha sviluppato il samadhi, seguendo il metodo tantrico può realizzare quello scopo anche in una sola vita. In effetti la pratica del Tantra è molto rapida, ma per poterla intraprendere occorre prima avere appunto la bodhicitta, la saggezza che realizza la vacuità e il samadhi, così come per preparare un buon pranzo non basta avere farina e riso, ma occorreranno anche sale, burro, verdure e il resto. Per la maggior parte di noi l’ottenimento dello stato di buddha si realizzerà in molte vite in cui sarà necessario avere una preziosa rinascita umana – cosa non facile da ottenere – e pertanto dovremmo impegnarci al massimo per conseguirne ancora in futuro. Bisogna invece essere spaventati di rinascere nei reami inferiori, in cui è quasi impossibile praticare il Dharma e accumulare karma positivo. Dovendo fare un viaggio per mare, ci preoccuperemo di imbarcarci su una nave sicura, perché altrimenti potremmo perdere la vita in un naufragio e, anche se come passeggeri non effettueremo un controllo diretto, in ogni caso il capitano lo farà per noi. Ugualmente le compagnie aeree prima di ogni volo si assicureranno che tutto sia in ordine, perché ci sono molte vite in gioco, e inoltre un aereo è molto costoso. Allo stesso modo, visto che il nostro obiettivo è raggiungere lo stato di un buddha, dobbiamo essere certi di utilizzare al meglio l’occasione di questa vita, e in futuro di ottenere altre rinascite fortunate, così da non avere problemi durante questo lungo viaggio. Nella preghiera di lode alle ventun Tare, in un verso c’è la richiesta di ottenere lo stato di buddha, e fino a quel momento di avere solo rinascite umane. Anche nel Bodhisattvacharyavatara questo viene ricordato più volte. Di conseguenza non bisogna considerare la purificazione del karma negativo e l’accumulazione dei meriti pratiche poco importanti, bensì essenziali, che occorre compiere in ogni momento della nostra vita. In Tibet c’è un personaggio leggendario a cui si attribuisce il seguente motto: “Non posso avere buoni cavalli, non mi piace cavalcare cavalli di poco valore, perciò vado senza cavallo”. Riportandolo ai tempi moderni si potrebbe dire: “Non posso avere una bella macchina, non voglio una macchina piccola, perciò vado a piedi”. Con tali espressioni si vuole mostrare che se pratiche come lo sviluppo della saggezza e del samadhi ci sembrano troppo alte, e quelle della purificazione e dell’accumulazione dei meriti troppo comuni, allora noi – che ci sentiamo nel mezzo – non ci impegniamo a fare nulla. Se non siamo capaci di praticare insegnamenti elevati, e se non pratichiamo quelli che sarebbero adatti a noi perché li riteniamo troppo ordinari, non essendocene altri restiamo nella condizione iniziale. Ugualmente, se per ottenere dell’ottimo cibo c’è bisogno di parecchio denaro, e una persona che non ne ha ritiene che pane e formaggio siano troppo modesti per lei e resta con la fame, è sciocca, perché dovrebbe approfittare di ciò che può avere. Dobbiamo essere contenti di praticare quanto è alla nostra portata, ed esserne soddisfatti. Quando ci alziamo presto alla mattina e ci sediamo a pregare, dovremmo pensare: “Ora ho ricevuto una preziosa rinascita umana e devo cercare di non sprecarla, perché è impermanente; non solo, anche nel futuro devo cercare di ottenere altre rinascite uguali, per giungere alla liberazione e allo stato di buddha e così essere di beneficio agli altri”. È necessario abituarci a fare subito ciò che possiamo fare, perché se rimandiamo di un giorno, di un mese o di un anno, poi assumeremo l’attitudine mentale che pensa: “Lo farò nella prossima vita”. Ma se cadiamo nei reami inferiori sarà molto difficile uscirne, per la quasi impossibilità di generare karma positivo, visto che è già così difficile produrlo nel corso di una preziosa rinascita umana. Dobbiamo assolutamente determinarci a praticare in questa vita ciò che possiamo, abbandonando l’idea di aspettare la prossima. E ancora potremmo pensare di rimandare la pratica del Dharma dopo aver terminato le tante cose che abbiamo da fare, ma anche questo ragionamento non è corretto, perché gli impegni ordinari sono senza fine e non sappiamo se ci rimarrà tempo per il Dharma; bisogna dunque iniziare a praticare nello stesso momento in cui si prende la decisione di farlo. Ma potrebbe sorgere nella mente un altro dubbio: “Sono in grado di praticare?” Ebbene, dobbiamo convincerci di avere ogni possibilità utile: siamo intelligenti, abbiamo un posto adatto, abbiamo il desiderio di farlo, abbiamo chi ci insegna, quindi ogni condizione favorevole è presente. Comprendendo che abbiamo tutte le capacità necessarie, che il Dharma ci fornisce gli strumenti per farlo e che questa vita è impermanente, dobbiamo impegnarci a praticare subito, e non aspettare di finire i lavori che abbiamo iniziato. In Tibet c’era un insegnante che aveva un discepolo a cui sarebbe piaciuto ogni tanto andare a fare una scampagnata. Lui gli prometteva che vi sarebbero andati alla fine del lavoro che stavano svolgendo, ma poiché questo non terminava mai, neppure andavano mai fuori. Il discepolo ne era molto contrariato, e quando un giorno, mentre erano insieme, videro un cadavere e il suo insegnante chiese chi fosse, gli rispose dando sfogo alla sua ira: “Quello è uno che ha finito il suo lavoro!”. Aspettare sempre di aver finito qualcosa per applicarci nel sentiero spirituale è insensato, perché potrebbe arrivare prima la morte, però è ragionevole praticare il Dharma e nello stesso tempo continuare a lavorare. Se vogliamo distruggere una pianta velenosa, ma sistematicamente eliminiamo solo i suoi frutti, la stagione successiva ce ne saranno di nuovi: l’unico metodo efficace sarà quello di estirpare la pianta alla radice. Allo stesso modo, il karma che compiamo, coscientemente o no, è il frutto dei difetti mentali, così dobbiamo prima cercare di controllarli e alla fine di sradicarli. Nelle relazioni mondiali conosciamo vari soggetti contrapposti: Usa-Urss, India-Pakistan, Tibet-Cina. Noi, seguaci di un sentiero spirituale, abbiamo come specifici nemici i difetti mentali, che tendono a danneggiarci in ogni momento. Li definiamo tali perché, similmente ai comuni nemici fisici, ci creano problemi, anche se non hanno né braccia né gambe e non sono né intelligenti né coraggiosi. Ma allora, come ne siamo diventati schiavi? (st.28)
Permettendo loro di entrare nella nostra mente e di fare ciò che desiderano! E questo fa sì che creiamo il karma che ci getta nei reami inferiori. Sopportare con pazienza questo tipo di nemici è un’occasione inappropriata per essere tolleranti. È corretto nei confronti degli altri esseri senzienti, ma non lo è sopportare questi nemici dentro di noi, però finora abbiamo fatto esattamente il contrario. (st.29)
Dobbiamo imparare a sconfiggere i difetti mentali mediante l’applicazione degli antidoti. Molte thangke rappresentano divinità irate o addirittura terrifiche, ma l’odio che esprimono non è rivolto a noi o agli altri esseri senzienti, bensì verso tutti i difetti mentali. Se anche tutti gli dei dovessero insorgere contro di noi come nemici, non potrebbero portarci alla grande sofferenza dei reami inferiori, mentre i nemici interiori sì, e quindi sono molto più potenti noi. Le concezioni disturbanti hanno una forza tale da poterci gettare in quelle fiamme degli inferni capaci d’incenerire il monte Meru in un istante. (stt.30-31)
Esse sono con noi da sempre, da tempo senza inizio, sempre ci hanno causato danni e sempre ce ne causeranno in futuro, finché non saranno eliminate. Gli esseri non riescono a rimanere nostri nemici altrettanto a lungo, a volte lo sono per meno di una vita umana, comunque non lo sono stati sempre nelle vite precedenti e non lo saranno sempre in futuro. (st.32)
Con alcuni nemici esterni ci siamo fatti del male vicendevolmente, ma arriva il momento in cui possiamo riappacificarci e diventare amici, cosa che non può accadere con i difetti mentali, poiché anche se offrissimo loro la nostra amicizia continuerebbero a danneggiarci senza sosta: sono nostri nemici perenni, e causano tutte le sofferenze che proviamo, quindi dobbiamo fare ogni sforzo per eliminarli completamente. Finché saranno nella nostra mente non avremo mai un momento di vera gioia, o in cui saremo liberi dalla paura. (st.34)
L’esistenza ciclica è come una prigione e i difetti mentali ne sono i guardiani; finché saranno presenti non potremo scappare da tale prigione, e non potremo sperimentare felicità. Essi ci hanno tormentato e ci tormentano tuttora, e non dobbiamo arrenderci finché non avremo la certezza della loro completa distruzione. (st.35)
Anche nel mondo, quando abbiamo un nemico, escogitiamo qualcosa contro di lui per rispondere ai suoi oltraggi, eppure questi non dovrebbero avere grande importanza, visto che i danni sono piccoli o comunque limitati nel tempo; ciò nonostante vi sprechiamo tanta energia, e a volte non riusciamo nemmeno a dormire. (st.36)
Anche se i nostri nemici esterni hanno armi molto potenti e possono ucciderci, sconfiggerci e ferirci, perché ci sforziamo di annientarli e mettiamo tanta energia nel combatterli, dal momento che comunque morirebbero di morte naturale e non vivrebbero più di cento anni? Perché non ci accaniamo invece contro i nemici interni, che non muoiono naturalmente? (st.37)
Qualsiasi danno ci venga nella vita ha la sua causa all’interno di noi stessi. Riflettiamo se sia vero o no! È molto importante realizzare questo punto, perché allora saremo in grado di comprendere la maggior parte dei nostri problemi. Se qualcuno ci insulta e noi non ci arrabbiamo, allora ciò che è stato detto sarà passato senza danneggiarci, ma se proviamo collera e continuiamo a pensare all’accaduto ci causiamo da soli una sofferenza gratuita. Non preoccupandosene più, l’episodio sgradevole finisce. Questo modo di pensare forse è nuovo per voi, ma non è stato inventato dai tibetani. Il Bodhisattvacharyavatara, per esempio, è stato scritto da Shantideva, che era indiano, ed egli stesso all’inizio del testo spiega: “Io non dirò niente che non sia già stato affermato, solo lo presenterò in modo differente”. E si riferiva alla trasmissione ininterrotta di un lignaggio di insegnamenti risalenti a Buddha Shakyamuni, che ha appreso tutto ciò attraverso il proprio sforzo, protratto per lunghi eoni, di acquisire conoscenza. I tibetani hanno ricevuto dall’India tali insegnamenti, hanno cercato di praticarli, quegli stessi sono arrivati ora in Occidente, e chi è qui deve impegnarsi a farlo a sua volta. Io non conosco in dettaglio questo testo, ma cerco di spiegare quanto più ho compreso. Se una persona malata di cancro viene curata da un dottore, lo considererà molto gentile e di beneficio, anche se il cancro di cui ha tanta paura può provocare danno solo in questa vita e in questo corpo. Noi abbiamo trovato negli insegnamenti le medicine contro i difetti mentali, e dobbiamo ritenerle più preziose di quelle che curano il cancro! (st.38)
Non stiamo parlando di cose prive di fondamento logico; esse al contrario, pur se difficili da realizzare, con la giusta comprensione risultano realtà. La motivazione del raggiungimento dello stato di buddha per aiutare gli altri è corretta, quella invece della nostra sola felicità non lo è. C’è differenza se ci si aspetta un risultato per noi stessi o invece per gli altri: la prima attitudine è egoistica, infatti si pensa che sia sufficiente il nirvana, mentre nel desiderare di ottenere lo stato di buddha per gli altri non è presente alcun tipo di egoismo. È facile capire come l’odio dia sofferenza, visto che non troviamo nessuno che dica di essere felice mentre si arrabbia, ma è più difficile comprendere come la produca l’attaccamento. La via dell’attaccamento ci crea dei bisogni, facendoci apparire un oggetto del desiderio più bello di quanto è, per cui vogliamo possederlo e poi non separarcene mai. Se un particolare oggetto non è come vorremmo fosse sorge infelicità, se è in accordo ai nostri desideri abbiamo paura di perderlo: in entrambi i casi ci causa sofferenza. Ma non provando desiderio per esso non saremo interessati minimamente che soddisfi o meno le nostre aspettative. Entrare in contatto con un oggetto del desiderio può far sorgere felicità, ma questa è sempre mescolata alla sofferenza. Alcuni esempi: Quando saliamo in macchina per un lungo viaggio, all’inizio siamo contenti, ci sembra di stare molto comodi, ma poi cominceremo a non sopportare più di essere dentro a quella stessa automobile. Se sediamo su un cuscino, per un po’ potremo stare bene, ma poi ci risulterà scomodo. Se usciamo per una passeggiata la troviamo piacevole, ma camminando per molto tempo cominceremo a stancarci. Quando abbiamo fame e cominciamo a mangiare siamo soddisfatti, ma se mangeremo troppo staremo male e sentiremo nausea. Ancora, quando abbiamo freddo ci mettiamo al sole, ma dopo un po’ proveremo disagio e avremo desiderio di un luogo all’ombra, per poi ricominciare a sentirci infreddoliti. In questi diversi esempi sembra che i vari rimedi applicati per eliminare un’iniziale insoddisfazione o disagio rechino gioia alla mente, e in generale possiamo dire che si tratti di felicità, ma la sua natura è sofferenza del cambiamento. Qualsiasi piacere di questa vita non potrà mai soddisfarci completamente, dal momento che il nostro corpo è la base per la sofferenza, e fintanto che lo abbiamo, non importa quale condizione fortunata riusciamo a raggiungere, non saremo mai definitivamente felici. Del resto, pieni di difetti mentali, i nemici interiori, come potremmo esserlo? La loro causa radice è la mente che ha una errata percezione dei fenomeni, e si aggrappa a una loro concreta esistenza; ma un mondo oggettivo, nel senso di esistente dalla sua parte, intrinsecamente, indipendentemente, non c’è, perché ogni fenomeno esiste solo in relazione a una mente che lo concepisce. Un tavolo di per se stesso non è un tavolo, ma diventa ‘tavolo’ nel preciso momento in cui gli diamo questo nome. Similmente, consideriamo due persone, una delle quali ci ha molto aiutato nel passato e oggi ci picchia con un bastone, mentre l’altra ci ha picchiato in passato e oggi ci fa del bene: quale di queste due possiamo dire che è un nemico e quale un amico? Farò ora un altro esempio, che forse potrà apparire strano: una persona colpisce con un bastone noi e con lo stesso bastone un bodhisattva; ebbene, noi considereremmo questa persona un nemico, mentre il bodhisattva la vedrebbe come il più prezioso dei suoi amici, perché grazie a lui ha potuto praticare la pazienza! Non è facile comprendere che i fenomeni non esistono ‘veramente, dalla loro parte, o naturalmente, perché dentro di noi abbiamo molto forte la concezione di una realtà esistente in modo intrinseco. Ciò è stato oggetto di molti dibattiti tra gli eruditi indiani, e fra gli stessi buddhisti ci sono quattro differenti scuole con opinioni diverse, che rappresentano livelli graduali di apprendimento, per cui la scuola inferiore è al primo gradino e ha una visione più limitata rispetto alla seconda, e così via. Comunque occorre cominciare dal primo livello per poi arrivare all’ultimo, in cui si ha la visione più alta, secondo la quale i fenomeni non esistono appunto in modo oggettivo, naturale, concreto, dalla propria parte, ma solo a seguito dell’attribuzione di un nome a una base valida. Questo soggetto è molto importante dal punto di vista filosofico, nel senso che è una soluzione per i problemi di tutto il mondo. In India c’era uno yogi che si chiamava Lampopa e che aveva realizzato la vacuità. Il re di quello stato, avendo saputo di questo grande siddha, lo invitò perché gli desse istruzioni e Lampopa, non possedendo la completa e perfetta abilità nell’insegnamento, gli disse che la realtà è vuota di esistenza. Il re però comprese male, e pensò che volesse dire che non esisteva nessuna realtà oggettiva, e che quindi non c’era alcuna base per le azioni positive e negative; allora si irritò moltissimo con il mahasiddha e lo fece decapitare. Dopo un po’ di tempo, comunque, o perché aveva ricevuto altri insegnamenti o perché aveva accumulato karma positivo, riuscì a comprendere ciò che Lampopa aveva effettivamente inteso dire, e si accorse di essere stato lui in precedenza a fraintendere gli insegnamenti ricevuti. Si pentì allora dell’ordine dato, e fece molte purificazioni e offerte. Non si è detto che i fenomeni non esistono per niente, ma si sono usati i termini ‘veramente’, ‘intrinsecamente’, ‘per loro stessa natura’, ossia non si è negata l’esistenza delle cose, ma la loro esistenza ‘vera’, intrinseca, per propria natura. Prima di capire cosa significhi essere vuoto di esistenza intrinseca, occorre stabilire come dovrebbe essere un fenomeno che esista invece intrinsecamente, dal suo proprio lato, per sue proprie caratteristiche. Ebbene, esso dovrebbe esistere indipendentemente da ogni condizione o fattore o parte che lo compone, cioè dovrebbe esistere autonomamente. Invece un fenomeno esiste in dipendenza dalle parti che lo compongono; per esempio un registratore esiste in dipendenza dalle proprie parti, mentre un registratore indipendente dalle proprie parti non esiste. I fenomeni vengono a esistere solamente dopo essere stati designati da una mente, e principalmente esistono perché sono stati designati da una mente. Ancora, quando siamo su una collina la indichiamo come ‘questa collina’, mentre la collina che vediamo in lontananza per noi è ‘quella collina’, ma tali designazioni dipendono dalla nostra posizione, infatti se ci spostiamo e andiamo sull’altra collina, ‘quella’ collina diventerà ‘questa’ e viceversa. Comunque non si dice che non esistono i fenomeni, ma si dice che non esistono fenomeni indipendenti. Ancora un esempio. Quando siamo seduti in una stanza, nella nostra mente abbiamo la concezione di essere effettivamente seduti in una stanza, ma se cerchiamo ‘la stanza’ vediamo che non è identificabile nel muro, né nel pavimento, né nella porta. Nessuna parte della stanza è la stanza. Analizzando in questo modo non troviamo più la stanza, che esiste invece nel momento in cui attribuiamo un nome a quella collezione di parti. Si realizza allora che la stanza non esiste indipendentemente, ma solo dopo che a esse è stato attribuito il nome, e questa esistenza funziona a livello relativo, o convenzionale. Studiando il Dharma a volte abbiamo difficoltà nel capire e, anche se abbiamo compreso, ne abbiamo nel praticare; ora, sicuramente ci sono ostacoli nel sentiero, ma dovremmo sopportarli come qualcosa di utile, visto che grazie a essi raggiungeremo il nostro obiettivo, la felicità. Se ci sforziamo di praticare il Dharma, ciò ci porterà a eliminare le cause della sofferenza, quindi dovremmo essere felici di impegnarci in questo modo, anche se incontriamo dei problemi. Quando in battaglia si è feriti dai nemici si mostrano le cicatrici come un ornamento, così anche le difficoltà della pratica devono essere sopportate pazientemente, sapendo che sono utili e che lo scopo è vasto. (st.39)
Ci sono persone che durante la seconda guerra mondiale hanno perso anche un braccio o una gamba e che esibiscono con orgoglio le loro mutilazioni, per dimostrare quanto hanno fatto per la patria; noi dovremmo essere ancora più orgogliosi, perché stiamo facendo molto di più. Di solito ci si sente orgogliosi perché si possiede qualche cosa, noi dobbiamo esserlo perché stiamo perseguendo un grande obiettivo. Nel buddhismo uno dei più famosi meditatori è Milarepa, proprio perché non possedeva niente. Molti desidererebbero ottenere uno stato simile al suo, anche se per mangiare aveva solo piante selvatiche e per vestirsi nulla. Se diciamo a un buddha o a un bodhisattva di non avere possedimenti essi ne saranno felici, mentre se diciamo le stesse cose a persone comuni penseranno solo che siamo poveri. Nel mondo troviamo pescatori, cacciatori, agricoltori che sopportano grandi difficoltà solo per guadagnarsi da vivere, così noi, che vogliamo raggiungere lo stato di buddha, perché non siamo in grado di sopportare difficoltà nello studio e nella pratica del Dharma? (st.40)
Se vogliamo ottenere l’illuminazione dobbiamo prima eliminare i difetti mentali e in tal modo raggiungeremo lo stato del nirvana, però questo sembra essere in contrasto con il proposito iniziale di raggiungere l’illuminazione per il bene di tutti gli esseri. In effetti dobbiamo pensare che l’eliminazione dei difetti mentali è uno stadio verso questo obiettivo, dal momento che se non siamo in grado di distruggere le nostre concezioni disturbanti non è possibile pensare di poter aiutare gli altri a sconfiggere le proprie. Prima dobbiamo avere fiducia di riuscire a fare noi stessi una determinata cosa, per poi aiutare gli altri a fare altrettanto. (stt.41-42)
Qual è la differenza fra gli arhat hinayana e i bodhisattva nel cercare di eliminare i difetti mentali? Gli arhat lo desiderano per la propria felicità, mentre i bodhisattva per poter essere di beneficio agli altri. Nell’eliminare i difetti mentali si è mossi da un’attitudine corretta, perciò non c’è errore nel trattarli come nostri nemici e ricorrere ad appropriati antidoti contro di essi. E tale atteggiamento non è esso stesso un altro difetto mentale, poiché non crea sofferenza, data la particolarità dell’oggetto. (st.43)
Non dobbiamo mai incoraggiare o dare ai difetti mentali un’occasione di vittoria, e a costo della vita non ci inchineremo mai a loro. (st.44)
Se anche fossimo uccisi perderemmo al massimo questa vita, ma arrendendoci ai difetti mentali avremo sofferenza per molte altre in futuro, e finiremo nei reami inferiori. Nel caso di nemici ordinari non li sconfiggiamo mai completamente: se li cacciamo da una regione possono trovare rifugio in un’altra e lì riprendere forza e riorganizzarsi per attaccare di nuovo. Non avviene però così per i difetti mentali, perché quando li avremo sconfitti con la perfetta saggezza ciò renderà impossibile che si rigenerino nella nostra mente. Una volta che saranno stati rimossi, non avranno più dove andare e spariranno, perché non possono esistere al di fuori della mente. (st.45)
Se è vero che i difetti mentali una volta eliminati non ritornano più, perché non lo abbiamo fatto prima? Perché la nostra mente è sempre stata debole, e non abbiamo generato lo sforzo entusiastico e la saggezza che li avrebbero eliminati definitivamente! (st.46)
Un altro dubbio che potrebbe sorgere è che non siamo in grado di eliminare i difetti mentali perché forse non provengono dalla nostra mente, ma esistono per loro stessa natura, cioè veramente, naturalmente. Ora, nonostante essi esistano convenzionalmente – visto che ci disturbano, ci danneggiano e ci creano sofferenza – ultimamente non riusciremo invece a trovarli come esistenti. Sono quindi come un’illusione, perché non esistono di per se stessi, pur avendo un’esistenza convenzionale; comunque perdono anche questa una volta che siano stati eliminati dalla mente. Pensare che esistono di per sé fa sorgere la paura che non si possano eliminare, invece sapendo che ciò è possibile, si deve generare il desiderio di estirparli, e attuare ciò con gioia. Perché dovremmo lasciare loro la libertà di farci soffrire e condurci nei reami inferiori? (st.47)
Abbiamo preso i voti del bodhisattva, quindi vogliamo raggiungere l’illuminazione, e allora dobbiamo esaminare i vari soggetti trattati e cercare di capirli bene. Ogni cosa che Buddha ha detto è per il nostro beneficio, per cui dobbiamo seguirla. Egli ha meditato per eoni sull’amore e la compassione, quindi non è possibile che ci voglia danneggiare e, avendo raggiunto la perfezione per se stesso e per gli altri, non c’è nessuna ragione per cui non debba esporre ciò che è valido. Forse qualche punto di questi insegnamenti potrà non essere compreso e messo in pratica immediatamente, ma dobbiamo comunque praticare subito ciò in cui riusciamo. In questo capitolo si dice di non accumulare karma negativo e di eliminare alla radice i difetti mentali. Inoltre, avendo sviluppato la mente di bodhicitta, dovremmo mantenerla e incrementarla e, se non siamo capaci di generarla ora, pregare per essere in grado di farlo in futuro e intanto praticare subito ciò che è nelle nostre possibilità.

Commento al 5° capitolo:
L’attenzione discriminante

Abbiamo studiato i vantaggi della generazione della mente di bodhicitta, quindi come prepararsi per questa generazione, poi come generarla effettivamente e infine abbiamo preso i voti. Ora dobbiamo preservare questi voti, altrimenti non saremo in grado di proteggere la nostra pratica. (st.1)
Ciò avviene attraverso il controllo della mente, cosa estremamente importante. Se non lo faremo ne verremo danneggiati, perché la mente non controllata è come un elefante pazzo e selvaggio, ma i danni che esso può arrecare sono senz’altro minori di quelli che può causare la nostra mente. (st.2)
Comunque, se lo legheremo, tale elefante non sarà più in grado di nuocere, e allo stesso modo la mente non sarà più in grado di creare problemi se la legheremo con la corda della consapevolezza. Questa deve essere presente in ogni nostra azione, momento dopo momento e, così come un elefante legato, la mente controllata con la consapevolezza non ci potrà far paura e non accumulerà che virtù. (st.3)
Prima occorre saper discernere ciò che è bene da ciò che è male, poi esercitare controllo sulla mente e, se ci suggerisce qualcosa di positivo, la lasceremo agire, mentre la fermeremo se ci induce a comportarci negativamente: non dobbiamo lasciarla completamente libera, ma porle dei limiti tramite la consapevolezza. Se abbiamo paura delle tigri, degli elefanti, dei leoni, dei serpenti, dei cannibali, degli spiriti o di qualsiasi altra cosa, ciò è dovuto al fatto che la nostra mente è senza controllo, a causa del karma negativo accumulato. Questi esseri spaventosi sono migliaia, milioni e, non potendo legarli tutti, quello che invece possiamo fare è soggiogare la mente, e di conseguenza saranno soggiogati anche tali nemici. (stt.4-5)
Se riusciamo ad addestrare la nostra mente, ogni cosa fatta dagli altri ci sembrerà vantaggiosa, altrimenti tutto sarà fonte di problemi. (st.6)
Se generiamo amore e compassione per le altre persone queste ci ameranno, e ciò equivale a dire che sono state domate. Buddha non ha nemici perché ha soggiogato la sua mente, mentre noi incontriamo chi ci danneggia perché ancora non siamo riusciti a farlo. Egli ha spiegato che ogni paura e sofferenza ha origine nella nostra mente, e che non c’è un qualcuno che ha creato le armi che si trovano negli inferni, o gli inferni stessi, o gli alberi pieni di spine su cui sembrano esserci donne e amici (tentando di raggiungerli ci si arrampica e si rimane feriti, poi quando si è in cima essi appaiono sotto e si ricomincia). Questo non è altro che il prodotto del karma negativo degli esseri che percepiscono tutto ciò, a sua volta causato da un tipo di mente oscurata e afflitta. (stt.7-8)
Gli occidentali possono credere o meno negli inferni, nel testo comunque se ne parla. A Pomaia mi è stato chiesto se essi esistono veramente o se sono stati inventati solo per poter indurre alle buone azioni e ho risposto che gli inferni esistono, ma che nessuno può telefonare per accertarsene. Se non crediamo negli inferni neppure crederemo a quei tipi di spiriti che sono i ‘preta’, né ai deva e ai semidei, poiché non li vediamo, ma di certo non possiamo negare l’esistenza degli animali. Nel reame del desiderio (a cui apparteniamo) esistono sei livelli di deva, e nei reami della forma e del senza-forma ce ne sono molti altri; ma solo perché non li vediamo dobbiamo dire che non esistono? E che non esistono i milioni di universi che ci sono nello spazio solo perché non li percepiamo direttamente? Buddha è apparso duemilacinquecento anni fa e nei suoi insegnamenti non c’è stato mai un cambiamento sostanziale, nelle scienze invece le teorie sono cambiate molte volte e l’ultima ci appare sempre come quella vera. Quando si parla della bomba atomica tutti sono spaventati dagli effetti che può produrre, ed essa è stata creata dagli scienziati senza sapere con sicurezza se poteva essere di beneficio all’umanità, ma se non fosse pericolosa non ci sarebbero le attuali manifestazioni contro la proliferazione nucleare. Se grandi inventori non sono stati in grado di prevedere se la loro stessa opera sarebbe stata utile o dannosa, come possiamo allora noi pretendere di stabilire facilmente l’esistenza degli inferni? (Comunque Ghesce-la dice che ha scherzato sugli scienziati perché qui non ce n’è nessuno! A volte si può ironizzare su queste cose, e lui stesso spiega di non poter dire se l’energia atomica sia un bene o un male, così chiede cosa ne pensiamo noi.) Anche Nobel – e di certo la sua conoscenza era notevole – non si rendeva conto che la dinamite poteva produrre distruzione e, così, come è possibile che noi persone comuni asseriamo di sapere ciò che esiste e ciò che non esiste? Tuttavia siamo d’accordo e crediamo a cose che non abbiamo verificato personalmente, ma che ci hanno raccontato gli scienziati. Questi hanno fatto anche molte scoperte che ci sono state utili, e ideato macchine che hanno risolto molti nostri problemi. In Tibet noi dipendiamo ancora dagli animali per gli spostamenti e dobbiamo portare le valige sulle spalle; in occidente, grazie alle varie invenzioni, non avete queste difficoltà, per esempio non ci sono più i buoi per lavorare i campi, mentre in India e in Tibet li si continua a usare, quindi ci sono senz’altro lati positivi nella scienza.
Nelle tre sfere del samsara – del desiderio, della forma e del senza-forma – ciò che dobbiamo controllare è la nostra mente, perché può arrecarci danni e sofferenze enormi e, dal momento che sia le esperienze piacevoli sia quelle spiacevoli sono sue creazioni, dobbiamo lasciarle fare ciò che è valido e impedirle di compiere ciò che non lo è. Si esamina ora ciò che la mente può attuare di positivo, in particolare perfezionare la generosità. Ma cos’è questa perfezione della generosità, se non riesce comunque ad alleviare la povertà di tutti i bisognosi? (st.9)
È l’attitudine di offrire tutto ciò che possediamo e anch’essa quindi è una creazione mentale. (st.10)
Generosità non è tanto l’atto del donare in se stesso, quanto sviluppare al massimo livello nella mente il desiderio di donare, e ciò significa eliminarvi del tutto l’avarizia. A volte Buddha aiutava gli esseri non tanto offrendo beni materiali, ma spiegando loro come purificare il proprio karma negativo, accumulare karma positivo e ottenere i più alti gradi di felicità. È molto difficile beneficiare gli esseri, ma non impossibile, e il nostro scopo è quello di ottenere lo stato di un buddha per attualizzare ciò, per questo impariamo il Dharma. La possibilità di raggiungere tale obiettivo sta nel riuscire ad accumulare ogni qualità e a eliminare ogni difetto e allora saremo in grado di aiutare tutti gli esseri. Bisogna avere questa aspirazione, che è un’attitudine mentale difficile da generare all’inizio, ma via via più semplice con il passare del tempo e con l’abitudine. Prima dobbiamo basarci con la logica sull’effettiva esistenza di altre vite sia passate che future e, se non ci risulta agevole, cominciamo a generare fede negli insegnamenti e nei Maestri che hanno realizzato questi soggetti prima di noi. Sulla base di questa fiducia in seguito potremo comprendere da soli. In un primo momento si tratterà di comprensione concettuale ma, familiarizzandoci con questi pensieri, successivamente saremo in grado di generarli in modo spontaneo e naturale. Il fondamento del Dharma è quindi la fede, e se non la si possiede non si possono neanche accumulare meriti, ma da sola essa non basta come fondamento di ogni realizzazione, infatti dobbiamo anche utilizzare la logica, ragionando in questo modo: “Adesso sono un essere umano intelligente, ma non è stato sempre così e non sarà sempre così. Il mio futuro dipenderà dal karma creato: se ne avrò accumulato di positivo otterrò una rinascita superiore, se invece ne avrò accumulato di negativo ne otterrò una inferiore”. Dobbiamo avere coscienza di ciò e impegnarci nella pratica, perché nell’immediato si soffre meno e si è più felici, e a lungo termine si godrà di condizioni favorevoli al raggiungimento della buddhità, grazie a una rinascita fortunata.
Nel Bodhisattvacharyavatara, nella parte esaminata prima, è spiegato che nei reami inferiori è arduo riuscire ad accumulare azioni meritorie e che se ne creano solo di negative, mentre sulla base di una preziosa rinascita umana è invece possibile arrivare anche allo stato di un buddha. Cominciamo a pensare in questo modo, e non è poi tanto difficile: “Perché dobbiamo creare karma positivo, evitare di produrre altro karma negativo e purificare quello già accumulato? Perché aspiriamo ad avere esistenze migliori e non desideriamo l’infelicità”. Ma non dobbiamo accontentarci di ottenere in futuro una vita più fortunata, infatti siamo già riusciti ad acquisire una buona rinascita, e tuttavia non siamo stati in grado di eliminare tutti i problemi e ottenere la completa felicità che volevamo. Allora sentiremo la necessità di liberarci dal samsara in generale, dal momento che solo così saremo del tutto affrancati dalla sofferenza. Questi insegnamenti derivano dal lam-rim. Se prima non addestriamo la mente nel sentiero graduale, sarà molto difficile farlo sulla base del Bodhisattvacharyavatara, perché il suo livello è molto superiore, infatti vi sono contenuti insegnamenti sulla bodhicitta; il sentiero dei bodhisattva è per le persone che hanno già generato la rinuncia al samsara, cioè l’avversione per ogni forma di esistenza condizionata, e possiedono amore e compassione per tutti gli altri esseri. Al momento non abbiamo neppure un forte desiderio per una migliore rinascita, quindi per la maggior parte di noi sarà difficile parlare di bodhicitta. Occorre sviluppare inizialmente il desiderio di ottenere una vita futura favorevole, ma poi pensare che ciò non è sufficiente e che, finché rimarremo nel ciclo delle rinascite samsariche, l’esistenza sarà sempre piena di problemi, insoddisfacente, e sorgerà di conseguenza il desiderio di liberarcene. Dobbiamo ricordarci di cosa significhi samsara: in pratica, che continuamente moriamo e rinasciamo non per il nostro volere, ma per la forza del karma e dei difetti mentali.
Possiamo comprendere che fino a quando vagheremo senza libertà nel samsara non avremo la felicità a cui aspiriamo bensì sofferenza, sia nel reame degli animali, sia come umani, sia come deva, e che avremo ottenuto la liberazione quando potremo invece scegliere la nostra rinascita. È in seguito a questa comprensione, e all’essere preoccupati della propria situazione, che si genera quindi la rinuncia. Qual è il veicolo con cui passiamo di vita in vita? È il corpo fisico. Qual è il luogo in cui prendiamo rinascita? Sono i reami di esistenza, dal più alto degli dei senza forma ai più bassi degli inferni, i cui differenti livelli sono determinati dalla particolare intensità del karma e dei difetti mentali. In questo vagare di vita in vita sperimentiamo diversi tipi di sofferenze anche se si riesce a ottenere una buona rinascita, per questo deve sorgere il desiderio di liberarsi in assoluto da tutta la sofferenza del samsara. E a quel punto la differenza sarà come quella che esiste tra la vita in prigione e la vita nella propria casa. In prigione essa viene regolamentata in modo rigido: bisogna rispettare determinati orari e restrizioni, e prendere solo il cibo che ci viene dato, invece a casa nostra possiamo alzarci e uscire quando vogliamo e mangiare ciò che ci piace se abbiamo fame. Questo equivale a confrontare l’esistenza nel samsara con lo stato della liberazione, con il conseguente desiderio di fuggire dallo stato di prigionia che la prima rappresenta. Qualsiasi tipo di piacere materiale troviamo nell’esistenza condizionata, dovremo prima o poi abbandonarlo. Come esseri umani, se abbiamo una bella casa dovremo lasciarla, e dovremo pure abbandonare i parenti cari, gli amici e così via. Ma già alla nascita si sperimenta grande sofferenza. Dopo essere stati concepiti si deve stare nel ventre materno per molti mesi. Il nutrimento viene ottenuto attraverso il cibo assunto dalla madre e se esso sarà bollente, troppo freddo o insufficiente, il feto ne soffrirà. Il posto fisico in cui restiamo durante questo periodo non è affatto desiderabile, infatti è veramente impuro. Pensiamo a quando rimaniamo in ritiro per un solo mese e a come lo troviamo difficile, ma allo stato fetale siamo costretti a rimanervi per nove mesi e dieci giorni! Appena nati, la nostra condizione è simile a quella di un verme, poi ancora piccoli, continuiamo a dipendere, per mangiare, vestirci e il resto, dai genitori, non essendo ancora in grado di distinguere ciò che è buono da ciò che non lo è. Attraverso questo ragionamento arriviamo anche a capire come nostra madre, senza la quale non esisteremmo nemmeno, sia stata gentile, e quanta cura si sia presa di noi. Diventati più grandi abbiamo avuto il problema della scuola e il desiderio di crescere ed essere adulti. Ora lo siamo diventati, e possiamo comprendere che abbiamo altri tipi di sofferenza, e che poi verranno quelli propri della vecchiaia. Chi lavora, in qualsiasi campo, deve superare delle difficoltà, e anche chi non lavora ha il problema di come impiegare il tempo, o la notte non si riesce a dormire. Da vecchi, se desidereremo parlare con un giovane, questi non vorrà nemmeno ascoltarci (i giovani non hanno alcun desiderio di ascoltare gli anziani) e se non avremo accumulato karma positivo cominceremo a preoccuparci degli effetti di quello negativo. Anche da giovani si hanno comunque problemi quali lo studio, gli esami, la difficoltà nel trovare ciò che si desidera, il dover affrontare cose che non si desiderano, il non riuscire a sconfiggere i nemici o ad aiutare gli amici. Quindi viviamo sempre nella sofferenza! Osservando il nostro corpo fisico, possiamo vedere che è simile a un sacco di spazzatura, per il fatto che qualsiasi cosa ne esca è sporca, e precedentemente è stato spiegato come sia un insieme di sostanze impure e sia stato ottenuto a causa del karma e dei difetti mentali; non dobbiamo quindi generare attaccamento verso di esso o per quello degli altri, ma finché non avremo eliminato le cause che determinano la rinascita con questo tipo di corpo fisico, non potremo evitarla in alcun modo. La mente, poi, è piena di difetti mentali, cause di ogni sofferenza, ma come a livello mondiale consideriamo usa e urss nazioni estremamente potenti che sono contrapposte l’una all’altra, allo stesso modo c’è un antidoto molto efficace contro le oscurazioni della mente, ed è la saggezza che realizza la vacuità.
Possedendo questa saggezza distruggeremo i difetti mentali e non avremo più un corpo come quello attuale e, se sarà rimasto del karma negativo esso non potrà maturare, similmente a semi di riso che senza cause cooperanti quali terreno, sole e umidità non germogliano, per esempio quando restano chiusi in una bottiglia. Tra le cause circostanziali che permettono al karma di maturare c’è il desiderio di rinascere e di prendere ancora forma. I nemici che ci tolgono la libertà sono i difetti mentali, e ne discutiamo perché dobbiamo generare il desiderio di liberarcene e per comprendere la realtà, non per scoraggiarci. Se non si potessero eliminare, parlare dei difetti mentali porterebbe solo alla depressione, e non ci sarebbe utilità nel farlo, ma se siamo afflitti e abbiamo sensazioni spiacevoli, comprendendo che si tratta di una ‘malattia’ dovuta alle nostre concezioni disturbanti potremo curarla ed eliminarne la conseguente sofferenza. Prima occorre saper fare questo tipo di analisi relativamente alle nostre condizioni, perché è naturale essere preoccupati di noi stessi, poi però dobbiamo applicare gli stessi ragionamenti anche agli altri, che soffrono come noi, e cercare di porre attenzione anche alla loro situazione. Se siamo in grado di riconoscere che tutti gli esseri hanno sofferenza, allora riusciremo a preoccuparci per ognuno di loro e ciò farà nascere amore e compassione, da cui sorgerà l’attitudine straordinaria di voler fare qualcosa per gli altri. Dobbiamo comprendere come sia possibile realizzare uno stato in cui risultano eliminati tutti i difetti mentali e sviluppate tutte le qualità, e che esso è da realizzare non solo per noi ma per tutti gli esseri: sorgerà allora il desiderio di raggiungerlo per poi poter aiutare gli altri a fare altrettanto. Senza tale maturazione interiore avremo difficoltà o lo scoraggiamento che è emerso ieri nella domanda in cui si chiedeva come sia possibile aiutare tutti gli esseri. Ma quando avremo realizzato saggezza e compassione, possiederemo tale capacità in modo naturale! I presidenti e i primi ministri quando andavano a scuola non immaginavano che lo sarebbero diventati, però crescendo e accumulando conoscenza hanno acquisito queste cariche. Come si arriva a tali livelli? Andando a scuola si apprende quello che c’è da imparare, si comincia quindi con un lavoro di poca importanza, poi ci si accorge che si può fare di meglio e anche gli altri vedono che abbiamo delle doti per fare qualcosa di più e ci incoraggiano. Un primo ministro non lo diventa appena finiti gli studi, ma per gradi. Analogamente, nel sentiero spirituale cominciamo con il generare la paura di rinascere in circostanze sfortunate nel futuro, poi la estendiamo a tutte le esistenze condizionate, poi continuiamo ancora con il desiderio che ne siano separati anche tutti gli altri esseri, fino a sviluppare l’aspirazione a raggiungere lo stato di buddha per il loro beneficio, che è lo scopo più elevato di una persona che pratica il Dharma, di una persona spirituale.
Occorre iniziare sviluppando amore e compassione per i parenti, per i nostri amici, per le persone che amiamo, quindi per quelli che ci sono indifferenti, poi per i nemici, ed estenderlo infine a tutti gli esseri. Potremo allora generare l’attitudine straordinaria di salvarli tutti, ma ci accorgeremo di non essere in grado di farlo al momento, e così desidereremo ottenere lo stato che ci dà questa possibilità, ossia quello di un buddha. La mente che genera tale desiderio è la bodhicitta, una mente presente in tutti i buddha e bodhisattva, con la differenza che i bodhisattva non hanno ancora perfezionato lo stato di buddha. Se non fosse possibile beneficiare tutti gli esseri, non si potrebbe parlare né di bodhisattva né di buddha. Noi abbiamo due tipi di oscurazioni, quelle all’onniscienza e quelle causate dai difetti mentali; esse sono però impermanenti, modificabili, dal momento che ne esistono gli antidoti, che ci sono persone che li conoscono, e che ci sono i relativi insegnamenti. È possibile per tutti gli esseri senzienti generare avversione per questi difetti, perché nessuno ama l’infelicità, e si cercherà perciò di eliminarla. Appena si aspira alla liberazione e si viene a sapere dell’esistenza di metodi per ottenerla, si adotterà ogni mezzo per conoscerli e praticarli, così da una parte ci sono buddha e bodhisattva che già la possiedono e dall’altra gli esseri che la desiderano, e si crea allora una comunione tra loro. Quando si ha una malattia, anche se c’è un medico nelle vicinanze, solo se nel malato sorgerà il desiderio di guarire e lo cercherà, si creerà la connessione e il medico potrà curare il paziente. È definitivamente possibile raggiungere lo stato di buddha e aiutare tutti gli esseri a fare altrettanto: la natura dei difetti mentali è uguale per tutti, non è che quelli di alcuni siano eliminabili mentre quelli di altri no, ed è possibile aiutare tutti gli esseri così come è possibile aiutarne uno. Nel Bodhisattvacharyavatara leggiamo che anche le mosche e gli insetti sono in grado di raggiungere lo stato di buddha, che ne hanno il seme, e se generano il giusto sforzo lo possono ottenere. Perché allora non possiamo riuscirci noi che abbiamo l’intelligenza e che già ora possiamo discernere ciò che è bene da ciò che non lo è? Nei testi a volte si legge che se si cade nei reami inferiori non si può creare karma positivo, ma allora come si può pensare che un verme o una mosca possano raggiungere lo stato di un buddha? Il significato dell’affermazione è che non lo otterranno magari in quelle forme animali, ma comunque nel ciclo delle rinascite infinite. A volte andiamo al vertice di queste rinascite a volte al fondo, e quando in questo vagare otteniamo le condizioni favorevoli e riusciamo a utilizzarle la possibilità è lì, perché in noi c’è il seme o natura di un buddha. Non troviamo nessun essere del quale si possa dire che i suoi difetti mentali e il suo karma non possano essere purificati e sradicati, dal momento che ognuno possiede una mente e questa non ha un’esistenza intrinseca. La ragione logica è che la radice di tutte le oscurazioni è la credenza che i fenomeni esistano intrinsecamente, per propria natura, e a causa di questa visione errata nascono poi tutti gli altri difetti mentali, ma quando avremo eliminato la mente che si aggrappa a un’esistenza concreta, avremo anche eliminato la loro causa. Conoscendo l’autentica natura dei fenomeni, la visione errata su di essi sparirà, e quando concepiremo la natura vuota della mente, sparirà la concezione di una sua esistenza intrinseca. Perché diciamo che gli esseri hanno la stessa natura dei buddha? Chi ha ottenuto l’illuminazione conosce il sentiero e i metodi per raggiungerla, e noi che invece li ignoriamo potremo ricevere aiuto da loro e seguendone i consigli riuscire a fare altrettanto. Tale processo di sviluppo mentale è possibile per tutti proprio grazie alla natura vuota della mente, ed è per questo che la vacuità della mente è la natura di buddha. Come chi è di stirpe reale potrà diventare re, così noi che siamo della stirpe dei buddha potremo diventarlo a nostra volta. È bene per noi conoscere molti insegnamenti, così avremo le idee più chiare al riguardo, ma se non abbiamo delle basi sarà difficile comprenderlo. Comunque, persino un buddha non può beneficiare gli esseri in un tempo breve. Prima si è parlato della perfezione della generosità, ora nel testo viene trattata quella della disciplina morale, il cui significato è la determinazione di non nuocere a nessuno. Ciò non va inteso come sforzo per impedire a tutti gli esseri di nuocersi a vicenda, bensì come massimo sviluppo di tale attitutdine nella propria mente, trattenendosi di conseguenza dalle azioni negative. (st.11)
Quelle del corpo sono l’uccidere, prendere ciò che non ci appartiene, avere rapporti sessuali se si è monaci o una condotta sessuale scorretta come l’adulterio se si è laici. C’è differenza tra il semplice non uccidere e la determinazione a non uccidere perché nel primo caso, non avendo una motivazione particolare, non si produrrà né karma negativo né positivo, mentre se ci asteniamo dal togliere la vita dopo esserci determinati a non farlo, si creerà karma virtuoso. Similmente accade per le azioni negative della parola e per quelle mentali, cosicché se si prende la decisione di non desiderare le cose altrui, che ugualmente non riusciremmo a ottenere, creeremo un’impronta positiva nella mente, e se eliminiamo la malevolenza, che siamo in grado o no di contrastare gli altri, sarà quello il caso in cui saremo vincitori comunque. Quando a Buddha venne chiesto cosa fosse la disciplina mentale, egli rispose: “La determinazione di non commettere azioni negative”. E non è un metodo difficile da attuare, ma praticabile anche nella vita di tutti i giorni, e tralasciarlo per cercarne di più complicati significa andare in cerca di illusioni; conoscendo i metodi del Dharma risulterà molto semplice. C’è differenza tra chi si trattiene dalle azioni negative seguendo il sentiero spirituale e va al mare divertendosi, da chi sta per un’ora chiuso in una stanza senza generare quella determinazione. È migliore la prima attitudine! Andando a lavorare rispettando il Dharma si avrà il duplice beneficio di produrre karma positivo e guadagnare soldi. Se qualcuno lavora in fabbrica può accumulare meriti impegnandosi molto e pensando che così beneficia anche il suo datore di lavoro. Quindi lavorando si può praticare la perfezione della generosità e della moralità, e se lo facciamo sopportando la fatica pratichiamo anche la perfezione della pazienza. In questo modo, grazie alla motivazione positiva, oltre al denaro accumuliamo meriti, altrimenti se svolgiamo il nostro lavoro esclusivamente per il profitto si tratterà solo di un duro sforzo. Gli oggetti del nostro odio sono infiniti come lo spazio ed è impossibile distruggerli tutti, ma se si elimina l’odio dalla propria mente attraverso un cambiamento in essa, ciò equivale alla distruzione di tutti gli ostacoli esterni. Cambiare tutti gli esseri è impossibile, ma se ci limitiamo a trasformare la nostra mente sarà più semplice e avremo comunque risolto il problema. (st.12)
Se si pensa di coprire tutta la superficie della terra per proteggere i nostri piedi dalle asperità non si troveranno abbastanza cuoio e tappeti, ma sarà sufficiente trovare quanto basta per coprire i nostri piedi e saremo ugualmente protetti. (st.13)
Similmente, non ci è possibile controllare il corso esterno degli eventi, ma se esercitiamo controllo sulla nostra mente non ci sarà bisogno di farlo con tutto il resto. (st.14)
Due azioni uguali, siano fisiche o verbali, risulteranno differenziate dalla motivazione mentale che le accompagna, infatti anche un solo istante di concentrazione può dare la rinascita con lo stato di Brahma. (st.15) Se preghiamo dal profondo del cuore, la nostra preghiera diventa molto potente, mentre se la mente vaga si tratterà solo di una azione verbale, non troppo efficace. Buddha ha detto: “Se siete in ritiro o digiunate ma non avete una motivazione valida, l’effetto di queste azioni sarà nullo, come lo sarà sedersi in meditazione con una mente che si sofferma sugli oggetti dei sensi e del desiderio”. (st.16)
Se meditiamo o recitiamo mantra, bisogna essere effettivamente concentrati in quello che facciamo e la nostra mente non deve distrarsi, né sprofondare nel sonno, e allora se ne ricaveranno molti frutti. Quegli esseri che non sono capaci di comprendere il segreto della mente, che è il dharma (fenomeno) significativo per eccellenza, vagheranno nel samsara senza scopo e tale segreto è comprendere la vacuità dei fenomeni. (st.17)
Per eliminare i difetti mentali, bisogna ricordare che cosa è valido e che cosa non lo è, poi essere costantemente consapevoli e tenere sotto controllo la mente, per fare ciò che è giusto e astenersi da ciò che è sbagliato. Due fattori mentali sono estremamente importanti nel disciplinare la mente: l’attenzione discriminante e la consapevolezza. Guidando, si deve essere coscienti dell’andatura della propria auto, del comportamento degli altri conducenti, della strada, e stare attenti a tutto. Similmente, volendo controllare la mente, dobbiamo esserne consapevoli momento dopo momento, e se ha intenzioni positive dobbiamo lodarci, mentre se ha intenzioni negative dobbiamo fermarci e non tradurle in azioni. Non c’è alcuna utilità nelle altre discipline se non si è in grado di controllare la propria mente: questa è una pratica di base. (st.18)
Noi desideriamo la felicità e non vogliamo la sofferenza, e poiché ciò che determina il karma è la mente, dobbiamo essere come sentinelle che controllano ciò che essa produce. Sia che compiamo azioni con il corpo o con la parola, la causa principale e la forza motivante è sempre la mente, per questo è così importante. Se abbiamo una piaga molto sensibile e ci troviamo in un gruppo di persone ci muoveremo con cautela, perché non la urtino e per non sentire quindi dolore; allo stesso modo quando siamo a contatto con la gente dobbiamo prestare attenzione alla nostra mente perché non ci induca a compiere azioni non corrette. Ora, se siamo così accorti per una ferita fisica, perché non stiamo attenti alla ferita della nostra mente che ci può creare l’enorme sofferenza della caduta nei reami inferiori? (stt.19-20)
Se si è capaci di controllare le azioni della mente, se si è sviluppata l’attenzione discriminante, non ci sarà alcun problema nel vivere in mezzo a gente indisciplinata o vicino alle donne, che possono diventare oggetto di desiderio anche per un monaco. Anche se uno si trova tra di loro, se è conscio dell’impermanenza del corpo e delle sue impurità e conosce la vacuità e gli antidoti al desiderio, non ci sarà pericolo, e se ha sconfitto l’odio neppure ci sarà nessuno che lo potrà danneggiare. (st.21)
Non importa se non abbiamo tante ricchezze né molti onori, se il nostro corpo è in declino, se abbiamo pochi mezzi di sostentamento: è meglio lasciar degenerare queste cose piuttosto che le virtù della mente. (st.22)
Non è di troppo conto se ne lasciamo degenerare altre, ma è molto pericoloso se si tratta di qualità della mente, in particolare della bodhicitta. “Esorto con le mani giunte quelli che desiderano addestrare e controllare la mente” dice Shantideva “a essere sempre vigili riguardo alla consapevolezza e all’attenzione discriminante”. (st.23)
L’attenzione discriminante è quel fattore mentale che riesce a giudicare in ogni momento ciò che la mente sta facendo, e la consapevolezza è quello che mantiene costante questa osservazione. Anche se la propria mente possiede queste caratteristiche, occorre prima costruire la base della conoscenza di cosa è corretto e cosa non lo è. Come la malattia ordinaria indebolisce il fisico, che non riesce più a fare nulla di utile, così la mente ammalata e indebolita per l’ignoranza vedrà la sua energia ridotta e non potrà produrre niente di valido. (st.24)
Se si manca di attenzione discriminante e di consapevolezza, qualsiasi cosa si faccia o si mediti sarà come mettere dell’acqua in un vaso bucato: niente sarà trattenuto nella memoria e tutto sarà stato vano. (st.25)
Anche chi ha molta intelligenza, fede e sforzo entusiastico, ma è privo di questi due fattori, accumulerà solo karma negativo e commetterà solo errori. (st.26)
Se non si ha attenzione discriminante, i difetti mentali, seguendo la decadenza della consapevolezza, come ladri ci porteranno via tutti i meriti e andremo nella prossima vita a mani vuote. (st.27)
Riguardo a questo facciamo un esempio: quando abbiamo accumulato meriti con azioni virtuose, per i difetti mentali che abbiamo e per la mancanza di consapevolezza potrebbe sorgere dell’odio, capace di distruggere quel karma virtuoso, ma se essa è presente potremo scorgere l’odio mentre nasce e in questo modo arrestarci, preservando così i meriti creati. I nostri difetti mentali sono come una banda di rapinatori: ci seguiranno aspettando l’opportunità per derubarci dalle nostre virtù, e la troveranno, poiché manchiamo di attenzione discriminante, cosicché nella prossima vita andremo nei reami inferiori. (st.28)
Anche nella vita comune i nostri nemici sono sempre in agguato per colpirci e allo stesso modo i difetti mentali vogliono sorprenderci privi di vigilanza, per indurci a fare ciò che vogliono, cioè commettere azioni non virtuose. Se si vuole controllare la mente occorre compiere solo azioni meritorie e non lasciare uscire la consapevolezza dalla porta della mente; anche se ciò accade, dobbiamo immediatamente riconoscere la situazione e riportarla indietro, per esempio nel caso in cui si sta compiendo un’azione positiva e ci si rende conto di essersene distolti per rivolgersi a una negativa: l’attenzione discriminante deve subito riconoscere questo processo e ristabilire la consapevolezza. (st.29)
Per riuscire a mantenere questo tipo di mente è meglio stare in buona compagnia, come quella dei Maestri e dei praticanti, con la paura di essere criticati se non ci si comporta correttamente, e avendo l’opportunità di ricevere istruzioni dall’abate. (st.30)
Quindi dobbiamo sempre ricordarci dei voti presi e dei nostri Maestri spirituali, vergognandoci di quanto potrebbero dirci se li trasgredissimo. Questo può aiutarci ad andare per la giusta via. I buddha e i bodhisattva sono onniscienti e percepiscono tutto senza ostacoli, per cui dobbiamo stare attenti a fare ciò che si aspettano da noi. (st.31)
Occorre essere sempre memori che il karma positivo porta felicità e quello negativo sofferenza. Se abbiamo sviluppato un senso di vergogna per le cose sbagliate e rispetto per i nostri Insegnanti, non faremo nulla di male e ricorderemo anche spesso i Buddha. (st.32)

[Ghesce-la dice che è bene fare domande, perché può così rendersi conto di quanto abbiamo capito.]

Domanda: “Relativamente al karma, cosa succede quando, grazie all’attenzione discriminante, si vede sorgere l’odio e lo si ferma?”
Risposta: “Se siamo capaci di bloccare l’odio, che tra i dieci tipi di karma negativi è tra quelli prodotti dalla mente con la malevolenza, si impedisce alla sofferenza di generarsi nella nostra mente, e si parla di disciplina dell’astenersi dalla malevolenza”.
 
La migliore condizione per la pratica del Dharma è la nostra, e dobbiamo quindi sempre creare le cause per ottenere anche in futuro altre preziose rinascite umane, determinandoci a non commettere i vari tipi di varie azioni negative – a non cedere alle tentazioni di uccidere, rubare, commettere adulterio e così via – e osservando effettivamente la disciplina etica.
Gli uomini a volte hanno difficoltà a trovare i mezzi di sussistenza e allora sarà difficile anche praticare il Dharma. Chandrakirti ha detto che la felicità degli esseri è legata anche ai vari possedimenti e che per ottenerli dobbiamo porne le cause mediante la generosità, e Nagarjuna che la generosità matura nella ricchezza e la moralità in una rinascita umana. 
Le offerte ai Tre Gioielli e agli esseri senzienti sono pratica della generosità. Se pratichiamo la disciplina morale otterremo una preziosa rinascita umana, in cui potremo sentire gli insegnamenti e seguire il Dharma, e se pratichiamo anche la generosità non avremo nemmeno problemi di sostentamento. Anche per ottenere una rinascita divina dobbiamo praticare moralità e generosità, ed entrambe sono ancora necessarie per ottenere lo scopo più grande.
La pratica delle sei paramita produce frutti diversi in dipendenza della motivazione. Se le pratichiamo per evitare le rinascite inferiori o per raggiungere il nirvana otterremo rispettivamente solo quello, se lo facciamo invece per ottenere lo stato di buddha sarà quello il risultato, ed è il massimo. Pratiche uguali hanno effetti differenti se la motivazione è differente.
Dobbiamo meditare sui vari tipi di sofferenze, renderci conto che anche le forme di vita migliori non sono che un susseguirsi di esse, e quindi rinunciare del tutto al samsara. Questo vale sia per chi vuole raggiungere il nirvana che per chi vuole raggiungere l’illuminazione, ma mentre il primo tipo di persona si preoccupa di ottenere la definitiva liberazione dalla sofferenza per sé, il secondo vuole tale liberazione anche per ogni altro essere, avendo realizzato che tutti soffrono, e che ottenere solo il nirvana è ancora una motivazione egoistica. Come una madre possiede in abbondanza amore e compassione per i propri figli e sempre desidererà che abbiano ciò che anche per lei è buono, e che non soffrano, noi dobbiamo cercare di sviluppare questa stessa attitudine per genitori, fratelli, parenti, amici e poi ancora oltre, fino a includere persone indifferenti e nemici, cioè tutti gli esseri.
Avere compassione è molto importante, perché è il seme, la causa sostanziale dello stato di buddha, di ogni felicità propria a quello stato e della bodhicitta, ma è anche la causa circostanziale che spinge un bodhisattva a praticare, infatti pur dovendosi impegnare in molti modi per ottenere l’illuminazione egli è spronato in ciò dalla sua preoccupazione per tutti gli esseri. Gli arhat hinayana restano anche per eoni in samadhi, godendo di tale beatitudine senza preoccuparsi degli altri, mentre i buddha non cessano di beneficiarli neanche per un istante: ciò che li differenzia dai primi è la compassione.
Se abbiamo compassione aiuteremo gli altri e non li danneggeremo, e anche se non riusciamo ora effettivamente a beneficiarli, ma ne abbiamo almeno il desiderio e l’aspirazione, possiederemo l’essenza del Dharma.
Per tutti questi motivi consideriamo la bodhicitta preziosa.
Se una persona sta al governo e ha tale compassione cercherà di fare solo il bene della nazione, e non ci sarà motivo perché gli altri si lamentino. Non si parla mai male di chi ha questa attitudine, ma si definisce cattivo chi ne è privo: che siamo religiosi o meno, se abbiamo una mente che si preoccupa di alleviare le sofferenze altrui la gente parlerà bene di noi, e anche cani, gatti, animali selvatici e uccelli ci ameranno. I bambini vogliono bene alla madre comunque essa sia, giovane o vecchia, bella o no, perché lei ha compassione sempre. L’amore è il desiderio che tutti gli esseri siano felici, mentre la compassione è il desiderio che non soffrano.
Abbiamo discusso precedentemente che per tutti è possibile ottenere lo stato di buddha ed è possibile per un buddha beneficiare tutti gli esseri, ma perché non abbiamo ancora raggiunto questo stato? Perché non abbiamo generato la compassione, e allora dobbiamo sforzarci di ottenerla attraverso lo sviluppo di due attitudini mentali: la comprensione che tutti gli esseri soffrono, anche se questa da sola non è sufficiente (infatti da un punto di vista razionale ce l’abbiamo già) e il vedere tutti gli esseri come nostra madre, quindi sentirli vicini, desiderare che non soffrano più e generare bodhicitta.
Se abbiamo degli amici che stanno male soffriamo per loro, ma venendo a sapere delle malattie di chi non conosciamo non sentiamo nulla, e per le pene di un nemico è possibile addirittura che proviamo gioia. Perché, se la condizione di sofferenza dei tre tipi di persone è uguale, c’è differenza nei nostri sentimenti? Perché non riusciamo a vederle allo stesso modo!
Dobbiamo considerare i nemici come i nostri cari e così gli estranei, dal momento che tutti ci hanno beneficiato, essendo stati nelle vite precedenti molte volte nostra madre, e che le nostre vite passate sono innumerevoli. Se vogliamo avere un’idea del loro numero, possiamo pensare che ogni uomo che vediamo corrisponde a una vita (non solo le persone qui presenti ma tutta la popolazione del mondo) o pensare che esse sono come le gocce dell’oceano e ancora di più. Inoltre non possiamo poi fissare il primo istante di esistenza della nostra mente perché essa viene da un tempo senza inizio. Non riuscendo a contare le vite precedenti e visto che gli esseri degli universi sono innumerevoli, possiamo dire che ogni essere è stato senz’altro nostra madre, e non una sola, ma più e più volte. Pensiamo alla gentilezza della madre di questa vita e a quante preoccupazioni ha avuto per noi, e poi estendiamo la nostra riflessione a quella che hanno avuto verso di noi tutti gli esseri.
Sia la madre di questa vita che quelle delle precedenti si sono comportate con tale gentilezza, e dobbiamo riconoscerle e cercare di ripagarle facendo noi ora qualche cosa per loro. Se riusciamo a ragionare così, sentiremo ogni persona in cui ci imbattiamo come nostra madre, e sarà naturale avere un atteggiamento amorevole nei suoi confronti.
 Se abbiamo una mano ferita non la trascuriamo ma cerchiamo di curarla, allo stesso modo ci dobbiamo prendere cura di tutti gli esseri come di una parte di noi stessi, senza discriminare, perché possiedono la medesima aspirazione a raggiungere la felicità ed evitare la sofferenza.
Ordinariamente, se qualcuno ci beneficia lo sentiamo amico, se non entra in relazione con noi ci risulta indifferente, se ci danneggia lo percepiamo come nemico. L’attitudine corretta è però di porre allo stesso livello questi tre tipi di persone, mentre differenziarli è scorretto e non si fonda su ragioni logiche. Come una madre è difficile che discrimini desiderando la felicità per alcuni dei suoi figli e infelicità per altri, così un dottore non dovrebbe fare differenza tra cento pazienti volendone curare solo qualcuno e, ancora, un buon capo di stato non dovrebbe favorire alcune classi sociali a discapito di altre, ma avere a cuore il benessere di tutta la popolazione.
Questa equanimità è la base per l’amore e la compassione, che generano poi l’attitudine straordinaria di voler impegnarsi personalmente per liberare tutti gli esseri.
Tra le persone che cercano soluzione alla sofferenza attraverso la via spirituale, l’attitudine di chi si impegna a trovarla solo per sé è limitata e rivela una mente ristretta, mentre quella di chi la cerca anche per gli altri è una motivazione più elevata. Questi insegnamenti sono mahayana ed è un suo seguace chi si preoccupa appunto di tutti gli esseri. Gli hinayanisti si pongono l’obiettivo di raggiungere il nirvana, mentre i mahayanisti l’illuminazione, e la base delle pratiche proprie al sentiero di questi ultimi è la grande compassione; noi, non avendola ancora sviluppata, non possiamo definirci tali. C’è una grossa differenza tra chi è e chi aspira a essere nel Mahayana: ci si può ritenere mahayanisti dal momento in cui si genera la mente di bodhicitta.
Il pensiero che gli altri abbiano tutti la felicità desiderata è propria del praticante mahayana, così chi lo possiede se riveste una funzione pubblica lavorerà molto volentieri e con impegno, se insegna lo farà meglio che se non l’avesse, se è un dottore svolgerà la sua professione in modo responsabile sia che guadagni denaro o no, se è un infermiere lavorerà con maggiore cura. Ogni persona colma di compassione sarà in grado di dare il meglio di sé, diventerà più nobile, si sentirà migliore e sarà amata da tutti. La bontà che si ha non è nei vestiti o nelle ricchezze, ma dimora nel cuore.
La sola generazione di bodhicitta non è però sufficiente, essendo anche necessario applicarsi nei tre aspetti della disciplina dei bodhisattva:
• evitare ogni azione negativa,
• praticare ciò che è virtuoso,
• beneficiare gli altri.
Nel testo è ora considerato il primo di questi aspetti.
Dobbiamo analizzare la motivazione che è presente in qualsiasi azione stiamo per compiere, e se è l’odio occorre eliminarlo subito, mentre asseconderemo la mente positiva. Non si deve lasciare che essa sia attaccata dai difetti mentali. (st.34)
Dirigendoci verso un certo luogo non dobbiamo lasciare la nostra mente vagare in tutte le direzioni, ma tenerla concentrata su un oggetto qualificato come i Tre Gioielli o gli esseri senzienti, e guardare davanti a noi a circa un metro di distanza, procedendo con la mente raccolta. (st.35)
Naturalmente se guidiamo la macchina non dobbiamo guardare solo a un metro di distanza, perché altrimenti andremo contro un’altra auto!
Dopo un po’ ci potremo sentire stanchi e allora poseremo lo sguardo attorno per rilassarci. Se vediamo una persona non dobbiamo mantenere l’atteggiamento di concentrazione, ma ci comporteremo normalmente, salutandola e parlandole. Quando camminiamo in questo modo dobbiamo avere un volto sorridente, non guardare con ostilità gli altri e se si incontra un laico gli si parlerà del Dharma. (st.36)
In Occidente non succede, ma in Tibet quando veniva qualcuno da lontano lo si invitava a casa, gli si offriva qualcosa e si parlava con lui.
Quando si cammina si sta attenti per evitare i pericoli, e quando si riprende il cammino si guarda intorno per raccogliere le proprie cose e non dimenticare niente. (st.37)
Questa indicazione è stata data per i bodhisattva che viaggiavano portandosi dietro i propri averi, visto che allora non c’erano autobus, macchine o treni, ma noi dobbiamo ricordarci di non lasciare niente in treno!
Se percorriamo un sentiero dobbiamo assicurarci che da nessuna parte ci siano pericoli e, dopo questo esame, procedere. Dobbiamo essere sempre consapevoli di compiere azioni che siano dirette al beneficio degli esseri, sia con il corpo, che con la parola, che con la mente. (st.38)
Così come quando partendo alla volta di una qualsiasi meta prendiamo tutte le cose che ci possono essere utili, allo stesso modo per ogni azione che desideriamo compiere dobbiamo pensare a come fare, ed essere poi consapevoli di ogni fase, finché non l’abbiamo portata a termine. (st.39)
La nostra mente, paragonata a un elefante selvaggio impazzito, va controllata perché non faccia danni, e legata con la corda della consapevolezza. (st.40)
Quando ci addestriamo alla concentrazione dobbiamo tenere la mente fissa sul suo oggetto, poi con la memoria mantenere costantemente tale concentrazione, quindi attraverso l’attenzione discriminante controllare che la mente non divaghi. (st.41)
Durante l’addestramento mentale dobbiamo usare i due importanti fattori della memoria e dell’attenzione discriminante. La mente sceglie l’oggetto su cui concentrarsi, la memoria mantiene la concentrazione e l’attenzione controlla che essa ci sia, come un poliziotto: se la mente si è distolta dall’oggetto le dà un segnale per avvisarla di riprendere la concentrazione, mentre se si è intorpidita le riporta il ricordo di esso.
In una situazione di pericolo o se stiamo facendo dei rituali per delle celebrazioni, allora è possibile rilassare la concentrazione.
La moralità non è più importante della pratica della generosità. (st.42)
Un monaco per i suoi voti non può toccare una donna, ma se una donna sta per affogare deve salvarla: questa è una forma di generosità, come se stesse offrendo la vita a questa donna e, finché è impegnato in questo può rilassare la pratica della disciplina morale. Concentrandosi in una azione virtuosa a volte non è possibile applicare due tipi di pratiche contemporaneamente, così ci si impegna in quella che è più affine con l’azione che si è deciso di compiere. Nel caso specifico della donna che annega e del monaco che la trae in salvo, siccome non c’è tempo per pensare se è meglio osservare la disciplina della moralità oppure no, si deve agire e riprendere in seguito la pratica interrotta. 
Può succedere che si mediti sull’impermanenza e che a un certo punto sorga il pensiero che è meglio invece meditare su bodhicitta, poi si cambia ancora e si medita sulla vacuità e su altri soggetti. Non è importante stabilire cosa è meglio, ma bisogna dedicare il tempo necessario alla pratica di un argomento scelto, passando da uno all’altro dopo aver raggiunto dei risultati nella meditazione precedente, altrimenti non si riuscirà a ottenere nulla da nessuna meditazione. (st.43)
Meditando sul sentiero, gradualmente ci si familiarizzi con il pensiero delle vite future, della liberazione totale e di bodhicitta. Pur avendo a disposizione le spiegazioni di tutto il sentiero, occorre partire dalla meditazione più adeguata alla nostra mente. 
Con lo studio del Dharma miglioreremo il nostro modo di pensare. Se ci accorgiamo che la mente è in preda ai difetti mentali e sta cedendo a essi, dobbiamo applicare gli antidoti specifici. (st.44)
Non è bene passare il tempo a leggere romanzi, seguire discorsi futili, canzoni e ogni tipo di spettacolo, e nel caso vi si partecipi non si deve provare attaccamento per essi. (st.45)
Bisogna anche interrompere qualsiasi attività che sia inutile o di danno agli esseri, appena ce ne rendiamo conto; per esempio, scavando la terra può capitare di uccidere dei vermi. (st.46)
Quando si vuole andare in un posto o parlare con qualcuno si deve esaminare la motivazione che ci spinge, e agire solo se essa è positiva, mentre se è influenzata dall’odio o dall’attaccamento non dobbiamo procedere. (st.47)
Un albero non è influenzato né da odio né da attaccamento, è semplicemente radicato al terreno, esiste e basta, e così dovremmo fare noi. (st.48)
Allo stesso modo, se uno è influenzato da una mente non stabile, che è distratta, che desidera prendersi gioco degli altri, che è orgogliosa e che considera gli altri inferiori, che vuole ingannare gli altri, che desidera ricevere lodi, che vuole criticare gli altri, riconoscendo tali difetti mentali dovrà rimanere immobile, come un albero che non è scosso da niente. (st.50)
Quando abbiamo l’attitudine mentale di ottenere guadagni, fama, onori o desideriamo essere serviti, dobbiamo riconoscere questi difetti e rimanere fermi come alberi. (st.51)
Quando diminuisce il desiderio di lavorare per gli altri o siamo tentati di parlare solo per il nostro vantaggio, dobbiamo rimanere fermi come alberi. (st.52)
Quando non si tollerano le opinioni altrui o si è pigri nel fare azioni positive o si ha il desiderio di impegnarsi in chiacchiere inutili, bisogna rimanere fermi come alberi. (st.53)
 Se i difetti mentali dovessero spingere la mente verso uno sforzo senza significato, occorre applicare gli antidoti appropriati e, come un eroe può sconfiggere un nano senza coraggio, appoggiarci saldamente a essi per ottenere la vittoria. (st.54)
Bisogna avere una buona comprensione degli insegnamenti, una fede risoluta, e provare piacere ed entusiasmo per le azioni meritorie che stiamo per intraprendere, pensando alla loro utilità. Con gli altri bisogna essere gentili, rispettosi, educati, pacifici e perseverare nell’obiettivo di renderli felici. (st.55)
Non dovremmo evitare di fare del bene a qualcuno che si sta rendendo utile, anche se un’altra persona dovesse dispiacersi per questo. Dovremmo tenere quest’ultima in normale considerazione, riflettendo su come la sua gelosia sia un difetto mentale, e continuare nella nostra azione virtuosa. Allo stesso modo non dobbiamo reagire se qualcuno si arrabbia con noi, ma averne compassione, poiché è influenzato dai difetti mentali, e non dobbiamo mai creare l’occasione di caderne in preda noi. (st.56)
Producendo del karma positivo non dobbiamo sentircene orgogliosi, perché anche questo sentimento è un difetto mentale che ci sconfigge, e bisogna evitare che sorga: non dobbiamo pensare di essere gli unici a compiere azioni positive, né che stiamo compiendo qualche cosa di ‘veramente’ buono che esiste intrinsecamente. (st.57)
Avendo compreso di aver ottenuto una preziosa rinascita umana, il tipo di esistenza che ci permette di raggiungere tutti gli obiettivi, dobbiamo creare karma positivo motivati da questa certezza. (st.58)
Fin qui è stato spiegato il primo tipo di pratica, cioè astenersi dal commettere karma negativo, come uccidere, rubare, compiere adulterio.
Il secondo gruppo di discipline, per un bodhisattva, si riferisce all’accumulazione di karma positivo e alla purificazione di quello negativo già accumulato e, poiché non è possibile applicarsi nella prima pratica a causa dell’attaccamento che abbiamo per il corpo fisico, occorre innanzi tutto eliminare questo difetto mentale.
In Tibet, quando una persona moriva, il suo corpo veniva portato in montagna e offerto agli uccelli, poi le ossa venivano tritate e impastate con la tsampa e date agli animali. In India i cadaveri vengono bruciati. Anche gli animali che muoiono in montagna sono mangiati da certi volatili.
Se, una volta morti, la nostra mente non prova avversione per gli avvoltoi che a causa della loro avidità per la carne trascinano e si contendono il nostro corpo dopo averlo lacerato e sbattuto, perché adesso siamo ostili verso chi fa del male a quello stesso corpo? (st.59)
Non c’è ragione di essere attaccati a questo corpo fisico, inoltre tale attaccamento provoca sofferenza.
Si potrebbe dire che dobbiamo prenderci cura di questo corpo perché ci è utile, ma pensiamo così perché non siamo in grado di riflettere nel modo corretto, altrimenti capiremmo che siamo suoi schiavi. Anche se abbiamo un grande attaccamento per il corpo, al momento della morte dovremo comunque separarcene ed esso ci sarà stato di aiuto limitato. (st.60)
È anche possibile che si obietti che siamo con questo corpo da molto tempo e non possiamo abbandonare così facilmente l’attaccamento per esso.
La nostra mente ignorante stabilisce l’esistenza di un ‘io’ sulla base di questo corpo, considerandolo la sua espressione fisica e non quello che in effetti è: un insieme di sostanze impure. Per tale motivo sorge attaccamento per il corpo invece che per un pezzo di legno, che è più puro e ha più qualità. (st.61)
La ragione per pensare a questo corpo come a un sacco di rifiuti è che possiamo immaginare di spellarlo, vedere quello che c’è sotto, togliere poi i pezzi di carne e spaccare le ossa. (stt.62-63)
Scopriremo allora che non c’è niente per cui abbia senso avere attaccamento, ed è solo a causa della nostra ignoranza che consideriamo il corpo come qualcosa di puro. Dopo aver fatto questo esame, scopriremo che nel corpo non c’è essenza a cui possiamo afferrarci e che è una raccolta di varie impurità, nemmeno utile per essere mangiato o bevuto, infatti né gli intestini né il sangue possono essere usati. Quindi, perché ne abbiamo tanta cura? (stt.64-65)
Forse perché vogliamo proteggere e conservare questo cibo per il pasto degli avvoltoi, degli sciacalli e dei vermi? Grazie alla comprensione appena sviluppata, dobbiamo usare questo corpo solo per l’accumulo di karma positivo, che ci sarà di utilità in futuro. (st.66)
Durante la pratica del Dharma, per eliminare la sofferenza abbiamo bisogno di un mezzo conveniente e il nostro corpo lo è, quindi occorre prendersene cura per questo, ma senza attaccamento. Esso può servire mille volte di più del denaro che usiamo custodire gelosamente, e a maggior ragione è necessario proteggerlo.
Questa forma fisica propria di una rinascita umana è paragonata al gioiello che realizza tutti i desideri, perché può farci raggiungere vari traguardi: la liberazione dalle rinascite inferiori, il nirvana e la suprema illuminazione.
Forse non possiamo fare tutto subito, ma dobbiamo impegnarci in quello che ora siamo in grado di praticare. Rispetto alla sofferenza, della quale abbiamo descritto i diversi tipi, anche se non riusciamo a eliminarli tutti insieme dobbiamo iniziare comunque con quelli che sono alla nostra portata, pregando per poter in futuro far cessare anche gli altri.
Prima bisogna sapere quali sono le sofferenze, scoprendolo da soli oppure apprendendolo da altri, poi senza lasciarsi scoraggiare si deve cercare gradualmente di eliminarne le cause.
Una persona che ha un nemico ma è abbastanza forte e coraggiosa può sconfiggerlo, e dovremmo essere così anche sul sentiero spirituale, per poter affrontare tutti i problemi che abbiamo nella vita. Si parla della sofferenza solo allo scopo di trovare i metodi per eliminarla, proprio come un medico non manda il proprio paziente a fare esami, analisi e raggi per ricordargli i suoi problemi fisici e deprimerlo, ma desidera conoscere tutto sulla sua malattia per trovarvi un rimedio e farlo guarire.
Quando i tibetani giunsero in India, molti erano seriamente ammalati e i medici indiani consigliarono che si sottoponessero ai raggi x, ma loro non comprendendone l’importanza non volevano farlo. Io stesso mi rifiutai più volte, finché un giorno fui condotto forzatamente all’ambulatorio, ma il tecnico addetto all’apparecchiatura dei raggi x non c’era e io ne fui contento: questo perché nessuno mi aveva spiegato che non si trattava altro che di un mezzo per diagnosticare una malattia!
Nello stesso modo si comportano gli occidentali a cui si parla della sofferenza quando, non comprendendo che essa viene spiegata con l’unico intento di trovarvi una soluzione, reagiscono male. Conoscendo le cause della sofferenza le si può rimuovere con i metodi appresi attraverso il Dharma, che quindi dobbiamo considerare un tesoro prezioso, e se non ci si riesce è solo perché non si è fatto il giusto sforzo.
Gli insegnamenti che sto dando sono praticabili, e al momento possiamo cominciare da quelli che sono alla nostra portata. Riguardo al sapere, dobbiamo apprendere tutti i metodi, ma per la pratica bisogna impegnarci con quelli alla nostra portata: in un negozio ci sono molti oggetti, ma noi compriamo solo quelli che ci sono necessari e che possiamo usare.
Quando si ricevono insegnamenti occorre essere abili, perché nella pratica del Dharma ci sono tante cose da fare, ed è possibile scegliere quelle in cui ci si può applicare ora effettivamente, senza spaventarsi per la loro quantità globale. È anche difficile conoscere i punti essenziali del Dharma in pochi giorni. Prima ci si deve applicare nell’ascolto, poi nello studio e nella riflessione, e solo dopo ci si deve impegnare nella meditazione.
Il sistema preventivo di far cessare i risultati di sofferenza eliminando in primo luogo le sue cause è un metodo che può essere utilizzato non solo nel campo spirituale ma anche in quello materiale. Shantideva ha scritto che noi, pur desiderando la felicità, l’abbiamo trattata e continuamente ci comportiamo nei suoi confronti come se fosse un nemico. Come è possibile? Questo accade perché o non creiamo karma positivo o, pur producendolo, con l’odio e i fattori mentali negativi lo distruggiamo, proprio come la grandine distrugge i raccolti. Quindi in primo luogo dobbiamo accumulare le cause alla felicità, poi non lasciare alcuno spazio a stati mentali negativi come la rabbia o le visioni errate, in modo che il karma positivo creato non venga distrutto, e si possa invece goderne i frutti.
Se si pianta un seme di un albero da frutta, curando anche tutte le condizioni necessarie affinché cresca bene, come il fertilizzante, l’acqua, la terra,  ciò non gli impedirà di crescere nemmeno se in un secondo tempo decidessimo di non volerlo più. Quando avremo creato karma positivo senza poi distruggerlo, anche se a un certo punto desiderassimo non sperimentare la felicità che ne deriverà, questo desiderio o la richiesta: “Possa io non sperimentare la felicità” non impedirà al karma positivo di portarci i suoi frutti e di farci assaporare quella felicità.
Attualmente, avendo ottenuto una rinascita umana, ne stiamo godendo i privilegi e gli agi, mentre i cani e gli animali in generale non possono farlo, dal momento che non ne hanno creato le cause, indipendentemente da ciò che stanno facendo ora o che potrebbero fare in futuro.
Chi vive in una famiglia benestante gode gli effetti della causa che ha posto in qualche vita precedente, mentre colui che nasce in una famiglia povera, nonostante abbia ottenuto una rinascita umana, non ha i vantaggi della ricchezza poiché non ha creato le cause per poterla ottenere.
Tra due persone che hanno frequentato la stessa scuola e le medesime classi con uguali risultati finali, potrà succedere che una di loro riesca a procurarsi un buon posto di lavoro ma l’altra no, e questo perché la prima ne aveva creato le cause, mentre l’altra non era riuscita ad accumulare sufficiente karma positivo. 
Osservando certi commercianti e uomini d’affari che investono il loro denaro, noteremo che alcuni ne traggono profitto, altri non accumulano che ingenti perdite, e ciò è dovuto alla differenti cause create nelle vite precedenti.
Ancora, c’è chi ha facilità di trovare ovunque amici e situazioni favorevoli, e chi incontra solamente ambienti e persone ostili che gli causano del male.
Per tutte queste ragioni si dice che è importante studiare il Dharma, ed è il motivo per cui siamo venuti qui, mettendo un notevole sforzo: è un proposito che darà risultati. Chi ha imparato i vari contenuti del Dharma deve poi applicarli e può essere chiamato un praticante spirituale, ma se pur con una ottima conoscenza non lo fa è come una persona che, nonostante conosca la scienza medica, non prende le medicine necessarie per curare la propria malattia, e il cui solo sapere non servirà a eliminarla.
La differenza tra una persona religiosa ed una che non lo è sta nel considerare della massima importanza non la vita attuale ma le esistenze future, e grazie a questa convinzione essa creerà karma positivo. Possiamo esaminare la nostra attitudine per comprendere se noi lo siamo o no. 
Quando si pianta del granoturco lo scopo principale è di ottenere i chicchi, ma unitamente a essi avremo prodotti collaterali, come le altre parti della pianta, che si potranno comunque utilizzare in modi diversi. Negli stessi testi tantrici è scritto che una persona che accumula karma positivo per le vite future è in grado di godere felicità anche in questa vita. 
Se pensiamo che gli altri siano più importanti di noi possiamo considerarci praticanti mahayana; se pensiamo anche solo che le esistenze future sono più importanti della attuale, indipendentemente dall’essere monaci o laici, possiamo considerarci praticanti spirituali; inoltre, se pur considerando le vite future più importanti continuiamo a creare più karma negativo che positivo, dobbiamo pregare affinché in futuro riusciamo a fare il contrario.
Se ci riconosciamo in queste tre attitudini siamo realmente delle ottime persone, di valore, nobili e degne di lode, persone che possono essere ammirate dagli altri, poiché quando si dice di una persona che è ‘buona’ non ci si riferisce al suo corpo sano o attraente, ai bei vestiti che indossa, alla vasta cultura che possiede, infatti la differenza fra una persona buona e una che non lo è riguarda le qualità della sua mente. Tutti saremmo contenti di diventare una tale persona, ma allora occorre conoscere il modo per realizzarlo, e ancora una volta comprendiamo che è importante studiare il Dharma!
In Tibet vi erano tre grandi monasteri: Sera, Drepun, Ghaden, noti per il livello profondo di studi del Dharma, e la loro fama era dovuta solo a questo. Gli occidentali stessi ne hanno riconosciuta l’importanza, sapendo come in quei luoghi si studiasse il Dharma. I cinesi invece li hanno distrutti perché non comprendendo ciò che i monaci facevano li consideravano come dei parassiti per la società, e la loro attività come qualcosa di dannoso: se sapessero che sto dando insegnamenti anche qui, penserebbero che sto ingannando altre persone! Eppure gli stessi cinesi non possono fare a meno di ammettere che, comparati a noi soli, gli altri sono più importanti.
Chi comprende che questa è l’essenza del Dharma lo apprezzerà e cercherà di studiarlo; i cinesi possono essere scusati per quanto hanno fatto poiché non ne conoscevano il significato, mentre se si fossero resi conto che nel Dharma si insegna ad avere più rispetto per gli altri che per se stessi, non avrebbero tentato di distruggerlo ma lo avrebbero protetto. 
Queste cose sono state dette per avere un’idea sull’argomento, ma il punto importante è cambiare la nostra attitudine egoistica, eliminare tutti i difetti mentali e distruggere le loro cause radice: ignoranza, odio e attaccamento.
L’attaccamento per il corpo deriva da una concezione errata che abbiamo nei suoi confronti, basata sul fatto che lo consideriamo come pulito e desiderabile, ma comprendendo la sua vera natura tale attaccamento cadrà.
Come sorge l’attaccamento per il corpo? 
La sua apparenza esterna è pelle, cerchiamo allora di capire quale tipo di pelle ci crea un così forte attaccamento: la pelle delle mani, quella della schiena o quella del viso? Il nostro corpo ha poi una struttura di ossa, queste sono fissate a strati interni ed esterni di muscoli e alla pelle, ma quale ci crea attaccamento? Quale osso prediligiamo? Un osso della testa, delle gambe, dei piedi o del torace? Riflettendoci su, possiamo constatare che nessuna parte del nostro corpo ci attrae poi così tanto e che non vi è una ragione valida per giustificare il nostro attaccamento! Per eliminarlo possiamo usare questo tipo di meditazione avendo noi stessi come oggetto, mentre nel caso dell’attaccamento per il corpo di un’altra persona (di un uomo per una donna o viceversa) utilizzeremo come oggetto di meditazione quel corpo specifico. A quel punto tutte le ragioni del nostro aggrapparci cadranno.
Questo è l’insegnamento-antidoto per eliminare l’attaccamento al corpo, però dovremo continuare a prenderci cura di esso, proprio come per le buste della spazzatura, verso le quali non nutriamo alcuna attrazione ma che compriamo e utilizziamo, dal momento che ci sono utili.
Se capita di pensare che avere molto attaccamento è sbagliato, ma un poco ce ne potremmo concedere, diciamo subito che non dovremmo averne nemmeno una piccolissima parte!
 
Gli insegnamenti che Buddha ha dato sono stati molto estesi, infatti solamente dei discorsi riportati nel Kanghyur ci sono centootto grossi volumi, e nel Bodhisattvacharyavatara Shantideva li ha condensati, ricavandone appunto questo piccolo testo che sto commentando. Vengono ora spiegati gli svantaggi dell’attaccamento al corpo.
“Se nonostante tutto continui a dedicare gran parte del tuo tempo alla cura di questo corpo, come ti comporterai quando sopraggiungerà la morte che lo prenderà e darà in pasto a cani e uccelli? In quel momento non sarai in grado di fare nulla e non potrai comunque proteggerlo da quel destino”. (st.67)
Come i servitori a cui non possiamo più dare la paga ci lasceranno, questo corpo a cui pur abbiamo elargito così tante cure e che abbiamo trattato come fosse la cosa più preziosa ci abbandonerà, anche se lo supplicheremo di restare con noi! Allora perché provare un così grande attaccamento nei suoi confronti? (st.68)
Ciò che bisogna fare è utilizzare questo corpo nel modo migliore, come fa il padrone di una fabbrica che, dopo aver assunto del personale e dal momento che verserà dei salari, pretenderà che esso svolga in cambio un lavoro di intensità adeguata; quindi a chi si impegnerà secondo le sue aspettative fornirà incentivi e magari una vacanza extra, mentre a chi non lo farà lancerà la minaccia di avere la paga decurtata. Allo stesso modo, se il nostro corpo agirà bene e assolverà alla sua funzione di sostegno nella pratica del Dharma dovremmo lodarlo, dargli cibo, abiti e tutte le piccole cose che desidera; inoltre ci comporteremo verso noi stessi proprio come faremmo con gli altri, offrendoci i consigli che di solito diamo alle altre persone. Esaminando poi la sera se abbiamo impiegato in modo corretto la giornata, in caso affermativo sarà bene lodarci da soli promettendoci che domani andrà ancora meglio, in caso negativo dovremo invece rimproverarci. 
Visto che paghiamo e poi utilizziamo in qualche modo i nostri dipendenti, anche dal nostro corpo che nutriamo e vestiamo dovremmo ricavare un utile. E se esso invece di adempiere al proprio dovere e impegnarsi in azioni virtuose continua a essere pigro e a commettere negatività, allora non dovremmo concedergli niente. (st.69)
La pratica del Dharma per ottenere la felicità permanente e la possibilità di raggiungere lo stato di buddha si basano proprio su questo corpo fisico, che è quindi in tal senso importante. Shantideva lo paragona a una nave con cui possiamo attraversare l’oceano della sofferenza per approdare alle spiagge che sono al di là di essa. Ma nonostante sia così importante per conseguire risultati di felicità definitiva, non si dovrebbe desiderare di possederne ancora uno così grossolano, che è fonte di sofferenza, bensì creare le cause per l’ottenimento di corpi più sottili, che non ne producono. 
Il tipo di corpo che abbiamo ora è la base per la sofferenza, quindi non dovremmo compiacercene.
Il corpo degli arhat, coloro che sono giunti alla realizzazione ultima del sentiero hinayana, è ottenuto perché essi ormai hanno solo le impronte dell’ignoranza, che non sono cause di sofferenza, e si può dire a causa della percezione diretta della vacuità.
Il corpo dei bodhisattva, poi, deriva dalla loro compassione e dalle loro preghiere, quindi al contrario di noi essi non sperimentano sofferenza.
Il corpo di un buddha, infine, è di natura mentale. Si potrebbe allora pensare: “Ma se a quel livello non possediamo più un corpo fisico, come faremo a esistere?” Il mio suggerimento è di non preoccuparsi di ciò, poiché avremo altre forme su cui basare la nostra esistenza, forme migliori! Al momento dobbiamo preoccuparci di affrancarci da un corpo grossolano, quando poi ne otterremo uno più sottile, che non sarà causa di sofferenza, non sarà più necessario pensare di liberarsene. 
Dovremmo concepire il nostro corpo come se fosse una barca, un semplice mezzo per andare e venire che, per poter aiutare al massimo gli altri, trasformeremo nella ‘gemma che esaudisce tutti i desideri’. (st.70)
Quando siamo sotto l’influenza della rabbia, le prime parole che ci salgono alla bocca le diciamo, qualsiasi cosa ci capiti tra le mani la lanciamo, siamo completamente sconvolti e privi di autocontrollo, così come quando ci troviamo sotto l’influsso dell’attaccamento, perciò è necessario liberarci da  entrambe queste afflizioni. 
Dobbiamo sempre avere la piena consapevolezza dello stato della nostra mente, apparire agli altri con un viso sorridente, offrire consigli e amicizia e infondere nelle persone un sentimento di fiducia, affinché acquistino familiarità con noi e possano confidarsi, provando a loro volta amicizia nei nostri riguardi. (st.71)
Non bisogna agire in modo poco accorto, spostando rumorosamente gli oggetti o aprendo violentemente le porte, ma gioire della discrezione. (st.72)
Quando ci rechiamo a casa di qualcuno è bene essere educati e gentili, non come fossimo la polizia che indaga e fa sentire il proprio potere! La cicogna, il gatto e il ladro si muovono con circospezione, silenziosamente, senza fare confusione, e noi dovremmo fare altrettanto. (st.73)
Ricevendo benefici dagli altri ci sentiamo felici, poiché abbiamo ottenuto e guadagnato qualcosa, invece un bodhisattva si sente colmo di gratitudine quando può rendersi utile. Noi dovremmo essere delle guide, dare consigli a coloro che desiderano praticare il Dharma, porgere aiuto, e se vediamo un’altra persona che si comporta in questo modo dovremmo lodarla, rispettarla e considerarla come fosse il nostro Maestro. Dovremmo comportarci come se fossimo studenti e discepoli di tutti, e accettare di buon grado qualunque buon consiglio ci venga dato, con riconoscenza, non comportandoci come se ne sapessimo di più. (st.74)
Qualunque cosa ci venga detta, dovremmo accoglierla con parole come: “Grazie”, “ben detto”, “benvenuto” e così via. 
Lodando le persone che compiono azioni virtuose e aiutano gli altri, nel nostro cuore dovremmo gioire per le loro qualità altruistiche, e se sentiamo lodare qualcuno non sottolineamo alcun difetto di chi si parla, ma uniamoci a quelle lodi, non necessariamente in sua presenza, anzi è meglio farlo se non c’è, per non far sorgere in lui orgoglio. (st.75)
Per esempio, sentendo dire che Lobsang Dondhen è bravo dovremmo unirci a questa lode, viceversa no! 
Se qualcuno enumera le nostre buone qualità, sia che le possediamo o meno, dovremmo comunque pensare che coloro che apprezzano le qualità degli altri sono veramente ottime persone. (st.76)
Tutto ciò in cui ci impegniamo deve essere funzionale alla gioia degli altri, e, anche se dovesse costarci del denaro, ne vale la pena! Facendo qualcosa di utile per una persona questa non si sentirà gelosa del nostro agire, poiché si nutre gelosia solo nei confronti di chi non ci piace, e beneficiando una persona le piaceremo, per il fatto che la stiamo favorendo.
Quando qualcuno è impegnato in una pratica spirituale, dovremmo essere felici e gioirne. (st.77) 
Dal momento che faremo tutto quanto ci sarà possibile per il bene degli altri, otterremo in modo naturale ciò che desideriamo, senza sforzo: quando si agisce positivamente, si troverà sempre chi ci chiederà se abbiamo bisogno di qualcosa, e sicuramente anche nella prossima vita sperimenteremo felicità. Qualche giorno fa alcune persone che abitano vicino al Centro mi hanno invitato a casa loro per un té. Carla Granata è loro ospite e sono molto contenti di lei, poiché li aiuta e si comporta in modo gentile. Il loro giudizio positivo è il risultato di un comportamento corretto da parte di Carla, mentre se si fosse arrabbiata o mostrata sgarbata, non sarebbero stati lieti di averla in casa. Quelle stesse persone hanno osservato: “Voi siete buddhisti e noi siamo cristiani, ma ora ci rendiamo conto che i buddhisti non sono poi così differenti dai cristiani”.
Comportandoci sotto l’influenza di odio, attaccamento e ignoranza, renderemo infelici gli altri e lo saremo noi stessi. (st.78)
Rivolgendoci agli altri dovremmo fare discorsi comprensibili, sensati, privi di motivazioni negative, e non assalirli parlando di cose personali, che li stancherebbero. (st.79)
Guardando una persona dovremmo pensare che è proprio grazie a lei che abbiamo l’occasione per ottenere lo stato di un buddha, e quindi generare nei suoi confronti un sentimento di apertura e di amore. (st.80)
Non si dovrebbero compiere grosse quantità di azioni virtuose per un breve periodo e poi abbandonare tutto. 
Vi sono tre ‘campi di merito’, sorgenti di meriti e di saggezza, e quindi tre oggetti per le nostre azioni virtuose, e in relazione a questi tre campi dobbiamo fare offerte, compiere azioni meritorie e dare aiuto: (st.81)
• gli Oggetti del rifugio, campo eccellente, superiore; 
• i genitori e gli insegnanti, campo del beneficio; 
• gli esseri senzienti, campo della sofferenza, costituito in particolare da coloro che hanno bisogno o che sono ammalati. 
Prendendoci cura dei nostri genitori, che ci hanno beneficiato e colmato di gentilezza, acquisiremo grandi meriti, così come ne otterremo aiutando coloro che soffrono, proprio perché ne hanno bisogno. Quando offriamo donazioni per costruire un ospedale o per migliorarne le condizioni, facciamolo tenendo presente che è un’istituzione di beneficio per chi sta male. Quando sosteniamo una scuola, riflettiamo sul fatto che sarà utile a chi è povero di conoscenza. Una pratica estremamente meritevole è poi quella di aiutare monaci e monache, poiché essi sono ‘sorgenti di qualità’.
 
Domanda: “Nel caso io mi impegni per aiutare una persona, ma questa pensi che non le sia stato di beneficio, ho compiuto nei suoi confronti qualcosa di negativo oppure ho fatto comunque una buona azione?”
Risposta: “Se da parte tua vi era l’intenzione di fare del bene è una cosa valida, e se quella persona non lo ha compreso tu non sei causa della sua sofferenza. Anche se non capisce che la tua azione è positiva, il tuo metterla in atto la beneficia e non le arreca alcun danno, quindi puoi agire così.
In altri casi, se continuiamo a prestare il nostro aiuto, ma esso viene utilizzato da una persona per qualcosa che non sarà utile, ci dovremmo chiedere se le sia davvero di vantaggio oppure no e, meglio ancora, dovremmo fare in modo che impari a prendersi cura di se stessa”.
 
INella pratica delle sei perfezioni e del Dharma in generale dobbiamo fare progressi di giorno in giorno, di mese in mese e non dobbiamo tradire una grande virtù per un piccolo merito! Come non spenderemmo diecimila lire per comprare mille lire, così non dovremmo tralasciare una grande azione virtuosa per compierne una più piccola, mentre è positivo evitare di impegnarsi in una piccola virtù per una più grande. Ancora, è insensato trascurare il beneficio di cento persone per quello di una.
Per la felicità delle vite future è bene non curarsi della vita attuale, mentre non è appropriato trascurare la felicità delle vite future per avere felicità in questa vita. Per il beneficio degli altri dobbiamo rinunciare al nostro, e  non dobbiamo trascurare il beneficio altrui per realizzare il nostro. (st.83)
Un seguace del Mahayana compie le sue azioni motivato dal desiderio di beneficiare gli altri, quindi se ci consideriamo appartenenti a questo sentiero spirituale dobbiamo fare altrettanto, dimenticando il nostro interesse.
I dieci karma negativi, ovvero i dieci sentieri della non-virtù, sono sempre proibiti per i seguaci del sentiero hinayana (pratyeka e shravaka), mentre per un bodhisattva i tre del corpo e i quattro della parola sono permessi se possono procurare vantaggi agli altri. (st.84)
Per esempio, se qualcuno ha intenzione di uccidere cento persone e un bodhisattva ne è a conoscenza, non potendo evitare in altro modo che la persona decisa a compiere questo massacro accumuli un karma così negativo e che un così alto numero di persone soffrano nel perdere la vita, può ucciderla, naturalmente se non vi è altro mezzo per fermarla.
Se capita l’occasione, dobbiamo dividere il nostro cibo con esseri che sono caduti nei reami inferiori, come gli animali, con chi ne ha bisogno e con i praticanti spirituali. Per quanto riguarda noi stessi, dovremmo mangiare solo quanto è necessario per sostenere la vita e solo i due terzi della capacità del nostro corpo. Per la pratica della generosità un monaco deve dare tutto ciò che possiede tranne le tre vesti e, se ne possiede un cambio, dovrebbe donare anche questo. (st.85)
Dal momento che si deve dare via tutto, se venisse qualcuno a chiederci il nostro corpo dovremmo esaminare se esiste una ragione importante per farlo, ma se non c’è dovremmo rifiutare. Invece di donare il nostro corpo per un piccolo scopo è bene praticare il Dharma, con il quale possiamo ottenere lo stato di un buddha ed essere di beneficio per tutti gli esseri, aiutandoli a ottenere la felicità che desiderano e a eliminare la sofferenza che non vogliono. (st.86)
Si è detto che questo corpo è la base di ogni sofferenza, però se lo useremo per la pratica del Dharma, con l’obiettivo di raggiungere la completa liberazione per il beneficio degli altri, ecco che diventerà di grande utilità. E si è anche detto che è simile a un nemico, poiché come questi ci causa infelicità, ma se riusciremo a impiegarlo per un grande scopo, allora potremo trasformarlo in un amico, visto che finché avremo questo corpo umano potremo eliminare il karma negativo e creare karma positivo. 
Per un bodhisattva vi sono occasioni in cui egli può donare parti e persino l’intero proprio corpo, ma ciò va lasciato a quando se ne possiede la necessaria maturità: non dobbiamo praticare la generosità con il nostro corpo se non siamo ancora in grado di sopportare la sofferenza che sorge da un atto simile e se in noi non vi è autentica compassione verso l’essere al quale desidereremmo porgere questo tipo di offerta. 
Diversamente, se il nostro sviluppo mentale è tanto avanzato che mentre soffriamo fisicamente siamo felici mentalmente e in grado di gioire, se abbiamo compassione e nessun rimpianto sorgerà in noi per quanto stiamo facendo, a questo punto potremo anche impegnarci con una tale azione. 
Quando in noi non vi sarà più alcuna traccia di avarizia e avremo accumulato vastissimi meriti, allora potremo anche impegnarci con l’offerta della nostra stessa vita! (st.87) 
Ci sono quattro tipi di generosità: la generosità del Dharma, la generosità dell’offrire oggetti materiali, la generosità del dare amore e la generosità del proteggere dalla paura (o proteggere la vita).
Riguardo all’insegnare il Dharma, verso chi dobbiamo applicare questo tipo di generosità? Non a chi manca di rispetto verso di esso. 
Non dovremmo insegnare il Dharma a una persona che porta un cappello, a meno che sia ammalata, né a chi tiene in mano ombrelli, bastoni o armi, a una persona che sta dormendo o ha qualcosa che gli copre il viso o è sdraiata o vuole rilassarsi fisicamente. (st.88)
In pratica, tutto ciò significa che non dobbiamo insegnare il Dharma a coloro che non hanno rispetto o sufficiente interesse nei suoi confronti. Neppure dovremmo dare insegnamenti di Dharma a chi sta seduto su sedie mentre gli altri sono seduti per terra, a meno che non si tratti di persone anziane o persone che non possono sedersi a gambe incrociate. 
A una persona non sufficientemente intelligente è bene non dare insegnamenti troppo elevati, poiché la si potrebbe confondere, e un monaco completamente ordinato non deve darne a una donna sola che non sia accompagnata da un uomo. Non si deve discriminare fra gli insegnamenti dicendo che alcuni sono mahayana e altri hinayana e avere poi su questa base più riguardo per quelli elevati e meno per quelli che consideriamo inferiori, ma bisogna portare il medesimo rispetto a tutti. (st.89)
Non si devono dare insegnamenti minori a persone che possiedono grandi capacità, per esempio insegnamenti hinayana a una persona che avrebbe capacità mahayana, ma occorre darli in accordo alle attitudini di ogni individuo. Non si deve mai abbandonare la disciplina morale dell’astenersi dalle azioni non virtuose pensando che poi le potremo purificare con la recitazione di mantra. (st.90)
I bodhisattva a volte si manifestano come ministri, capi di stato e così via, allo scopo di impedire agli esseri di commettere karma negativo, perché grazie alla posizione che hanno ricoprendo tali cariche amministreranno lo stato con leggi che vietano di uccidere, rubare ecc., e ciò significa praticare e far praticare il Dharma.
Gli insegnamenti che appartengono al Vinayapitaka devono essere osservati anche da un bodhisattva, e questi anche se è un laico deve evitare ciò che causa negli altri perdita di fede o di rispetto. 
Riferendosi all’esempio della prossima stanza del testo, quando si usa un rametto come spazzolino da denti – come si faceva una volta in India – lo si deve coprire di terra quando lo si butta via, e lo stesso va fatto per la saliva che si sputa, ma questo in occidente non ha importanza, dato che vi è già la buona usanza di servirsi di fazzoletti di carta e gettarli poi nei cestini! 
Non si devono svolgere le proprie funzioni fisiologiche nell’acqua o sulla terra che altri usano o in posti puliti, poiché oltre a essere antigienico potrebbe rendere infelici i ‘signori dei luoghi’, una categoria di esseri che ne sono i possessori. (st.91)
Quando si mangia non lo si deve fare rumorosamente, con la bocca spalancata o riempiendola fino al punto che non si riesce nemmeno a muovere la lingua. In occidente questo problema non esiste perché di solito si mangia usando un certo contegno, ma per i tibetani è diverso! 
Nei monasteri la disciplina impone di mangiare senza far rumore e i monaci si educano in tal senso; non si deve farlo con la bocca aperta o comunque masticando in modo non appropriato. Non si deve avere l’atteggiamento di mucche che mangiano l’erba! 
Un’altra cosa che non va fatta, mentre si ricevono insegnamenti, è sedere con le gambe stese, anche se, però, non essendo abituati a stare a gambe incrociate, ci si può rilassare un po’; non dobbiamo nemmeno strofinare una mano contro l’altra. (st.92)
Un bodhisattva, anche laico, non deve cavalcare insieme alla donna di un altro, né sedersi vicino o stare in una stanza da solo con lei, affinché il suo comportamento non causi perdita di fede o di rispetto negli altri. Se non si conosce che cosa sia appropriato o no, si deve chiedere e, dopo averlo appreso, comportarsi di conseguenza. (st.93)
In Tibet le persone a causa del freddo e dell’altitudine della regione, si lavavano poco ed era una cosa comune avere pidocchi, ma non veniva ritenuto un fatto serio e importante; in occidente, invece, un monaco con i pidocchi verrebbe considerato severamente e si potrebbe perdere rispetto per lui. In India nessuno presta attenzione a chi si pulisce continuamente il naso cacciando fuori il muco, ma in occidente ciò appare grave, poiché la gente considera un simile atteggiamento sconveniente. Tutto questo sollecita a tenere un comportamento appropriato agli usi e ai costumi del luogo in cui si vive e a fare sempre solo ciò che viene giudicato corretto. Volendo chiamare qualcuno lo si deve fare con gentilezza, senza battere le mani o chiamarlo con la sinistra, perché è irrispettoso. Si possono schioccare le dita. Se ci viene richiesta una indicazi
ne stradale, si deve indicare il luogo giusto rispettosamente, con tutta la mano e non con un solo dito, poiché ciò risulterebbe una mancanza di riguardo. (st.94)
Quando i monaci camminano per la strada, non devono agitare esageratamente le braccia, né lasciarle ciondolare. Vanno fatti solo piccoli movimenti con le mani, in modo da non produrre suoni inutili. (st.95)
Per quale motivo occorre comportarsi in un modo così controllato? Perché questo aiuta a mantenere la disciplina. Quando dormiamo dovremmo assumere la posizione in cui Buddha è passato nel parinirvana, ovvero stesi sul fianco destro, la gamba sinistra appoggiata sopra l’altra, la mano destra sotto il viso con un dito che chiude la narice destra, uno che chiude l’occhio destro ed uno che chiude l’orecchio destro. Dovremmo sistemare bene le lenzuola sul corpo e rivolgere il pensiero alla vacuità o alla bodhicitta, al fatto di aver potuto compiere karma positivo e aver potuto praticare il Dharma, ma soprattutto dovremmo anche pensare che domani saremo in grado di fare meglio. Un praticante dovrebbe svegliarsi alle prime ore del giorno, perché il corpo e la mente sono più freschi, e chi vuole creare karma positivo e desidera fare pratiche virtuose o meditare, in quelle ore della mattina avrà più successo e sarà agevolato. (st.96)
In Tibet era consuetudine andare a dormire molto presto e alzarsi altrettanto presto alla mattina, in occidente succede esattamente il contrario. Se non riposiamo il corpo si indebolisce, quindi dovremmo addormentarci con la motivazione di proteggerlo e tenerlo sano, affinché sia possibile usarlo per la pratica del Dharma, inoltre ci si dovrà ricordare dei Tre Gioielli e del proprio Maestro. Abbiamo appreso questo nuovo metodo e possiamo quindi cominciare a praticarlo. Dormire in questo modo ci proteggerà da molti ostacoli che si possono incontrare, ovvero avremo meno occasioni di subire interferenze, e ci permetterà anche di avere dei buoni sogni. Che si creda o meno in un sentiero spirituale, la persona che si interessa degli altri più che di se stessa è considerata di mente più elevata, così come un capo di stato che pensa al bene dei cittadini sarà stimato, mentre se cura esclusivamente i propri interessi verrà ritenuto un egoista. Anche relativamente alle persone che possiedono attitudini altruistiche, tra una che si preoccupa solo del benessere del proprio paese e un’altra che invece ha a cuore quello di tutto il mondo, la seconda godrà di maggior considerazione. Allo stesso modo, nel sentiero spirituale, rispetto a una persona che segue il sentiero hinayana cercando la libertà solo per sé, un seguace mahayana che la cerca per poter poi beneficiare tutti gli esseri verrà apprezzato di più. Spesso avviene che alcuni politici si propongono agli elettori proclamando l’intenzione di voler beneficiare l’intera nazione, e la gente, prestando fede a queste promesse, dà loro il voto. Poi, una volta eletti, essi iniziano a fare esclusivamente il proprio interesse. Nasce così dello scontento, perché non cercano di aiutare gli altri, ma sacrificano il beneficio di tutti al tornaconto personale. Sua Santità il Dalai Lama dall’età di diciassette anni guida il popolo tibetano e da allora ha sempre cercato di fare esclusivamente ciò che era vantaggioso per la sua gente e mai per se stesso, non creando di conseguenza mai occasioni per lamentele. Egli riceve dal governo tibetano una paga nominale di venti rupie al giorno (circa duemila lire) e si accontenta di ciò per vivere, dato che le donazioni e le offerte che riceve le destina completamente al beneficio degli altri, di cui si preoccupa costantemente. Dobbiamo pregare di avere anche noi una attitudine altruistica, poiché è utile agli altri e a noi stessi, e per questa ragione viene lodata da tutti. Nel primo capitolo del Bodhisattvacharyavatara si parla proprio dei vantaggi e dei benefici di tale mente preziosa, per sviluppare la quale dobbiamo purificare le impronte negative e accumularne di positive, come viene spiegato nel secondo e terzo capitolo del Bodhisattvacharyavatara, con la ‘Preghiera in sette rami’. Dopo aver preso i voti del bodhisattva, ci si impegna con la promessa solenne di non commettere più karma negativo e di accumulare karma positivo; si genera così la determinazione di adoperarsi per realizzare il beneficio degli esseri, avendo poi cura di non farlo degenerare, come spiegato nel quarto capitolo. Per constatare se stiamo facendo quello che deve essere fatto, ci basiamo infine sul fattore mentale della vigilanza, descritta in questo capitolo. Fra tutte le pratiche che un bodhisattva può fare, la più importante è l’addestramento nel disciplinare la mente, e ciascuno deve sforzarsi in ciò che è qui stato menzionato, anche se non è in grado di attuare subito tutto. (st.97)
Per il karma negativo non dobbiamo impiegare alcuno sforzo, dato che si accumula spontaneamente nella nostra mente proprio come la polvere si deposita naturalmente nella casa in cui viviamo e, se ciò che dobbiamo fare quotidianamente è pulire, esattamente lo stesso va fatto nella nostra mente, purificando giorno per giorno il karma negativo creato a causa dei difetti mentali. Si può utilizzare quello che è conosciuto come il Sutra dei tre cumuli, che sono la purificazione, il gioire e la dedica. Attraverso questo breve testo, recitato tre volte al giorno e tre volte la sera, saremo in grado di purificare il karma negativo. (st.98)
Se lo si impara a memoria potremo abbinarlo al Guru Yoga in sei sessioni, così vi assoceremo anche la motivazione superiore. Affidandoci ai Tre Gioielli, generando la mente altruistica di bodhicitta e applicando i quattro poteri opponenti con intensa determinazione, purificheremo il karma negativo. In qualsiasi situazione dovremmo controllare se stiamo praticando ciò che è giusto, e costantemente esercitarci nella consapevolezza. (st.99)
Non vi è nulla che un bodhisattva abbia appreso che non cerchi poi di mettere in pratica, perché avendo intenzione di beneficiare tutti i differenti esseri deve conoscere i diversi metodi che si adattano a ognuno di loro e, dopo averli imparati, non ne trascurerà nessuno. Per un tale bodhisattva non vi sarà mai un’occasione in cui accumulerà karma negativo, ma sempre egli ne produrrà di virtuoso. (st.100)
Se si desidera aiutare gli altri, imparare una lingua straniera è molto importante ed utile: lo possiamo constatare qui ora, vedendo come il lavoro di una persona viene invece svolto da tre (io che insegno e due che traducono). Per quanto mi riguarda, penso di essere troppo vecchio per farlo, perché potrei non avere molti anni davanti a me, forse due o tre solamente, e così sprecherei questo tempo, mentre è meglio che lo impieghi per purificare il karma negativo. Per questa unica ragione non provo il desiderio di imparare le lingue, ma forse è una visione errata! A Pomaia una persona mi ha detto: “Lei è vissuto in Italia un anno e mezzo e non solo non ha imparato la lingua italiana, ma non ha nemmeno imparato a mangiare correttamente. Prima avevo fede in lei, ora l’ho persa un po’!” Non dobbiamo mai fare qualcosa che direttamente o indirettamente non sia di beneficio agli altri e qualsiasi cosa positiva compiremo, occorre dedicarne i meriti per l’ottenimento dello stato di buddha, per l’esclusivo beneficio degli esseri. (st.101)
Non dovremo mai abbandonare, anche a costo della vita, il Maestro, ossia l’amico spirituale che con saggezza ci indica il sentiero mahayana, e allo stesso tempo effettivamente pratica ciò che sta insegnando. (st.102)
Come possiamo apprendere dalla biografia del bodhisattva Shrisambhava, dobbiamo praticare la devozione al Maestro e comportarci di conseguenza. Che il Maestro sia buono o no, l’importante è come lo vediamo: dipende esclusivamente da noi. Dobbiamo sempre guardare ai suoi lati positivi e cercare di imitarli. (st.103)
Un proverbio tibetano dice che, se si possiede una buona fede, anche il dente di un cane può emanare raggi di luce! In una storia, a cui si riferisce questo proverbio, si racconta che in una regione orientale del Tibet lontana da Lhasa, il Kham, dove le comunicazioni erano molto scarse e si impiegava molto tempo a raggiungere la capitale, una donna chiese al figlio che doveva appunto recarsi a Lhasa di portarle al ritorno una reliquia sacra, affinché potesse fare delle offerte. Il figlio andò a Lhasa, ma dimenticò la richiesta fattagli dalla madre e ritornò a casa senza nulla. Quando dopo un po’ di tempo dovette nuovamente partire per la capitale, la madre gli rinnovò la richiesta raccomandandogli di non dimenticarsene una seconda volta. E fu invece proprio quello che successe, però l’uomo questa volta, essendosene ricordato appena prima di giungere a casa, pensò di escogitare qualcosa per accontentare la madre e non deluderla. Guardandosi attorno vide la carcassa di un cane, gli tolse allora un dente, lo pulì bene, lo avvolse con una stoffa preziosa e lo portò alla madre, dicendole che era una reliquia molto sacra. La donna generò una intensa devozione, la mise sull’altare, e ogni giorno faceva prostrazioni, offerte e pregava con fervore, finché riuscì a vedere della luce che si emanava da quel dente di cane proprio per la sua grande fede, anche se dalla parte dell’oggetto non c’era nulla di sacro e prodigioso! Allo stesso modo, dipende da noi il modo in cui percepiamo il Maestro; questi può essere saggio e avere una profonda conoscenza, ma se dalla nostra parte non c’è fede, non otterremo nulla. Per comprendere il modo corretto con cui dobbiamo considerarlo, possiamo prendere come esempio una madre che, osservando il proprio figlio, anche se le qualità di questi sono piuttosto grossolane lo giudica un ottimo bambino, forte e coraggioso. Ciò mostra il differente modo con cui possiamo vedere le cose. Comunque, amare una persona per le sue qualità è diverso dall’essere attaccati a essa, per esempio amiamo le qualità dei Tre Gioielli, ma non possediamo attaccamento verso di loro. Se ci soffermiamo sulle cose che non vanno, naturalmente sorgerà avversione e rabbia e di conseguenza infelicità. Dobbiamo leggere i testi che parlano della condotta dei bodhisattva e imparare ciò che essi consigliano di fare o di evitare, e quindi applicarlo alla nostra vita. Nel Vinayapitaka sono contenuti gli insegnamenti che riguardano tutti i gradi di disciplina etica, da quella del monaco completamente ordinato a quella del laico con i voti. Nel Sutrapitaka sono raccolti gli insegnamenti sulla concentrazione e nell’Abhidharmapitaka gli insegnamenti sulla saggezza. Nella raccolta dei sutra è descritto tutto ciò che riguarda la condotta di un bodhisattva e perciò dovremmo leggerli, a cominciare dal sutra di Akashagarbha. (st.104)
Nel Compendio di tutte le pratiche (il Shikshasamucchaya, che è stato tradotto anche in inglese) si trovano molti consigli relativi alla pratica del bodhisattva: come generare una motivazione appropriata, i diversi modi di praticare il sentiero e come dedicare i meriti accumulati. (st.105)
I sutra sono molto vasti e complessi e se non si ha la possibilità di leggerli tutti si può fare riferimento al Compendio di tutti i sutra (il Sutrasamucchaya, di Shantideva come il precedente) e cercare di studiarlo. Due altri compendi, aventi gli stessi titoli dei precedenti, sono stati composti anche da Nagarjuna. (st.106)
È bene seguire le indicazioni che questi testi forniscono in merito a ciò che è valido compiere oppure no, e se è consigliato di praticare bisogna farlo, impegnandosi in tutto ciò che non è disdicevole per un bodhisattva. Questi dovrà comportarsi in modo irreprensibile e d’ispirazione, così da proteggere sempre la mente degli esseri ordinari. (st.107)
Per esempio, se una persona vive in alta montagna o comunque in un posto freddo o da sola può anche non lavarsi, poiché questo non la danneggia, se invece vive in società dovrebbe in tutti i casi farlo, per considerazione verso gli altri. L’essenza del significato di tutto ciò è che dobbiamo guardare costantemente la condizione del nostro corpo e della nostra mente, esaminare la nostra condotta fisica e la nostra situazione mentale e poi praticare ciò che risulta essere adatto alla circostanza. La caratteristica della pratica della attenzione discriminante è proprio l’osservare ed esaminare costantemente le azioni delle nostre tre porte. (st.108)
Tutto ciò che impariamo deve essere trasformato in pratica del corpo, della parola o della mente, altrimenti non vi è alcuno scopo nel solo apprendere e discutere. (st.109)
Se non si crede nel sentiero spirituale si deve comunque vivere in modo nobile e buono, e comportandosi così si starà ugualmente praticando il Dharma, anche se ci si definisce una persona non religiosa. Il Dharma fornisce il metodo per imparare ad avere una vita significativa, e se uno vivrà in modo corretto e giusto sarà felice, e gli amici, i parenti e tutti coloro che stanno intorno saranno contenti. In una famiglia, se marito e moglie conducono una vita di questo tipo, anche se le loro possibilità sono limitate saranno felici, al contrario, con una condotta scorretta, pur possedendo molte ricchezze non avranno gioia. C’è un ragazzo, Franco, che vive a Treviso, che mi ha detto di aver notato che qui al Centro la gente è serena e ha un’attitudine positiva, perché è vicina al Dharma; ha poi aggiunto che questo è un ambiente rilassato e favorevole, e che quando viene qui lui si sente felice.
Qui si conclude il quinto capitolo.

Commento al 6° capitolo:
La pazienza

Tutti sanno quanto l’odio causi sofferenza, per questo si ha un grande desiderio di ascoltare insegnamenti sulla pazienza. Al contrario è difficile comprendere il danno che crea l’attaccamento, che si può paragonare a una persona apparentemente tranquilla e pacifica, ma nel cuore molto maligna: essa ci causerà problemi senza che ce ne rendiamo conto, poiché agirà in modo pacato. Per questi motivi dobbiamo imparare quali sono e come funzionano tutti i difetti mentali e applicare così i rispettivi antidoti. Se non saremo noi stessi a eliminarli dalla nostra mente, da soli non se ne andranno e, ugualmente, se dalla nostra parte non facciamo alcuno sforzo per accumulare karma positivo, esso non riuscirà a venire dentro di noi.
Il samsara esiste in dipendenza di cause e condizioni e è denominato ‘esistenza ciclica’ poiché gli esseri vi percorrono dei cicli costituiti da nascita, vecchiaia e morte, e poi così di nuovo per un numero infinito di volte.
Cosa ci obbliga a seguire questi cicli? I difetti mentali e il karma da essi creato. Per spiegare ciò in dettaglio, ci riferiamo ora a quanto viene insegnato nei ‘Dodici anelli della catena di originazione interdipendente’: 
1.Ignoranza. 
  2. Formazioni karmiche. 
  3. Coscienza. 
  4. Nome e forma. 
  5. Sorgenti sensoriali. 
  6. Contatto. 
  7. Sensazione. 
  8. Desiderio, o attaccamento. 
  9. Bramosia. 
10.Divenire, o esistenza. 
11.Rinascita. 
12.Vecchiaia e morte.
La Ruota della Vita, un dipinto tradizionale dell’arte buddhista tibetana, oltre alla rappresentazione dei diversi tipi di esseri, tutti nelle fauci del ‘signore della morte’, fornisce anche un simbolismo relativo ai dodici anelli, che sono proprio quelli che portano alla rinascita ripetuta nell’esistenza ciclica.
Il primo anello (ignoranza) è raffigurato con un cieco che procede con un bastone, il secondo (formazioni karmiche) con un vasaio al lavoro, il terzo con una scimmia che saltella su una casa, simile alla coscienza che vaga per i sei sensi saltando da uno all’altro. Il quarto anello (nome e forma) è rappresentato da una barca con due uomini. Il disegno successivo – la casa vuota con le finestre aperte – sta per i sei organi dei sensi, perché attraverso questi vi è la possibilità di percepire i fenomeni esterni. Ci sono poi un uomo ed una donna abbracciati, che rappresentano il contatto degli organi sensoriali con il mondo esterno. A causa del contatto avremo le sensazioni, che vengono rappresentate da un uomo con una freccia in un occhio, perché in questa situazione egli senz’altro ha una forte percezione. Quindi è la volta di un uomo intento a bere e inebriarsi con del vino, e questo è il desiderio, che diventa poi più forte fino a trasformarsi nella bramosia di impossessarsi di qualche cosa e si ha così il nono anello, rappresentato da una scimmia che stacca i frutti da un albero. Il decimo anello, che si chiama ‘divenire’, o esistenza, sorge da un precedente desiderio di avere una particolare forma fisica ed è illustrato da una donna con un neonato. L’undicesimo è la nascita, ed è rappresentato da una donna che partorisce. Il dodicesimo – la vecchiaia  e la morte insieme – è un vecchio con un cadavere. 
Ora li spiegherò uno per uno. 
Consideriamo il primo anello, l’ignoranza. Questa ci fa concepire l’‘io’ come intrinsecamente esistente e a causa di ciò si inizia a desiderare la felicità e a non volere la sofferenza, quindi si crea karma positivo e karma negativo, e proprio queste formazioni karmiche costituiscono il secondo anello. 
Le azioni che si compiono sulla base di tale ignoranza lasciano un’impronta sulla coscienza, il terzo anello. Dal terzo anello si passa poi all’ottavo, che è il desiderio di ottenere una forma fisica, quindi si arriva al successivo, con il desiderio diventato ormai come una bramosia o cupidigia di impossessarsi di questa forma. Il desiderio e la bramosia agiscono da cause cooperanti, circostanziali, che fanno maturare un certo seme karmico, causa sostanziale per il decimo anello: il divenire o esistenza. Questa, però, non è proprio l’esistenza fattiva, ma è ancora a livello di un karma che sta come prendendo una forma più concreta, quella che si crea in una vita in relazione a vite prossime, in cui ci sarà il frutto pienamente maturato. 
Ora, gli anelli uno, due, tre, otto, nove, dieci, cioè ignoranza, formazioni karmiche, coscienza, desiderio, bramosia e divenire li creiamo tutti in una vita, per esempio in questa. In una vita si ha l’ignoranza, con la quale si crea karma e si accumulano le impronte del desiderio, della bramosia e del divenire, che preparano altre vite future, determinate da quanto creato in essa.
Si parla di causa sostanziale per la formazione karmica, mentre è inappropriato per desiderio e bramosia, che infatti sono cause circostanziali, le quali fanno maturare il karma e producono il decimo anello, quel germe di esistenza che a sua volta darà l’undicesimo anello, l’effettiva rinascita in qualche reame; comunque di questi anelli in ogni vita se ne creano milioni. 
L’undicesimo anello è il tempo del concepimento nel ventre della madre, quando il feto inizia a formarsi, ossia vengono a costituirsi i cinque skanda (aggregati) presenti nel quarto anello del nome e forma, dove per nome si intendono i quattro aggregati non fisici e per forma l’aggregato del corpo. Poi il feto si sviluppa fino alla formazione degli organi dei sensi, il quinto anello; quindi gli organi sensoriali vengono a contatto con i fenomeni esterni e si ha il sesto anello, appunto il contatto. 
Dopo che la coscienza attraverso gli organi sensoriali viene a contatto con gli oggetti esterni si ha la generazione delle sensazioni, che possono essere piacevoli, spiacevoli o neutre. Dal secondo istante dopo il concepimento fino all’ultimo della vita si ha la vecchiaia e la morte, che sono compresi in un solo anello perché costituiscono un processo continuo.
Con riferimento a questa vita, le sue cause sono state l’ignoranza, le formazioni karmiche (il karma proiettante), la coscienza, il desiderio, la brama e il divenire, anelli causali accumulati nelle vite precedenti. Essa è invece iniziata con il concepimento nel ventre materno e il successivo sviluppo del feto, con la conseguente formazione degli organi sensoriali e del contatto. Da questo scaturiscono le sensazioni, quindi vi è il processo della vecchiaia, che comincia all’inizio della vita e finirà con la morte.
Sempre considerando questa vita, i suoi semi sono stati un gruppo di sei anelli causali che hanno dato i loro frutti adesso, e in questa stessa ne accumuliamo altri per le vite future, ma nel frattempo sperimentiamo quei frutti – gli altri sei anelli – che rappresentano gli anelli effetto e sono l’attuale rinascita, nome e forma, sorgenti sensoriali, contatto, sensazione, vecchiaia e morte. Il terzo anello in realtà ha due aspetti, uno causa e uno effetto: l’aspetto causa consiste nel fare da sostegno all’impronta del karma (il secondo anello), l’effetto invece si ha invece al momento del concepimento, cioè il momento della produzione dell’undicesimo anello.
I dodici anelli vengono elencati nell’ordine esposto all’inizio, che è un ordine di causa-effetto, ma in ordine temporale non si producono così. 
In ogni vita sono presenti tutti, però i sei ‘causali’ di questa vita sono stati accumulati in una vita precedente mentre dai sei dello stesso tipo che creiamo ora si avranno i sei anelli ‘effetto’ delle vite future. In pratica, in una vita sono presenti tutti e dodici, ma in una combinazione di anelli appartenenti a ‘catene’ differenti, proprio perché quando vi è una sensazione si creano desiderio, bramosia, divenire, ignoranza, formazioni karmiche, coscienza (nell’aspetto causale); a seguito di un’altra sensazione si inizia poi di nuovo dal desiderio e si creano altri sei anelli causali per un’altra esistenza futura, questo tutte le volte che succede, ossia milioni di volte in una giornata.
Siamo venuti in questa vita perché abbiamo creato i sei anelli causali (o meglio cinque e mezzo) in qualche esistenza precedente, e attualmente stiamo sperimentando il loro frutto, i sei anelli effetto (o meglio sei e mezzo), ma contemporaneamente stiamo creando anelli causali per altre vite future.
Attualmente siamo nel dodicesimo anello, quello dell’invecchiamento-morte, gli altri cinque anelli effetto sono già passati e possiamo rintracciare la loro causa nei sei anelli causali creati in una qualche vita precedente.
A causa dell’ignoranza noi creiamo continuamente azioni (formazioni karmiche), che lasciano impronte nella mente in ogni istante, qualsiasi cosa facciamo. L’ottavo anello (il desiderio) e il nono anello (la bramosia) costituiscono l’intensità di queste azioni, qualcosa che si costruisce in un arco di tempo vasto, mentre per il decimo, l’esistenza, detto anche karma attualizzante, è possibile che ce ne sia solo uno in ogni vita, perché anche se abbiamo tanti semi potenziali per le varie rinascite, uno solo diventa attivo: è come se avessimo tanti semi in un bicchiere ma solo uno viene messo nella terra e, coltivato, crescerà; quindi ogni decimo anello creato (uno in ogni vita) darà poi il via alla successiva esistenza. 
Ora, se abbiamo l’ignoranza che ci fa produrre il karma proiettante, che lascia impronte nella coscienza, e poi passando dagli altri anelli causali arriviamo fino al divenire, questo produrrà la prossima rinascita; se invece pur avendo i primi non abbiamo la bramosia, che in tibetano significa ‘afferrare’ ed è un desiderio molto intenso, allora ci sarà l’effettiva rinascita in una vita più avanti.
A causa dell’ignoranza abbiamo tante formazioni karmiche e tante impronte nella coscienza, però il desiderio e la bramosia si riferiscono a una specifica rinascita. Per esempio, anche se non necessariamente ne siamo coscienti, possiamo avere una particolare bramosia (nono anello) di ottenere una certa forma, sia umana, dei deva o anche di animali; questo anello si aggancia allora al decimo con uno dei tanti semi karmici già presenti e lo rende operante. Tra tutte le formazioni karmiche la bramosia ne sceglie in pratica una, la rende operante con il decimo anello, il karma attualizzante, e completandosi in questo modo essi producono poi l’undicesimo anello e tutti gli altri nella vita immediatamente successiva.
L’aspirazione per ottenere lo stato di buddha o una preziosa rinascita umana non necessariamente è mischiata all’attaccamento. Forse per noi può esserlo, e magari non ce ne rendiamo conto, ma non deve, mentre l’ottavo e il nono anello, il desiderio e la bramosia, si riferiscono proprio al voler ottenere una esistenza condizionata particolare.
Comunque l’aspirazione agisce come forza per garantirci i risultati dello stato di buddha o di una preziosa rinascita umana, la cui base è costituita inoltre da una pura osservanza della disciplina morale, insieme alla pratica delle sei perfezioni.
L’ignoranza è la base, il principale, dei dodici anelli, come se fosse il generale del loro esercito. Ma con la saggezza che percepisce la vacuità possiamo combattere contro questo comandante e distruggerlo, per cui non avremo le formazioni karmiche dall’ignoranza causate, non avremo le impronte sulla coscienza lasciate da queste formazioni karmiche e non avremo il desiderio, la brama e la conseguente esistenza condizionata. Questa è causata dall’ignoranza e dalle formazioni karmiche, e il potere perciò è dalla loro parte, ma noi ora dobbiamo cercare di prendere il controllo su di esse. 
Poiché desideriamo la felicità, ciò che si cercherà di apprendere qui è come ottenerla e, dal momento che non desideriamo l’infelicità, si cercherà inoltre di imparare a stabilirne le cause e di conoscere i metodi per eliminarla. Al momento non abbiamo la possibilità di scegliere come nascere, o di non invecchiare, nonostante lo si desideri, però in futuro potrà esserci l’opportunità di superare questa completa impotenza e ottenere la capacità di decisione. Se per noi attualmente non c’è, allora cerchiamo questa libertà!
Con i mezzi materiali non si possono risolvere tutti i problemi e ciò che si tenta di scoprire in questa occasione è se ci siano altri sistemi per riuscirci. Nel sentiero spirituale esistono strumenti alternativi ed è per questa ragione che vengono dati insegnamenti a riguardo, con qualcuno che li espone e altri che li ascoltano.
Abbiamo appena parlato di come si vive e si vaga nell’esistenza ciclica attraverso la catena di originazione interdipendente. Quando, a causa dei dodici anelli, sperimentiamo le esistenze condizionate, non possiamo evitarne le sofferenze. Raggruppando i dodici anelli secondo i due aspetti della verità della sofferenza e della verità della causa della sofferenza, di essi l’ignoranza, le formazioni karmiche, la prima parte del terzo (la coscienza come causa), il desiderio, la bramosia e il divenire sono la realtà della causa della sofferenza, gli altri sei e la seconda parte del terzo (la coscienza come effetto) sono la realtà della sofferenza. 
Buddha stesso, nel suo primo insegnamento a Sarnath, relativamente alla nobile verità della sofferenza disse che gli aggregati psicofisici, gli organi dei sensi, il contatto, le sensazioni, la nascita, la vecchiaia e la morte sono proprio quella realtà della sofferenza che noi dobbiamo riconoscere. Spiegò anche che chiunque li abbia come base necessariamente la sperimenterà e, poiché noi desideriamo invece liberarcene, dobbiamo comprendere la causa della sofferenza stessa.
Se non vi fossero possibilità di ottenere un obiettivo significativo, di liberarci dal samsara, non vi sarebbe motivo di praticare un sentiero spirituale, e lo sforzo che noi metteremmo sarebbe inutile; ugualmente, se fossimo felici dell’esistenza condizionata non sussisterebbe alcuna ragione valida per dovercene liberare, ma dal momento che non siamo completamente soddisfatti è necessario farlo.
Vi ho chiesto: “Pensate che dovremmo liberarci?” e avete risposto in modo affermativo e successivamente ho domandato: “Credete sia possibile che questo avvenga?” Ora, a chi ha risposto affermativamente dico che se si appoggia a ragioni logiche è nel giusto, mentre a chi ha risposto di no replico che la possibilità di ottenere la liberazione esiste, e che vi sono motivi e prove valide che lo dimostrano.
 
Domanda: “Qual è la differenza fra i termini döciag e sepa, dal momento che molte volte vengono tradotti entrambi con attaccamento”.
Risposta: “L’attaccamento con cui si traduce il termine döciag è quel fattore mentale disturbante incluso tra i sei difetti mentali radice, ed è ciò che fa aderire all’oggetto desiderato. Invece l’attaccamento, o desiderio, che corrisponde al termine sepa principalmente è riferito all’ottavo tra i dodici anelli della catena del sorgere dipendente, e può essere di tre tipi: attaccamento verso gli oggetti del desiderio, attaccamento a non volersi separare dagli oggetti di cui si ha il possesso e attaccamento all’acquisizione di una particolare forma di esistenza, per esempio voler nascere in una famiglia ricca”.
 
Come precedentemente è stato spiegato, la causa iniziale della serie dei dodici anelli è l’ignoranza, il percepire in modo erroneo la natura dei fenomeni; di conseguenza si creano le impronte karmiche e tutti gli altri anelli. Con la visione corretta della natura dei fenomeni, elimineremo l’ignoranza e anche i successivi anelli.
Noi possediamo un tipo di visione errata che ci fa concepire i fenomeni come intrinsecamente esistenti, perciò l’antidoto che dovremmo sviluppare è la saggezza che percepisce il loro autentico modo di esistenza, ovvero la comprensione che i fenomeni non esistono per loro propria natura, indipendentemente, naturalmente, intrinsecamente. Questo tipo di saggezza è una mente valida che ha ragioni logiche come supporto, mentre l’ignoranza è una mente confusa e illusa, perciò tra questi due tipi di mente vi è uno scontro, un conflitto. Nel caso di due persone che si presentano in tribunale in giudizio, quella che si trova nel giusto ha ragioni valide per dimostrarlo e al momento della sentenza vincerà la causa.
Allo stesso modo la saggezza – che è valida – risulta vittoriosa, e non l’ignoranza – che si trova in errore!
Se vediamo in lontananza uno spaventapasseri e a causa della distanza lo scambiamo per un uomo, quando ci avvicineremo e ci renderemo conto della realtà faremo sparire l’ignoranza iniziale che ci portava a scambiare l’uno con l’altro. Allo stesso modo, la concezione che i fenomeni sono intrinsecamente esistenti altro non è che una visione errata, e quando con la meditazione, l’analisi e la conoscenza impareremo a sviluppare la saggezza che percepisce la natura autentica dei fenomeni e comprenderemo che essi non esistono in modo assoluto, dalla loro parte, la concezione errata sparirà.
Possiamo immaginare l’ignoranza che percepisce una intrinseca esistenza dei fenomeni come un grande albero, e la saggezza che percepisce l’autentica natura dei fenomeni come un’ascia con la quale lo si può tagliare. Ora, se pur possedendo un’ascia colpiremo l’albero in diverse parti e non in un punto preciso non riusciremo ad abbatterlo, ma se colpiremo continuamente lo stesso punto con concentrazione alla fine avremo successo. Quello che serve è un addestramento con il quale imparare a colpire con la saggezza un punto ben individuato, e questo è l’addestramento nella concentrazione, nel samadhi, senza il quale sferreremo colpi a vuoto. 
Ma come non si può abbattere un albero pur possedendo la giusta mira ed un’ascia se non si ha in aggiunta la forza di un uomo robusto (per esempio un bambino piccolo non è in grado di farlo), così non si può distruggere la concezione errata di un ‘io’ intrinsecamente esistente senza quella forza della mente fornita dalla disciplina etica. In pratica, per perseguire quell’obiettivo occorre possedere tutti e tre i livelli di addestramento: la disciplina etica, la concentrazione e la saggezza, sulla base delle quali si potrà ottenere la liberazione o nirvana.
L’esistenza condizionata ha una causa che può essere eliminata con i metodi costituiti appunto dai tre livelli di addestramento e, dal momento che questi esistono, sarà possibile arrivare gradualmente alla liberazione. Anche nella sfera del mondo fisico quando si elimina una causa non si dovrà sperimentarne l’effetto, quindi la nostra sofferenza, la cui origine è mentale, potrà essere rimossa se elimineremo le sue cause mentali.
Per generare la saggezza che comprende la vacuità dei fenomeni è necessario stabilire in primo luogo la loro natura, come spiegato nel nono capitolo del Bodhisattvacharyavatara.
Abbiamo appreso che la liberazione dal samsara è realizzabile, ma ciò non è ancora sufficiente, infatti dobbiamo fare qualcosa di più: beneficiare tutti gli esseri, generando sentimenti d’amore e compassione per loro.
È stata già spiegata la ragione per cui si può affermare che la vita passata esiste e così innumerevoli altre vite precedenti. Poiché abbiamo avuto infinite rinascite, tutti gli esseri sono stati nostra madre e come ogni madre hanno avuto per noi amore e gentilezza. Vedendoli sotto questa ottica, si possono sviluppare sentimenti d’amore e di compassione e avere considerazione nei confronti di tutti. 
La gentilezza di una madre è facilmente dimostrabile, infatti appena nati abbiamo preso il suo latte e siamo stati curati con amore, ma anche la gentilezza di molti altri esseri è di basilare importanza per la nostra esistenza: quando abbiamo iniziato ad assumere cibo diverso dal latte materno ciò è stato reso possibile dallo sforzo di molti, gli abiti che indossiamo e la casa in cui viviamo è stata prodotta dal lavoro di parecchie persone, quando eravamo bambini i giocattoli con cui ci divertivamo erano il frutto del duro lavoro di altri, quando abbiamo iniziato ad andare all’asilo e a scuola molti insegnanti si sono presi cura di noi, attualmente se abbiamo un impiego lo dobbiamo a qualcuno, la strada sulla quale camminiamo e le auto con le quali ci rechiamo al lavoro vengono dallo sforzo di diverse persone. 
Dal momento in cui nasciamo al momento in cui moriamo dipendiamo esclusivamente dagli altri: non siamo assolutamente in grado di procurarci da soli tutto quanto ci necessita. 
Anche relativamente alla nazione in cui viviamo, se non è stata conquistata da un altro paese lo si deve all’impegno di altri esseri. 
I cinesi hanno invaso il Tibet, ma se sono venuto qui dall’India a parlare con voi di Dharma, lo si deve proprio a loro. 
Dal cibo agli abiti che indossiamo, e persino le lodi, tutto ci viene dalla gentilezza degli altri.
Se dopo aver concluso che tutti gli esseri sono stati estremamente gentili con noi – e ancora lo sono adesso – non siamo in grado di coltivare amore e compassione nei loro confronti, è solo per un nostro errore.
Abitualmente dividiamo le persone in tre categorie: gli amici, le persone indifferenti e i nemici, coloro che ci creano problemi. Quello che ci fa considerare alcune persone amiche è il fatto che sono state gentili con noi ed in qualche modo ci hanno beneficiato, ma poiché abbiamo appena concluso che nel corso delle innumerevoli rinascite tutti gli esseri ci hanno beneficiato in molti modi, non dovrebbe essere impossibile includere nella categoria degli amici anche le persone che ora ci sono indifferenti e persino coloro verso i quali nutriamo avversione, e ci risulterà più facile se pensiamo che tutti gli esseri sono stati gentili con noi sia in questa che in tutte le vite passate.
Se il metro di giudizio che usiamo per affermare che una persona è gentile sta nel fatto che essa ci ha appena beneficiato, allora non si potrebbe neanche dire che la mamma di Carla è gentile, perché adesso non è neppure qui! Non sono forse gentili anche coloro che ci hanno usato delle gentilezze nel passato? Anche una persona che ci ha usato una gentilezza quando eravamo piccoli è stata premurosa con noi!
A questo punto potremmo però pensare che gli altri ci hanno anche danneggiato, ma essere danneggiati o meno dipende esclusivamente da noi. Per esempio, se una persona ci colpisce con un bastone, ma noi generando la pazienza non ci inquietiamo, ecco che questa persona ci ha beneficiato e non danneggiato. Dobbiamo vedere quella persona che ci ha percosso come se fosse il nostro Maestro, che ci sta insegnando la pratica della pazienza.
Altre persone possono averci colpito o potranno colpirci, ma se noi non accuseremo il danno e impareremo a sopportare, a generare pazienza, tutto questo in realtà sarà un beneficio. Se tutto ciò che definiamo danno di fatto è un beneficio, allora non si potrà dire che solo i benefici lo sono! 
Anche se siamo riusciti a trattenerci dal fare del male agli altri, praticando la moralità, lo dobbiamo proprio a coloro che sono serviti come oggetto di questa nostra pratica. Ed è ugualmente necessario avere un oggetto, ossia gli altri esseri, che ci permetta di generare le qualità di amore e compassione, e così è per la bodhicitta, per la perfezione della generosità e per tutte le altre perfezioni trascendentali.
Riconoscendo la gentilezza degli esseri nei nostri confronti e la loro sofferenza, riusciremo a generare amore e compassione, avremo una motivazione appropriata, praticheremo il Dharma e indirettamente beneficeremo noi stessi, mentre se rammentiamo quanto gli altri ci hanno danneggiato, proveremo solo odio e altra sofferenza. Riuscendo a coltivare amore e compassione, e cercando di tenere la mente in questi due atteggiamenti, eviteremo di avere pensieri negativi e malevolenza per gli esseri.
Se qualcuno ci rivolgesse parole spiacevoli, invece di reagire con rabbia potremmo provare a essere pazienti e a pensare in questo modo: “Anche se mi sta dicendo cose sgradevoli non devo arrabbiarmi, perché le sue parole non sono altro che suoni, e se non me ne preoccupo non ne sarò danneggiato in alcun modo. La sola ragione per cui mi fanno soffrire è che dò loro peso e ci penso, ma se non lo facessi non avrebbero nessun effetto su di me”. Riflettendo in questo modo, il nostro odio diminuirà naturalmente.
Le parole in effetti non hanno il potere di danneggiare. Guardando sul dizionario, per esempio, troviamo il vocabolo ‘matto’ e leggendolo non sentiamo nessun tipo di emozione, ma se qualcuno ci dice: “Sei matto” ci arrabbiamo. In realtà quella parola in quanto tale non ha un vero potere su di noi, altrimenti dovremmo arrabbiarci anche quando la vediamo scritta!
Imparare i vari metodi dell’addestramento mentale è un’ottima cosa, ma è necessario saper scegliere quale di essi potrà esserci più utile e quale effettivamente è alla nostra portata, proprio come quando si decide di dipingere una thangka: inizieremo con il tracciare le prime linee in nero, poi cominceremo a usare un colore, poi un altro, e in questo modo otterremo un buon dipinto, mentre mettendo tutti i colori insieme non concluderemo nulla. Quindi si deve conoscere il giusto ordine delle pratiche in cui ci si impegna.
Per essere in grado di condurre una moto, dovremo iniziare ad andare in bicicletta e in questo modo eviteremo incidenti. Se non si conosce la corretta sequenza delle pratiche spirituali, ci si potrebbe scoraggiare e rimanere delusi, dato che ci risulterebbe difficile attuare quelle molto elevate.
Vi è una gran differenza fra una persona spirituale e una materialista, dal momento che il modo di vedere le cose di quest’ultima la porta a cercare il proprio beneficio personale, mentre per chi è nel sentiero spirituale lo scopo principale è beneficiare gli altri e sopportare le difficoltà al loro posto.
Se saremo capaci di essere i perdenti, ovvero di lasciare agli altri i benefici, di fatto saremo noi i veri vincitori. 
Nessuno desidera perdere, non lo vogliamo noi e non lo desiderano gli altri, così nascono conflitti, scontri e si giunge a combattere anche fisicamente. Se proprio non desideriamo essere fra coloro che perdono, cerchiamo almeno di generare il desiderio di non danneggiare gli altri e facciamo il possibile affinché non siano loro gli sconfitti. Quando due persone si combattono, chiaramente entrambe desiderano avere la meglio, dal momento che nessuno combatte per il gusto di perdere, ma è certo che a una delle due succederà e, se ci è possibile, è molto meglio che accada a noi, poiché ne avremo vantaggi e benefici proprio dovuti alla pratica della pazienza.
Tutto questo è difficile da mettere in pratica, ma iniziando gradualmente, rinunciando a essere i vincitori una volta, poi una seconda, una terza e così via, riusciremo a diventare delle persone migliori. Più profonda e vasta sarà la comprensione del sentiero spirituale, più guadagneremo nella vita. Ora abbiamo ottenuto una forma umana, una mente intelligente che è in grado di distinguere ciò che è buono e ciò che non lo è, siamo stati fortunati! Comunque, potrà essere difficile impegnarci ogni istante della vita nella pratica del Dharma, come ha fatto Milarepa, e con tanto sforzo. 
Un monaco, un ghelong che dedicherà tutta la sua vita alla pratica del Dharma, dovrà dipendere solo dalle elemosine e dal cibo che gli verrà offerto, ma non morirà di fame e riuscirà a vivere lo stesso. Per un laico forse non sarà possibile dedicarsi completamente alla pratica senza lavorare, però è saggio riservarvi il tempo libero che rimane dopo il lavoro o, se è impossibile anche questo, solo una parte. In realtà si dovrebbe impiegare la maggior parte del tempo per la pratica del Dharma, lasciandone una piccola parte per guadagnarsi i mezzi di sostentamento, ma forse attualmente è difficile e allora che sia almeno un po’! All’inizio non sarà facile credere a quanto ci viene detto, ma se riflettiamo bene, pian piano potremo capire: Milarepa abbandonò la vita mondana e ogni godimento per dedicarsi completamente alla pratica del Dharma, riuscendo a ottenere l’illuminazione, e ora la sua storia è conosciuta in tutto il mondo.
In questo testo Shantideva ha descritto come si deve procedere per addestrare la propria mente, e ciò che un bodhisattva deve fare per ottenere lo stadio finale della completa illuminazione. Nonostante non lo siamo ancora, imparando a conoscere ciò che un bodhisattva deve fare ne trarremo un grosso beneficio.
La nostra condizione attuale è di scontentezza riguardo a come siamo e a quanto abbiamo, cosicché cerchiamo continuamente di avere dell’altro. Ci sforziamo per ottenere ciò che desideriamo nel lavoro, per esempio un salario migliore, e in famiglia, chiedendo ancora ai genitori. In tutti i modi tentiamo di ottenere l’aiuto altrui o qualcosa in più di quanto abbiamo, ma nonostante il nostro impegno non raggiungiamo il traguardo sperato e, con il tipo di mezzi che usiamo attualmente, non lo conseguiremo. 
A questo punto potremmo chiederci se esistano altri mezzi per eliminare la sofferenza. Finora non siamo riusciti a comprendere qual è la sua origine e quali sono i veri nemici che ci causano tribolazioni ma, se dovessimo riconoscerli, eliminandoli saremmo in grado di farla cessare. 
Ghesce Cekawa, un Lama kadampa del xii secolo, nel testo L’essenza del nettare spiega che i veri nemici non si trovano fuori ma dentro di noi, e sono le emozioni negative della nostra mente, che dobbiamo imparare a riconoscere come tali.
Adoperarsi per il beneficio altrui è anche la causa della nostra stessa felicità e se attualizzarlo non è facile, teniamo presente che in ogni caso cercare di rendere felici gli altri è positivo.
Se qualcuno ci fa del male certamente non ne saremo felici, allo stesso modo se noi danneggiamo qualcuno questi non ne sarà contento, per cui dobbiamo imparare a fermarci quando siamo sul punto di creare sofferenza agli altri e se non ci riusciamo otterremo soltanto del danno per noi stessi. Quando due bambini litigano, se uno dei due farà male in un modo lieve all’altro questi risponderà con un colpo più forte e così proseguiranno nella loro lite. Lo stesso avviene fra due nazioni: se la prima viene danneggiata dall’altra reagirà restituendo i colpi ricevuti il più pesantemente possibile, ma se è stata oggetto di un comportamento amichevole cercherà di fare qualcosa per quel popolo che ha dimostrato amicizia, e così entrambi i paesi ne trarranno un beneficio. 
Attraverso questi esempi possiamo comprendere che, quando si fa qualcosa di positivo si riceverà in cambio del beneficio, altrimenti se ne ricaveranno solo svantaggi.
Se pensiamo che qualcuno è stato gentile con noi ci verrà spontaneo cercare di ricambiarlo, così se uno dei due figli di una coppia riconosce la gentilezza dei genitori si sforzerà di ricambiarla, mentre l’altro figlio che non prova riconoscenza non farà alcuno sforzo.
Come possiamo riconoscere veramente la gentilezza degli esseri? 
Nel Tibet i tibetani sono stati privati della loro indipendenza dai cinesi; in questo paese, invece, si gode della libertà ed è una nazione altamente sviluppata, in cui troviamo quanto ci occorre e in cui non c’è una eccessiva criminalità: tutto ciò è dovuto alla gentilezza di chi ha lavorato per ottenere queste condizioni, alla gentilezza dei capi di stato e degli uomini del governo.
Abbiamo vestiti, strumenti vari, mezzi di trasporto, tutto dovuto alla gentilezza di chi lavora nelle fabbriche e dei commercianti. 
Anche gli agricoltori sono gentili con noi per ciò che producono e gli allevatori perché ci forniscono il latte. Tutto ciò di cui godiamo fin dal momento in cui ci alziamo alla mattina è dovuto alla gentilezza degli altri, non solo al nostro sforzo. 
I genitori sono stati e sono ancora gentili con noi. Quando siamo nati eravamo come dei piccoli vermi, non eravamo in grado di distinguere ciò che si poteva o non si poteva mangiare. Se qualcuno lavora per noi un giorno dobbiamo pagargli una certa somma, se lavora per noi un mese gli dobbiamo una somma proporzionalmente superiore: i genitori hanno lavorato per noi anni e non abbiamo restituito loro niente. Se non si fossero presi cura di noi quando eravamo piccoli, ora non potremmo neppure godere di questa nostra esistenza umana. Se ricordiamo la loro gentilezza verrà spontaneo cercare di ricambiarli, e così accumuleremo molto karma positivo. 
Avendo una collezione di impronte positive, potremo godere di ciò che desideriamo, non avremo nessuna difficoltà nella vita, avremo buoni amici e ogni cosa sarà favorevole.
Se desideriamo per noi stessi una condizione migliore nel presente, evitiamo di danneggiare gli altri e cerchiamo di beneficiarli. Se non ci consideriamo persone spirituali ma aiutiamo gli altri ed evitiamo di danneggiarli, di fatto lo siamo, poiché l’essenza del sentiero spirituale non è niente di più che cercare di portare aiuto e non procurare sofferenza.
Dobbiamo ricordare la gentilezza di tutti gli esseri e riconoscere che i nostri veri nemici sono i nostri difetti mentali, tre i principali: ignoranza, attaccamento e odio.
L’odio è quell’attitudine che non solo causa la sofferenza degli altri, ma anche la nostra, e può distruggere i nostri meriti in un attimo. Nel sesto capitolo del Bodhisattvacharyavatara si parla della pazienza, che è appunto l’antidoto all’odio, ma prima vengono spiegati gli svantaggi del provarlo. 
La forza dell’odio è tale che in un attimo può distruggere i meriti accumulati in tre ere cosmiche attraverso la pratica della generosità, della disciplina e delle altre perfezioni, così come il fuoco distrugge intere foreste. (st.1)
A Venezia ci sono numerose botteghe di vetrai in cui sono esposti fragili oggetti, la cui produzione ha richiesto moltissimo tempo, ma se entrassimo con un bastone in un attimo saremmo in grado di distruggere tutte quelle cose preziose.
Non c’è negatività più grande dell’odio e non c’è virtù migliore della pazienza, se riusciamo a praticarla. (st.2)
All’inizio può essere difficile, ma poi diventerà sempre più familiare e semplice, così come inizialmente imparare a guidare è complicato, ma con l’abitudine risulta naturale, e tutte le difficoltà vengono superate.
In che modo l’odio può causare sofferenza?
Se siamo rilassati godendo di un’atmosfera armoniosa e pacifica e qualcuno si avvicina dicendoci parole spiacevoli, subito in noi sorgerà infelicità e avversione, e in pochi istanti perderemo la tranquillità.
Quando siamo arrabbiati non possiamo neanche dormire, saremo molto disturbati e vorremmo scagliare contro gli altri qualsiasi cosa ci capiti tra le mani. Se una madre è arrabbiata, anche se il figlio non ha fatto niente gli appiopperà una sberla. Quando siamo arrabbiati non riusciamo neanche a restare tranquillamente seduti, e desideriamo danneggiare anche le persone verso le quali di solito nutriamo sentimenti benevoli. (st.3)
I nostri amici, vedendoci arrabbiati, ci considereranno diversamente e ne perderemo l’amicizia. Se siamo arrabbiati e offriamo qualcosa, gli altri non verranno, o non proveranno riconoscenza per i nostri doni. A chi è in collera non capiterà mai di poter dire: “Sono felice perché sono arrabbiato”. (st.5)
L’odio non è un nemico ordinario, perché non solo è causa di sofferenza in questa vita ma anche in quelle future, e chi si sforzerà di distruggerlo non solo troverà felicità in questa vita ma anche in quelle future. (st.6)
Quali sono le cause che producono l’odio?
Il sostegno dell’odio è la sensazione di infelicità che sorge per il fatto che gli altri non fanno ciò che vogliamo, o fanno ciò che non vogliamo, o ci creano ostacoli all’ottenimento di ciò che desideriamo. (st.7)
Questo disagio mentale agisce come cibo per il nostro odio e, nutrendocene, esso si sviluppa e poi ci sconfigge, quindi il primo passo è eliminare tale alimento nocivo. (st.8)
Non dobbiamo sentirci infelici quando qualcuno sembra ostacolarci, o quando non otteniamo ciò che desideriamo, o quando ci succede qualcosa che non ci piace.
L’infelicità e il disagio mentale distruggono la nostra pace interiore, la nostra gioia, e dobbiamo fare ogni sforzo perché ciò non accada. Non c’è nessun vantaggio e utilità nella rabbia, perché in ogni caso non ci fa ottenere ciò che desideriamo, ma solo infelicità e la distruzione della nostra accumulazione di meriti. (st.9)
Quando siamo disturbati da qualcosa dobbiamo cercarne la causa analizzando la situazione e, se è possibile porvi rimedio, dobbiamo sforzarci in tal senso. Se questo è il caso, che senso ha allora arrabbiarci o sentirci infelici? Per esempio, se proviamo il disagio della sete basta semplicemente bere, e se siamo ammalati rimediamo prendendo delle medicine. Quando invece non possiamo in nessun modo cambiare la nostra situazione disagevole, sarà comunque inutile arrabbiarci o sentirci infelici perché ciò non porterà a niente. (st.10)
Se siamo ammalati di cancro e i medici non possono più fare niente è inutile essere infelici, ma si deve cercare allora di vivere nel modo migliore, senza ulteriore depressione. Riuscendo a comprendere questo tipo di ragionamento, nel caso di una malattia così grave avremo sì la sofferenza fisica, ma non quella mentale. Una persona che invece non lo capisce avrà sofferenza sia fisica che mentale, perché sapendo di essere malata di cancro si preoccupa di dover morire presto. In realtà tutti dobbiamo morire e ciò può accadere anche fra poco tempo, eppure a questo nessuno pensa.
Noi non desideriamo né per noi né per i nostri cari né per i nostri amici la minima sofferenza, la povertà, il disprezzo, una cattiva reputazione, ma per i nemici sì. (st.11)
 Ebbene l’odio, che è il nostro nemico, causerà tutto questo proprio a noi, e d’altra parte distruggerà ciò che desideriamo: felicità, ricchezza, lodi, fama. Così, praticando il Dharma occorre generare tolleranza; quando qualcuno ci danneggia dobbiamo sviluppare la forza morale e la pazienza necessarie per sopportare le difficoltà. 
Riuscire a sopportare la sofferenza inevitabile è molto importante, perché le situazioni in cui soffriamo sono moltissime e, se impariamo a tollerarle, la nostra vita sarà più serena e più accettabile. Essere felici accade più difficilmente perché le cause della felicità sono rare e occasionali, inoltre la nostra è un’esistenza condizionata, la cui natura è sofferenza; comunque questa ci fa ricordare la nostra situazione sfortunata e ci stimola nella ricerca della liberazione, quindi è importante, infatti senza sofferenza non c’è rinuncia. (st.12)
Generalmente le persone che seguono un sentiero spirituale in precedenza hanno avuto una sofferenza così intensa che, per sfuggirvi, hanno cercato delle soluzioni e alla fine hanno incontrato il Dharma.
Se riusciamo a sopportare la sofferenza che abbiamo, allora non saremo infelici e depressi. Ci sono persone che sopportano grandi difficoltà per piccoli obiettivi; per esempio, per vincere una gara in bicicletta e avere un po’ di fama qualcuno si allena moltissimo, e chi va a sciare tollera il freddo e la fatica, eppure in generale se qualcuno ordinasse di andare in mezzo alla neve di certo non lo si farebbe: tutto dipende solo dal modo di pensare.
Se si è in grado di sopportare gioiosamente difficoltà per obiettivi così insignificanti, a maggior ragione si dovrebbero sopportare quelle che incontriamo nella pratica del Dharma per ottenere la felicità definitiva, che invece è un obiettivo valido. (st.13)
Dobbiamo addestrarci nel tollerare le piccole sofferenze e difficoltà, così che in futuro saremo in grado di sopportare quelle più grandi. (st.14)
Se per i principianti è difficile sedersi a gambe incrociate per cinque minuti, è anche vero che giorno dopo giorno questo tempo può essere prolungato. Ora noi già possiamo imparare a sopportare facilmente il morso dei serpenti e degli insetti e le sensazioni di fame e di sete: allora perché non potremmo imparare ad avere pazienza in ogni avversità? (st.15)
Se siamo insofferenti per il caldo e il freddo, il vento e la pioggia, le malattie e il venire picchiati, il nostro malessere aumenterà, se siamo tolleranti quella stessa sofferenza diminuirà. Anche lamentarsi danneggia la mente, quindi non dobbiamo fare neppure questo. (st.16)
Alcuni, se combattendo vengono feriti, alla vista del proprio sangue diventano ancora più coraggiosi, altri solo vedendo il sangue altrui si sentono male e svengono. (st.17)
La reazione non dipende quindi da una specifica circostanza, in questo caso la presenza di sangue, proprio o altrui, ma da come si affrontano le cose, dal modo di pensare. (st.18)
Rispetto alle varie sofferenze della vita, dobbiamo sviluppare più coraggio, senza lasciarci sconfiggere da esse. Chi dedica interamente la sua vita al Dharma dovrà superare delle difficoltà, non possiederà molte cose ma, se tollererà tutto questo, avrà successo nel migliorare la sua mente. Le persone sagge e i praticanti del Mahayana, anche con molte sofferenze fisiche hanno una mente lucida, priva di turbamento, e quindi non avranno troppi problemi nell’ottenere lo scopo che si sono prefissati. 
Noi ora stiamo combattendo contro i nostri difetti mentali e di sicuro incontriamo difficoltà e sofferenze, ma dobbiamo sopportare ciò che ci capita con coraggio, e continuare questa battaglia. (st.19)
I guerrieri ordinari uccidono solo cadaveri, dal momento che tutte le persone sono già destinate a morire, ma i nostri difetti mentali non moriranno spontaneamente, ed è un guerriero coraggioso colui che ucciderà questi, non i nemici comuni. (st.20)
Fino a questo punto abbiamo visto come dobbiamo sopportare e affrontare con coraggio la sofferenza e le difficoltà. Ma la sofferenza ha anche delle qualità: distrugge il nostro orgoglio e ci fa comprendere quella degli altri, così che saremo in grado di generare l’amore e la compassione verso tutti gli esseri; inoltre ci spinge a cercare insegnamenti di Dharma e metodi per praticare, a riconoscere di aver ottenuto una forma fisica favorevole e una mente intelligente che è in grado di distinguere tra ciò che è buono e ciò che è negativo, e ci induce infine a sfruttare queste situazioni favorevoli. (st.21)
Quali sono le cause della sofferenza? Sono i nostri nemici interiori, i difetti mentali. Essi non hanno gambe, non hanno mani, non sono saggi né forti e non possiedono nulla dalla propria parte che li renda veramente terribili: siamo noi che lasciamo loro l’occasione di procurarci danni e sofferenza.
Questi nemici sono con noi da un tempo senza inizio, e continueranno a restare con noi per molto ancora finché non li sconfiggeremo, perciò dobbiamo cercare di riuscirci, anche se occorresse affrontare gravi difficoltà.
Nel testo si parla ora dell’antidoto alla rabbia.
Tre sono i tipi di pazienza in cui dobbiamo addestrarci:
• la pazienza di sopportare le sofferenze che si incontrano nella vita,
• la pazienza di non vendicarsi, ma di sopportare con gioia i danni direttamente provocati da altri,
• la pazienza di accettare le difficoltà nella pratica del Dharma.
Relativamente al primo tipo, se sperimentiamo problemi come malattie, fame o freddo, dobbiamo semplicemente cercare delle soluzioni senza essere infelici e, se non le troviamo, essendo già presente la sofferenza fisica è inutile che aggiungiamo la sofferenza mentale, che comunque non porterà nessun vantaggio.
È stato spiegato che quando ci troviamo nel secondo tipo di situazioni non dobbiamo arrabbiarci, eppure potremmo pensare che quando qualcuno ci danneggia sia invece giusto generare odio. Diciamo, per esempio, che ci arrabbiamo con certe persone perché ci hanno fatto del male, che è poi causa della nostra sofferenza, ma con lo stesso ragionamento dovremmo allora arrabbiarci anche con il nostro corpo perché è causa della maggior parte di essa! In realtà non lo facciamo, e affermiamo che non è il nostro corpo che direttamente ci fa soffrire, bensì le cause e condizioni del dolore, per esempio una malattia. Lo stesso ragionamento deve allora valere anche nel caso del danno provocato da altri, dal momento che anch’esso viene da cause e condizioni, poiché in queste persone insorgono i difetti mentali. (st.22)
Come non ci arrabbiamo con il nostro corpo quando si ammala e ci fa soffrire per una malattia, perché comprendiamo come essa sia determinata da particolari circostanze e da certe cause, allo stesso modo non dobbiamo arrabbiarci con chi ci danneggia, perché è sotto l’influenza di difetti mentali, e come il nostro corpo si ammala senza che noi lo vogliamo, così i difetti mentali sorgono nelle persone senza che esse lo desiderino. (st.23)
Se proprio dovessimo arrabbiarci con qualcuno lo dovremmo fare con i difetti mentali stessi, la vera causa del danno che ci viene arrecato. Dobbiamo comprendere e ricordare questi insegnamenti, e applicarli ogni volta che siamo sul punto di arrabbiarci.
L’odio nasce sulla base di un disagio e di un’infelicità mentali dovuti a particolari circostanze, che si trasformano poi in collera anche se non lo vogliamo; lo stesso succede agli altri, che non pensano: “Ora mi arrabbierò, ora farò del male”; odio e rabbia sorgono spontaneamente in loro, e li spingono a danneggiare senza scelta. (st.24)
Tutto il male che deriva dagli altri, tutto il karma negativo che matura, tutte le sofferenze, tutto ciò che di spiacevole sperimentiamo nasce quando le cause e condizioni adatte si accumulano: nulla sorge per caso, senza cause, indipendentemente. (st.25)
Quelle stesse cause e condizioni a loro volta sorgono in dipendenza, e non hanno nessuna intenzione di creare sofferenza, ma per il solo fatto che si trovano assemblate, ne scaturiscono sofferenze e infelicità. (st.26)
Se qualcuno ci fa del male non ha alcuna scelta in quel momento, non sta facendoci del male volontariamente, ma è spinto da certe condizioni e dai suoi difetti mentali, ed è privo di aiuto. 
Se una persona cara, che consideriamo buona, improvvisamente impazzisce e cerca di danneggiarci, comprendiamo come essa sia spinta da questa condizione mentale disturbata; quindi già applichiamo anche ordinariamente il tipo di ragionamento descritto prima. Nessuno cercherà di restituire a un pazzo il male ricevuto: tutti lo biasimerebbero! Ma ci troveremmo in una situazione simile se volessimo vendicarci di una persona che ci danneggia, che è in balia dei propri difetti mentali così come il pazzo della propria malattia mentale.
Nel testo viene detto che tutti i fenomeni prodotti nascono da cause e condizioni e che nessun fenomeno è indipendente. 
La scuola filosofica indiana non buddhista dei Samkhya afferma invece che ci sono alcuni fenomeni che sono completamente indipendenti, e che sorgono per una loro particolare natura. (st.27)
Questa scuola sostiene che ci sia un principio creatore di tutto l’universo, asserendo che tutti i fenomeni esistenti sono stati creati da un certo tipo di energia (diversa comunque da quella delle particelle atomiche). Altri dicono che il creatore di ogni cosa è Ishvara.
Nel buddhismo si afferma invece che tutto ciò che esiste deriva dalla mente stessa: non c’è altro creatore che questa. Una mente virtuosa produrrà cose valide, una mente afflitta produrrà negatività, e tutti gli effetti possono essere ripartiti in queste due categorie.
Si dice che tutto ciò che sperimentiamo di positivo è dovuto ai buddha e bodhisattva, il che significa che da essi abbiamo imparato che per ottenere effetti positivi dobbiamo porre cause positive, e viceversa. Se qualcuno ci dà un pezzo di terra, ci esorta a coltivarla e ci spiega come fare, il frutto del nostro lavoro sarà ottenuto grazie alla persona che ci ha dato il terreno e le istruzioni. Quando un bambino va a scuola non sa molto, ma poco a poco impara diverse cose e alla fine diventa una persona istruita, proprio grazie alla gentilezza degli insegnanti.
Mettendo in pratica i consigli dei buddha, dei bodhisattva e dei nostri Maestri otterremo la felicità, ed è chiaro ora che tutto ciò che abbiamo di valido è dovuto a loro, e tutto ciò che è scorretto ai nostri difetti mentali. Se fossero i buddha e i bodhisattva a causare la nostra sofferenza, dovremmo eliminare loro. Noi desideriamo la felicità e non desideriamo problemi e sofferenza: in dipendenza di buddha e bodhisattva avremo la prima, in dipendenza dei difetti mentali i secondi.
La scuola non buddhista dei Samkhya sostiene che tutto ciò che esiste dipende da una sostanza primordiale indipendente che produce i vari fenomeni, i quali vengono goduti da un sé, o anima, priva di parti e permanente, senza che ciò dipenda da cause e condizioni. Ma, dal momento che non ci sono fenomeni prodotti che esistano senza dipendere da cause e condizioni, non può esistere una sostanza o una forza primordiale di quel tipo, né ci può essere un sé permanente che apprenda e goda dei vari fenomeni.
Questa sostanza primordiale presentata dai Samkhya non può neanche avere la motivazione di creare qualcosa, e poiché non è prodotta non può neppure produrre, dal momento che è detta permanente, infatti ogni effetto può sorgere solo per determinate condizioni da una causa sostanziale che a sua volta deriva da un’altra causa.
Le scuole non buddhiste credono che esista un io o sé permanente, mentre i buddhisti credono che esista un io impermanente. Si definisce permanente qualcosa che non ha nessun cambiamento interno. 
Se ci fosse un’anima o un sé permanente che sperimenta un particolare oggetto, allora dovrebbe sperimentarlo sempre.
Se avessimo un io permanente e godessimo del cibo, dovremmo continuamente mangiare senza mai fermarci, proprio per la caratteristica permanente della immutabilità, invece noi cambiamo continuamente attività: mangiamo, dormiamo, camminiamo. (st.28)
Se esistesse un io permanente, dovrebbe essere come lo spazio, privo di azione. Ma non esiste una sostanza primordiale che abbia volontà e che possa produrre, e nemmeno un io permanente. I Samkhya dicono che la sostanza primordiale è permanente, ma può produrre venendo a contatto con particolari circostanze. Ora, qualcosa di permanente non può entrare in contatto con nessuna circostanza o condizione, poiché niente può modificare un fenomeno permanente, la cui natura è appunto immutabile. 
Che influenza può avere un qualsiasi agente su questa ipotetica sostanza primordiale permanente? Nessuna. E nulla può modificare o beneficiare un io che è permanente, perché gli oggetti e quell’io non potrebbero entrare in relazione, non sarebbero collegati. (st.29)
Il fuoco e il fumo sono di natura differente, eppure il fuoco è in grado di avere un effetto sul fumo e lo condiziona. Nel caso ci fosse un io permanente, nulla potrebbe influenzarlo.
Le relazioni tra i diversi fenomeni possono essere di due tipi: della stessa natura e di causa-effetto. Della stessa natura sono, per esempio, due caratteristiche di uno stesso fenomeno, come essere prodotto ed essere impermanente, o il calore e la luce, due caratteristiche del fuoco. Questo argomento viene introdotto dopo aver negato la possibilità di agire su qualcosa di permanente. I Samkhya difendono la loro posizione affermando che esiste un altro tipo di relazione con cui un sé permanente può entrare in contatto con altri oggetti. In realtà esistono solamente i due tipi di relazione prima descritti in cui i fenomeni possono entrare in contatto reciproco, ed entrambi non possono essere riferiti ai fenomeni permanenti!
Per poter parlare di relazione causale tra fenomeni, deve esserci un effetto. Se siamo ammalati e guariamo prendendo una medicina, si può dire che siamo guariti grazie all’effetto che essa ha avuto su di noi. La medicina ha portato un cambiamento nella nostra condizione fisica, rappresentato dal beneficio che abbiamo ottenuto.
Siccome un fenomeno permanente non può cambiare mai, qualsiasi azione o qualsiasi influenza su di esso non ha alcun effetto. Gli oggetti del mondo sono considerati impermanenti dai Samkhya, mentre l’io permanente. L’io permanente dovrebbe allora godere di oggetti impermanenti, ma questo tipo di relazione è completamente assurdo. Essendo l’uno un fenomeno permanente e gli altri fenomeni impermanenti, tra essi non è possibile né una relazione della stessa natura, né una relazione di causa-effetto. (st.30)
Nulla si produce in modo indipendente, quindi ogni fenomeno è simile a un’illusione. Dovremmo comprendere le cose in questo modo, e non generare avversione per le cose spiacevoli con cui veniamo in contatto. (st.31)
Poiché tutto esiste per cause e condizioni e nulla esiste per sua propria natura, non dobbiamo andare in collera con fenomeni che sono condizionati: anche le azioni scorrette che i nostri nemici compiono sorgono per cause e condizioni.
Qualsiasi cosa ci capiti o ci appaia è come un’illusione, e non dobbiamo arrabbiarci con delle illusioni, né provare attaccamento, e in questo modo non creeremo più karma negativo, che è causa di sofferenza. Per comprendere come i fenomeni siano illusioni occorre conoscere la loro reale natura, cioè come siano vuoti di esistenza indipendente, vera, intrinseca.
Dobbiamo vedere anche la persona che ci fa del male come un’illusione, come un pazzo o una persona ammalata, perché è sotto l’influenza dei suoi difetti mentali, e se riusciamo a ragionare in questo modo, anche se non è possibile cambiare la situazione esterna cambieremo interiormente il modo di vedere le cose, cosicché anche se sembrano dannose non ci faranno però più niente. Potremo allora anche essere insultati e offesi, ma non ne saremo toccati. Di solito ci arrabbiamo se qualcuno ci procura direttamente della sofferenza, pensando che sia giusto reagire così, ma il risultato che ne ricaviamo è che noi stessi soffriamo di più. È sbagliato credere che sia giusto arrabbiarci con chi ci danneggia, visto che è spinto dai difetti mentali e quindi non lo fa per propria scelta. L’odio che induce una persona a farci del male e tutti i difetti mentali nascono per cause e condizioni, e per questo non hanno un’esistenza indipendente.
Poiché ogni cosa è come un’illusione – sia l’odio che i suoi oggetti – ci si potrebbe allora chiedere che bisogno c’è di usare antidoti a esso: l’odio-illusione non potrebbe essere eliminato e non ce ne sarebbe necessità! In realtà non è sbagliato usare la saggezza come antidoto per l’ignoranza, anche se sia la saggezza che l’ignoranza sono vuote di esistenza intrinseca. Sviluppando la saggezza che realizza l’autentica natura dei fenomeni elimineremo l’ignoranza, eliminando l’ignoranza elimineremo i difetti mentali che sono da essa causati, e eliminando i difetti mentali non creeremo più karma negativo e quindi non dovremo sperimentare sofferenza. (st.32)
Comprendendo che le azioni derivano da cause e condizioni potremo rimanere in uno stato mentale felice anche se qualcuno ci danneggia. (st.33)
Inoltre riflettiamo che è impossibile che succeda sempre e solo ciò che vogliamo, visto che tutti desideriamo solamente felicità e non è per scelta nostra che soffriamo. Se fosse possibile ottenere la felicità per libera scelta, allora di certo non soffriremmo mai. (st.34)
Alcune persone per eliminare i problemi cercano il suicidio sparandosi, gettandosi da un burrone, buttandosi sotto un treno, avvelenandosi, altre, ossessionate dal desiderio di ricchezza, patiscono anche la fame. Ma così facendo creano karma negativo che sarà la causa di altra grande sofferenza nel futuro. (st.36)
Noi ci arrabbiamo con gli altri perché ci fanno del male, perché subiamo dei danni da loro, ma se le persone trattano se stesse con tanta violenza, poi non c’è da stupirsi se danneggiano altri esseri viventi; comunque si comportano così non per libera scelta, perciò è irragionevole arrabbiarsi con loro. Dovremmo invece provare compassione, perché sono sotto l’influenza di difetti mentali, di concezioni errate, di emozioni negative, che le portano a uccidere se stesse o a fare del male agli altri. (st.37)
E se non riusciamo a provare compassione, almeno non dovremmo arrabbiarci. (st.38)
Persino se fosse della natura di chi si comporta in modo infantile essere di danno, o se commettesse un errore occasionale chi è per natura affidabile, sarebbe irragionevole arrabbiarsi: ciò equivarrebbe a prendersela, rispettivamente, con il fuoco che ci brucia una mano dopo che ve l’abbiamo posta sopra, e con lo spazio e il cielo perché permettono al fumo di salire. (stt.39-40)
È sbagliato pensare che sia giusto arrabbiarsi con gli altri per il fatto che ci hanno danneggiato direttamente ma, se questa è la nostra convinzione, per lo stesso motivo dovremmo arrabbiarci col bastone con cui siamo picchiati da qualcuno, avendoci esso direttamente causato il danno. Ora, noi diciamo che non possiamo arrabbiarci con il bastone perché non ha colpa, visto che se non ci fosse stata la persona non sarebbe finito sulla nostra testa, e allora non dovremmo arrabbiarci neppure con la persona che lo ha usato, perché a sua volta è stata spinta ad agire dai suoi difetti mentali e dall’odio in particolare, e invece dovremmo rivolgere la nostra rabbia verso quegli stessi difetti mentali. (st.41)
Noi, al contrario, irragionevolmente ci arrabbiamo con la persona, che è una condizione intermedia tra l’odio e il bastone, ma quello che dovremmo fare è cercare di eliminare l’odio che è nella mente di quella persona. Le divinità irate, colme di compassione per gli esseri la cui mente è piena di difetti mentali, hanno un aspetto terrifico rivolto proprio a questi ultimi.
Quando qualcuno ci fa del male, dobbiamo pensare che ogni sofferenza e difficoltà che incontriamo è dovuta al fatto che in questa o in una vita passata ne abbiamo creato le cause con l’aver danneggiato gli altri, e stiamo in questo modo sperimentando l’effetto di quelle azioni, ma anche purificando ed esaurendo quel karma negativo. (st.42)
Quando qualcuno ci colpisce con un bastone, se ci arrabbiamo creiamo altre impronte negative che ci faranno subire ulteriori future sofferenze. Inoltre, se pensiamo che sia giusto arrabbiarci con chi ci ha causato dolore, dovremmo farlo anche con il nostro corpo, che è la base di ogni sofferenza, ed è per la sua stessa natura che dobbiamo sperimentarla. 
Se qualcuno ci taglia un braccio con un coltello, sia il braccio che il coltello sono la causa del nostro dolore. Se solo il coltello lo fosse, allora colpendo con quest’arma una roccia, essa dovrebbe sperimentare dolore, ma la pietra per sua natura non può farlo. Quindi la responsabilità del dolore va divisa tra il coltello e il braccio, perché è nella natura del nostro corpo fisico essere una base per la sofferenza. Siccome il corpo ci crea tante sofferenze, allora dovremmo arrabbiarci con il corpo. (st.43)
Se siamo coperti di piaghe e qualcuno per sbaglio ci tocca procurandoci forti dolori, comprendendo che è stato un errore ed è a causa del nostro corpo coperto di piaghe che soffriamo, non arrabbiamoci con quella persona!(st.44)
Dobbiamo pensare che non soffriamo semplicemente per cause esterne, ma principalmente per il nostro corpo, che è molto debole e non è in grado di sopportare tutte le difficoltà che incontriamo nella vita. Noi siamo come bambini, e pur non volendo soffrire siamo estremamente attaccati alle cause della sofferenza e ne accumuliamo continuamente di nuove. Se soffriamo è principalmente per colpa nostra, e non dobbiamo quindi arrabbiarci con gli altri pensando che siano loro i responsabili. (st.45)
I guardiani dei mondi infernali o le foreste dalle foglie taglienti sono prodotti dal nostro karma, dalle nostre azioni, e perciò non c’è ragione di essere intolleranti verso queste situazioni estremamente spiacevoli che possiamo sperimentare. (st.46)
Dovremmo riflettere sul fatto che se soffriamo per il danno che le persone ci hanno causato è il nostro stesso karma che le ha spinte, e che esse in pratica sono il suo strumento.
Noi ci arrabbiamo perché una persona ci danneggia, ma in realtà se esaminiamo bene possiamo renderci conto che siamo noi a danneggiarla. Essa infatti agisce spinta dall’odio e questo sarà proprio la causa che la farà cadere nei reami inferiori, mentre noi pratichiamo la pazienza verso di lei, che diviene così la causa della nostra felicità. (st.47)
Con la pratica della pazienza possiamo purificare molto karma negativo e accumulare molte impronte positive, mentre colui che ci danneggia ha odio verso di noi, che diveniamo perciò la causa indiretta della sua caduta nei reami inferiori. (st.48) 
Quella persona è estremamente gentile con noi, mentre noi siamo la causa della sua sofferenza futura, quindi invece di essere arrabbiati dovremmo provare compassione ed esserle grati. (st.49)
Noi siamo gli strumenti per mezzo dei quali essa accumula karma negativo, ma poiché non ne abbiamo l’intenzione noi comunque non ne creiamo.
Cercare di ricambiare il danno ricevuto non servirebbe né a proteggere noi stessi né a proteggere altri, ma solamente a deteriorare la nostra pratica, mentre se pratichiamo la pazienza manterremo puri i nostri voti, miglioreremo la nostra pratica e in questo modo proteggeremo noi stessi. (st.51)
Con queste riflessioni non si vuol dire che non si deve cercare di allontanare la sofferenza: quando circostanze spiacevoli non volute ci si presentano, dobbiamo provare a evitarle.
 
Se i genitori ci chiedono di essere gentili e di aiutarli non si deve rifiutare, ma occorre analizzare le loro richieste e, se è nelle nostre possibilità, dobbiamo fare di tutto per realizzarle. Se però ci dicono di non ascoltare gli insegnamenti e di non praticare il Dharma non dobbiamo ubbidire, anche se è necessario agire con saggezza e tatto. È molto importante essere in buoni rapporti con i propri genitori. Io non ho avuto una buona relazione con loro quando ero piccolo, prima che cominciassi a studiare il lam-rim, poi crescendo la mia attitudine è cambiata, ma ormai erano morti. Con i nostri genitori dobbiamo essere chiari e spiegare quello che facciamo, affinché comprendano il significato del Dharma. Dobbiamo trattarli con gentilezza e amore. I genitori devono rendersi conto che il proprio figlio incrementa le proprie qualità con la pratica del Dharma, perciò bisogna darne prova attraverso azioni e comportamento e, se sono cristiani, dobbiamo spiegare loro che, come nel cristianesimo, anche nel buddhismo si cerca di evitare di compiere azioni negative. Spesso succede che i genitori pensano che il proprio figlio sia impazzito quando segue un altro sentiero spirituale, e sta a lui invece dimostrare di essere migliorato. Avendo una buona relazione con i genitori, avremo successo in ciò che facciamo, saremo più felici nella vita e avremo utilizzato al meglio quella sorgente di meriti. In relazione a un rapporto difficile con nostra madre, bisogna cominciare con l’essere in pace con lei. Se siamo noi l’oggetto delle sue lamentele dobbiamo riflettere e, se risultano giustificate, dobbiamo accettarle e non comportarci più come prima. Ci sono poi delle situazioni in cui non possiamo essere capiti o farci capire: evitiamole! L’importante è avere una mente e un cuore positivi. Le azioni degli altri dipendono anche da coloro con cui vengono in contatto, perciò come noi agiamo è importante. Pari meriti si creano offrendo del burro ai Tre Gioielli o ai genitori, ed è stato spiegato che entrambi gli oggetti sono ‘campi di meriti’. Tutti noi sappiamo che l’odio e la rabbia sono veramente negativi, ma non sappiamo come eliminarli e come cambiare attitudine mentale. L’odio è la causa di ogni conflitto, di ogni separazione: tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici, tra gruppi di una stessa nazione, tra le nazioni stesse. Anche se una persona possiede molto non può essere felice se ha della rabbia. Possiamo ricavare dalla nostra esperienza come essa porti infelicità. C’è qualcuno tra noi che è contento quando si arrabbia? La pace nel mondo è contrastata dall’odio. Sua Santità il Dalai Lama è stimato anche in Occidente perché mostra il sentiero della pace, dicendo che non bisogna creare in alcun modo danno agli altri, ma convivere in armonia. Se smettiamo di danneggiarci reciprocamente e cerchiamo invece di aiutarci, questo porterà pace. Quando una casa prende fuoco, possiamo spegnere l’incendio e il danno non sarà eccessivamente grave, ma se non lo facciamo la casa brucerà completamente; allo stesso modo ci sono metodi per controllare e distruggere l’odio, e se non li applichiamo esso ci annienterà. I consigli di Shantideva sono stati lasciati come testamento per coloro che sarebbero venuti dopo di lui, che dalla conoscenza del suo testo avrebbero tratto beneficio. Poiché la nostra mente non è fisica non può essere danneggiata. Noi diciamo che il male inferto dagli altri danneggia il nostro corpo, ma le parole dure o la mancanza di rispetto o ciò che gli altri non fanno non provocano dolore fisico, e allora perché ci arrabbiamo? (stt.52-53)
Se siamo persone irascibili ciò sarà la causa per non essere amati dagli altri, che avranno paura di venire da noi, ci eviteranno, e non ci saranno amici. È molto meglio morire piuttosto che avere una lunga vita in cui i mezzi di sostentamento sono stati ottenuti ingannando gli altri. (st.56) Il modo migliore di lasciare questa vita è quello di non portare con noi tanto karma negativo. Dobbiamo quindi utilizzare i metodi che ci permettono di purificare il karma negativo e di accumulare karma positivo, così quando moriremo saremo contenti e sereni, proprio come risultato della pratica del Dharma; anche la felicità delle vite future dipenderà da ciò, e la sperimenteremo se avremo una rinascita fortunata, altrimenti proveremo sofferenza. Se una persona sogna di avere avuto cento anni di felicità e un’altra di aver avuto solo un giorno di felicità, al risveglio per loro la felicità sarà solo un ricordo e in quel momento non ci sarà differenza tra le due. Lo stesso vale per chi ha avuto una vita felice per cinquant’anni o per uno solo: al momento della morte sia in un caso che nell’altro la felicità non ritornerà più. (stt.57-58)
Anche se si è stati felici per molti anni accumulando enormi ricchezze, al momento della morte non si potrà portare nulla con sé, come se si fosse stati derubati dai ladri. (st.59) Se una persona accumula possedimenti giustificando questo con i buoni propositi di avere l’opportunità di accumulare karma positivo e di purificare quello negativo, ma si arrabbia proprio per ottenere quelle ricchezze, distruggerà i meriti creati e collezionerà nuove impronte negative, e questo è senza senso. (st.60)
Il motivo per cui viviamo è di godere di vari benefici, ma se questi stessi li distruggiamo, che ragione c’è allora di vivere? La vita di chi si impegna nel Dharma, cioè eliminando i difetti mentali e praticando ciò che è positivo, sarà molto utile, ma chi al contrario vive commettendo azioni negative creerà solo danno per se stesso, e una vita trascorsa così è inutile. (st.61)
I bodhisattva pregano affinché le persone che commettono molto karma negativo non vivano a lungo, in modo che non abbiano l’occasione di creare molte cause per la loro stessa sofferenza. È sbagliato pensare che sia giusto arrabbiarci con chi ci diffama e che allontana da noi le persone che prima ci stimavano, perché se ci arrabbiamo e raccontiamo l’accaduto ad altri, allora anche noi lo allontaniamo dai suoi amici, comportandoci così allo stesso modo. Ugualmente non ha senso arrabbiarci con chi ha un comportamento irrispettoso verso di noi, e sopportare invece pazientemente quello rivolto ad altri, perché in entrambi i casi ciò è causato dal sorgere di concezioni disturbanti. (st.63)
Anche dire, d’altra parte, di poter sopportare tutte le parole spiacevoli rivolte a noi ma non quelle rivolte a Dio, ai Buddha, al Dharma, al Lama, per le quali ci sentiamo autorizzati ad arrabbiarci, è un modo irragionevole di pensare, perché essi non verranno minimamente toccati dagli insulti: nessuno può far loro del male. (st.64)
Invece di rabbia dovremmo provare compassione verso chi parla in quel modo, perché sta accumulando karma negativo. Quando ci arrabbiamo abbiamo sempre molte ragioni per giustificarci, ma se le esaminiamo bene vediamo che sono illogiche. Se qualcuno fa un torto al nostro Maestro o ai nostri amici dovremmo pensare che si è creata questa situazione a causa di uno specifico karma. (st.65)
Gli oggetti che ci possono danneggiare sono di due tipi: quelli animati, che possiedono una mente, e quelli inanimati, che ne sono privi. Di solito non ci arrabbiamo con questi ultimi, ma con i primi sì; perché? Se stiamo attraversando un fiume e la forte corrente ci porta via non ci arrabbiamo con la corrente, ma pensiamo di non essere stati abbastanza saldi e forti, e se scalando una montagna si produce una frana non ci arrabbiamo con le pietre. Perché, se non lo facciamo con cose che non hanno mente, ci arrabbiamo con chi la possiede? Se ci sono ragioni valide per la nostra rabbia, dovremmo provare collera con tutti e due i tipi di fenomeni. (st.66)
Ancora una volta, quello che si cerca di mettere in rilievo è la parzialità delle nostre ragioni, la loro illogicità. Non dovremmo neanche arrabbiarci quando qualcuno fa del male o degli sbagli: lo fa per ignoranza e, se anche noi ci arrabbiamo per ignoranza, chi è con o senza errore? (st.67)
Quando ci arrabbiamo non pensiamo mai di essere stati noi a sbagliare. Se qualcuno ci fa del male è perché noi stessi nel passato abbiamo commesso azioni negative di quel tipo; quindi non dobbiamo provare rancore, ma pensare che quanto ci succede è il loro frutto. Se non vogliamo soffrire dobbiamo domandarci: “Perché ho creato tutto questo karma negativo?” (st.68)
Dovremmo allora generare solo pensieri amorevoli verso gli esseri, e fare esclusivamente ciò che è positivo e che è causa di felicità. (st.69)
Coloro che coltivano amore e compassione non possono generare odio. L’odio ha un potere di distruzione, dovuto alla sua energia, forte come la bomba atomica, mentre ci possono essere oggetti molto più grandi di questa senza lo stesso potere distruttivo. La fede e le attitudini corrette possiedono invece una enorme forza virtuosa: un solo istante di fede può fare accumulare molto karma positivo. Comunque i quattro poteri opponenti, se applicati intensamente, possono farci purificare tutto il nostro karma negativo, non importa quanto ne abbiamo accumulato nel passato e per quanto tempo. Quali che siano i problemi o le circostanze spiacevoli in cui ci troviamo, dobbiamo addestrarci a sopportarli. Quando incontriamo qualcuno che ci danneggia dobbiamo essere tolleranti, riflettendo che è spinto dai difetti mentali, che tutto è dovuto al nostro karma, e che gli altri non ne sono che lo strumento: la vera causa della nostra sofferenza siamo noi stessi. Se consideriamo una colpa il fatto che qualcuno danneggi gli altri o noi, allora dobbiamo per lo stesso motivo considerare una colpa il nostro voler rendere il male ricevuto. Se invece di arrabbiarci generiamo pazienza, chi ci vede penserà che stiamo agendo in un modo giusto e ci giudicherà positivamente. Quando qualcuno ci insulta, se analizziamo vediamo che le sue offese non ci danneggiano fisicamente, quindi possiamo sopportarle ed essere tolleranti. Di solito non ci arrabbiamo con una persona che provoca un danno a un estraneo, ma lo facciamo sicuramente se esso è diretto a chi ci è caro, a causa del nostro attaccamento, che però non è una ragione valida per la rabbia. In questo caso il sentimento di odio passa dal nostro attaccamento e si espande, come un fuoco viene alimentato se trova la paglia o il legno. Quindi appena ci rendiamo conto che stiamo per arrabbiarci su quella base, occorre rimuovere l’odio dalla mente. (stt.70-71) Quando a un condannato a morte la pena viene commutata nella sola amputazione di una mano, questa sarà considerata una situazione fortunata, anche se normalmente non lo è di certo. Allo stesso modo dobbiamo considerare le sofferenze della vita come una fortuna, perché ce ne evitano di peggiori in futuro. (st.72) Se non siamo in grado di sopportare sofferenze relativamente piccole come quelle attuali, perché non sradichiamo dal cuore la rabbia, che è la causa di sofferenze successive ben più grandi? È veramente sensato da parte nostra evitare di creare cause di dolore molto maggiore. (st.73)
Se nel praticare la pazienza sperimenteremo delle difficoltà vale la pena di affrontarle, visto che nelle vite passate ne abbiamo sopportate di enormi senza scopo. (st.74)
Ora invece abbiamo una ragione valida. Quanto abbiamo sopportato nel passato non è stato di utilità né per noi né per gli altri, ma ora dobbiamo rendere fruttuose e significative le sofferenze di questa vita per realizzare il beneficio nostro e altrui, così che dobbiamo essere felici nell’accettarle e sperimentarle. (st.75)
Siamo felici quando qualcuno loda noi o i nostri amici più cari, e perché non proviamo lo stesso sentimento se viene elogiato un nostro nemico? La persona che lo fa prova grande gioia, poiché trova in lui delle buone qualità, e allora perché non ci uniamo anche noi a queste lodi, rendendo così anche la nostra mente felice? (st.76)
Il piacere che si prova quando lodiamo gli altri è valido, ed è apprezzato dai buddha. (st.77)
Avere un’attitudine amorevole è il modo migliore per trovare amici: se noi ameremo gli altri piaceremo loro e saremo riamati, mentre non succederà se saremo colmi di ostilità. Se non vogliamo quella gioia del porgere lodi perché esse fanno felici altri, per la stessa ragione non dovremmo pagare i nostri operai, perché sono loro a esserne contenti, ma alla fine ci rimetteremmo noi perché non resterebbero più al nostro servizio e accumuleremmo inoltre karma negativo, che sarà per noi causa di future sofferenze. (st.78) Non desiderando che il nostro nemico sia felice, dovremmo non volerlo per nessuno. Se qualcuno ci loda non siamo intolleranti ma contenti, sia per la gioia che proviamo noi sia per quella della persona che ci elogia, ma quando questo succede a un nostro nemico non sopportiamo né la felicità che sperimenta chi loda né la felicità del nostro nemico, e questa è una contraddizione. (st.79)
Chi loda un nostro nemico è felice, altrimenti non lo farebbe, e lo stesso nostro nemico prova felicità nell’essere lodato. Perché non dovremmo allora gioire per la soddisfazione di queste due persone? Noi abbiamo già il desiderio di generare bodhicitta, la mente che aspira all’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, auspicando di realizzare un giorno tutto ciò che gli esseri desiderano e di evitare loro tutto ciò che non vogliono. Ora, se qualcuno ottiene qualcosa che lo rende felice senza il nostro sforzo, perché ci dovremmo arrabbiare? (st.80)
Diciamo che desideriamo che tutti gli esseri abbiano la più grande felicità e che siano liberi da tutte le sofferenze, ma poi quando ottengono una minima felicità ci arrabbiamo, e anche questo non ha senso. (st.81)
Se ci dobbiamo occupare di un bambino e questi dopo un certo tempo riesce a essere indipendente, dovremmo esserne lieti. Allo stesso modo, quando gli altri riescono a ottenere un po’ di felicità da soli dovremmo esserne contenti, anche se abbiamo promesso di assumerci noi la responsabilità di realizzare la felicità di tutti gli esseri. (st.82)
Se non siamo in grado di sopportare quella piccola felicità che gli esseri si procurano senza il nostro aiuto, come possiamo dire che aspiriamo ad avere bodhicitta e a raggiungere l’illuminazione per fare in modo che tutti gli esseri ottengano questo stesso stato di risveglio? (st.83) Se una persona si arrabbia per un pò di gioia che un’altra può avere, allora non possiede bodhicitta. Quando il nostro nemico ottiene un aiuto da un benefattore non ne siamo contenti, ma non c’è ragione di essere infelici o gelosi poiché, sia che un dono venga regalato al nostro nemico oppure rimanga a casa del suo benefattore, noi non lo possediamo comunque. (st.84)
Se riceviamo ricchezze o fama siamo felici, se è il nostro nemico a riceverle ci arrabbiamo e proviamo invidia, con il risultato che la rabbia distrugge i nostri meriti e le cause stesse per ottenere fama e ricchezze. Dovremmo arrabbiarci con noi stessi per aver in questo modo distrutto proprio le cause capaci di farci ottenere quanto desideriamo. (st.85)
Se siamo poveri e proviamo gelosia e rabbia verso le persone ricche, questi sentimenti non ci faranno arricchire, anzi distruggeranno qualsiasi nostra possibilità di ricchezza futura, perciò dobbiamo evitare quei fattori mentali negativi che ci impoveriscono delle sue cause. Se qualcuno è ricco dobbiamo comprendere che lo è per i suoi meriti, e se desideriamo la ricchezza anche per noi dobbiamo trarre ispirazione da loro per accumulare meriti a nostra volta. Ottenere ricchezza dalla pratica della generosità è una valida relazione di causa-effetto. È scritto che le persone troveranno felicità nella ricchezza che deriva dalla pratica della generosità, e Buddha spiega che è importante attuarla. Tutti desideriamo la felicità e la ricchezza, ma non tutti coloro che si sforzano in questo senso ci riescono, perché entrambe dipendono dalla specifica accumulazione virtuosa. Volendo ottenere in futuro una preziosa rinascita umana dobbiamo osservare la moralità, desiderando la ricchezza dobbiamo praticare la generosità. A noi piace sentire parlare dei reami umani e dei deva perché sono situazioni fortunate, mentre non amiamo le descrizioni dei reami inferiori, ma ciò viene fatto per ricordarci di non cadervi, così da evitare di crearne le cause, il karma negativo, e se non ne abbiamo prodotto non potremo mai rinascere in un reame sfortunato. Shantideva è un bodhisattva, la cui unica preoccupazione è che tutti gli esseri siano felici, e l’unico motivo per cui ha scritto tutto ciò è che questo si realizzi davvero. Se non sentissimo mai parlare dei reami inferiori e in tutta la vita avessimo accumulato solo karma negativo, poiché un giorno moriremo senz’altro dovremo cadere in questi stati di esistenza sfortunati pur non avendoli mai sentiti nominare. Il karma positivo darà invece come risultato una rinascita nei reami fortunati. Tra i deva esistono vari livelli di esistenza, come quelli del reame del desiderio, della forma e del senza-forma, e in ognuno di essi ci sono varie suddivisioni. Lo stesso è per i reami inferiori, ma non ne parlerò perché penso che non vi piacerebbe, comunque affermare che non esistono gli inferni e i reami dei deva equivale a dire che non esistono altre nazioni oltre l’Italia! Possiamo anche non credere agli inferni perché non li vediamo, ma non possiamo negare l’esistenza del regno animale. Guardiamo le formiche: desiderano ottenere qualcosa da mangiare, e se lasciamo un po’ di zucchero o miele accorrono in massa, ma non vogliono soffrire e quando fa freddo o piove si rifugiano sottoterra, non perché a loro piaccia ma perché ci sono costrette. Gli animali soffrono per non riuscire a trovare riparo, cibo o da bere, e così anche noi. La loro sofferenza e la nostra dipendono dalle impronte negative create e quindi è possibile che ci siano gli inferni, perché se ci sono esseri che per il loro karma devono sperimentare questi tipi di sofferenza, automaticamente simili posti vengono a esistere. In ogni caso, se non creiamo karma negativo ma solo positivo, anche se gli inferni sono una realtà non dobbiamo preoccuparcene. Ora comunque siamo esseri umani e abbiamo una mente intelligente che sa discernere. Il mondo intero può avere felicità o sofferenza a causa della mente, anche essere soddisfatti o meno accade in dipendenza della mente, che perciò è così potente ed utile che non deve essere sprecata, ma usata nel modo giusto. Poiché vogliamo la felicità dobbiamo crearne le cause, e poiché non vogliamo la sofferenza dobbiamo evitare le cause che ci porterebbero a sperimentarla. E accumulando solo karma positivo si arriverà al punto in cui avremo solo felicità. Tra le pratiche che vengono insegnate nel Dharma, dobbiamo prima scegliere quelle alla nostra portata, poi a poco a poco, quando otterremo dei risultati, potremo fare sempre di più, fino a riuscire a praticarle tutte. Quando il nostro nemico sta soffrendo siamo contenti, ma non è il desiderare che incontri delle difficoltà a causargli problemi o infelicità. (st.87)
E anche se i nostri desideri in questo senso si avverassero, che cosa ne ricaveremmo? Possiamo rispondere che non otteniamo nulla dalla sofferenza dei nostri nemici, ma che comunque ne siamo soddisfatti. Ora, questo tipo di mente è infima ed è un’attitudine che danneggerà noi stessi. (st.88)
Essa deriva dai nostri stessi difetti mentali che ci hanno gettato l’amo, e se noi abbocchiamo siamo come pesci che vengono catturati con un’esca dal pescatore: il pescatore sono i difetti mentali, l’amo è il nostro karma, noi siamo i pesci. Catturati dai difetti mentali, saremo gettati a cuocere nei calderoni degli inferni.(st.89)
Godere della sofferenza dei nemici è un’attitudine spregevole ed equivale al godere della nostra stessa sofferenza. Possiamo pensare di arrabbiarci con il nostro nemico perché distrugge la nostra fama e il nostro onore, ma che cosa c’è nelle lodi e nella fama di tanto importante? Non si trasformano in meriti, non ci allungano la vita, non ci danno forza, né libertà dalla malattia, né felicità fisica. E allora cos’hanno, per giustificare l’accumulo di karma negativo attraverso la rabbia? (st.90) Se diciamo che la fama e la lode ci danno un po’ di felicità mentale, allora dovremmo dedicarci al bere e al gioco, che però normalmente non sono considerati strumenti per la felicità. (st.91) Fama e lode non sono che parole, e queste non recano alcun vantaggio: quando saremo morti a chi faranno piacere? (st.92) I bambini piangono quando i loro castelli di sabbia vengono distrutti e crollano, e quando soffriamo perché la nostra fama svanisce siamo simili a loro. (st.93)
Le parole di elogio non producono niente, sono solo suoni, e non hanno nessuna intenzione di lodarci. Se qualcuno ci loda forse ci fa apparire in una luce migliore e ne sarà felice, ma che cosa ricaviamo noi dalla sua gioia? (st.94) Che altri siano felici mentre ci lodano non ci arreca niente, perché non possiamo ottenere una fetta della loro gioia, e anche se diciamo che siamo felici perché colui che ci loda è contento, allora dovremmo esserlo anche quando qualcuno loda un nostro nemico, ma questo non succede, perciò la nostra non è una ragione valida. (st.96) Essere felici di ricevere lodi è un’attitudine infantile, inoltre in genere esse distraggono la mente, indeboliscono la nostra disillusione riguardo l’esistenza ciclica e fanno sorgere orgoglio, con il risultato che ci dimenticheremo di essere solo degli esseri che vagano nell’esistenza ciclica e non ci ricorderemo più degli altri, della compassione e delle attitudini positive. Con l’invidia, poi, per le qualità degli altri, distruggeremo le nostre virtù e i nostri meriti. Lodi e fama, quindi, sono esclusivamente di danno. (stt.97-98)
Non solo non dobbiamo arrabbiarci col nemico che distrugge la nostra fama, ma dobbiamo essergli grati perché ci sta proteggendo dal cadere nei reami inferiori. (st.99)
Visto che desideriamo la libertà, dovremmo essere grati ai nostri nemici che ci privano di guadagni materiali e onori, catene che ci legano all’esistenza ciclica. Essi tagliano queste catene distruggendo la nostra fama, e ci impediscono così di entrare nella casa della sofferenza più atroce. (st.100)
Coloro che desiderano causarci sofferenze sono simili a Buddha che concedono onde di benedizioni, e non dobbiamo essere in collera con chi blocca per noi la porta attraverso cui migreremmo nei reami inferiori. (st.101)
Potremmo obiettare che fama e onore sono cose mondane, e che invece è giusto arrabbiarci se siamo ostacolati nella pratica del Dharma, ma anche questo è scorretto, perché in ogni caso non c’è migliore opportunità per accumulare meriti che la pratica della pazienza. Non sempre può capitarci di farlo, e allora non sprechiamo le occasioni che ci vengono offerte. (st.102)
Se qualcuno ci fa del male e noi non siamo in grado di praticare la pazienza è solo un nostro errore non sfruttare la situazione e, se in questi casi lasciamo esplodere la rabbia, ci creeremo da soli degli ostacoli all’accumulazione di meriti. Il nemico non è un impedimento per la pratica della pazienza, ma ne è la causa. (st.103) (Ghesce-la chiede se il nemico ci aiuta, e una ragazza riporta la sua esperienza secondo la quale l’odio brucia tutto e non dà vita a nulla.) La sofferenza che sentiamo non è causata dal nemico: anche se questi ci danneggia, se non ci si arrabbia non si sarà infelici. Finché non acquisiamo familiarità con questi ragionamenti, ci verrà spontaneo provare rabbia. Comunque, se trasformiamo un nemico in amico non c’è pericolo che gli amici diventino invece nemici! Tutti gli esseri, anche nell’aspetto di persone che ci creano problemi, sono gentili con noi, perciò dobbiamo abbandonare la mente che sente lontani i nemici e vicini gli amici e realizzare l’equanimità, così da riuscire a eliminare l’odio per gli uni e l’attaccamento per gli altri. Prima di considerare che tutti gli esseri sono stati nostra madre, dobbiamo sviluppare questa attitudine di equanimità, che è alla base anche dell’altro metodo per generare bodhicitta, ‘Scambiare se stessi con gli altri’. Per costruire una casa abbiamo bisogno di buone fondamenta, e in questo caso l’equanimità lo è per lo sviluppo dell’attitudine mahayana. È bene aver potuto anche solo riflettere su come i nostri nemici siano di fatto nostri amici: in questo modo è realizzato lo scopo che Shantideva si era proposto componendo questo capitolo, anche se lo ha fatto molto tempo fa e ne veniamo in contatto e ne traiamo beneficio appena ora. Al momento riusciamo a considerare i nemici come amici solo col ragionamento, ma con l’abitudine riusciremo spontaneamente a vedere come amico anche chi ci danneggerà. Dobbiamo pregare i Tre Gioielli, purificare il karma negativo, accumulare karma positivo, e in questo modo riusciremo a progredire: se non ci sforziamo gradualmente sempre di più, non potremo migliorare. Negli ‘Otto versi dell’addestramento mentale’ è detto: “Possa io considerare come il mio migliore Maestro, il più prezioso, colui che irragionevolmente, in cambio del bene che gli ho fatto, mi ricompensa danneggiandomi”. Come l’abate e gli altri monaci sono di aiuto per prendere l’ordinazione e diventare monaci, così un nemico è di aiuto nella pratica della pazienza e non un ostacolo. (stt.104-105)
Generalmente non è difficile trovare qualcuno verso il quale essere generosi, poiché ci sono tante persone bisognose, ma è difficile trovare chi possa funzionare come oggetto della pratica della pazienza. In genere nessuno ci fa del male se non siamo stati noi stessi a danneggiare, ma se troviamo qualcuno che ci danneggia senza che noi abbiamo fatto nulla, questa è un’ottima occasione che ci capita, senza che facciamo nessuno sforzo. (st.106)
Se in casa scoprissimo un tesoro saremmo estremamente felici, anche se in effetti i gioielli non sono poi molto importanti, visto che li si può usare soltanto finché siamo in vita. Se invece incontriamo un nemico e riusciamo a praticare la pazienza nei suoi riguardi essendo così in grado di perfezionarla, allora questo sarà uno dei fattori che ci permetterà di raggiungere l’illuminazione. (st.107)
“E se il nemico è la causa del mio ottenimento della perfezione della pazienza e questa a sua volta lo è della mia illuminazione, dovrò dare il primo frutto a lui, che mi ha spinto verso la pratica”. (st.108)
Potremmo obiettare che il nemico non ha alcuna intenzione di agire come causa per il nostro sviluppo della perfezione della pazienza, e che non c’è dunque ragione di ricambiarlo in quel modo. Ma anche il Dharma, uno dei cui aspetti è la cessazione della sofferenza, che è un fenomeno permanente, non ha alcuna intenzione di beneficiarci. Allora perché lo veneriamo e lo facciamo oggetto delle nostre preghiere? (st.109)
La ‘Nobile verità del sentiero’ non ha mente, non ha volontà, ma è comunque una causa per il raggiungimento dell’illuminazione, perciò dobbiamo fare offerte e rendere omaggio al Dharma, per il fatto che ne è degno. Anche a questi insegnamenti, nella forma di testi, porgiamo normalmente rispetto e venerazione, e non dovremmo allora averne perché non hanno mente? Gli oggetti delle nostre offerte sono le statue e le immagini che rappresentano il corpo di Buddha, le scritture che ne rappresentano la parola e gli stupa che ne rappresentano la mente. Potremmo dire che essi non hanno alcuna intenzione di beneficiarci ma neppure di danneggiarci, al contrario dei nostri nemici. Ma se questi ultimi avessero solo desiderio di beneficiarci e non l’intenzione di danneggiarci, come potremmo praticare la pazienza nei loro riguardi? Non sarebbero nemici e noi non potremmo non arrabbiarci. (st.110)
Per il fatto che ci danneggiano possono essere oggetti della nostra pazienza, e non solo dovremmo praticare questa, ma tutto il Dharma. (st.111)
Bisogna sfruttare al massimo tale preziosa occasione di riflettere su queste cose, imparando da altri, come i buddha e i bodhisattva, e prendendone esempio per essere poi noi stessi a praticare. Ci sono due tipi di vantaggi che possiamo ottenere: temporanei e a lunga scadenza; riguardo ai primi, poiché siamo nel samsara dobbiamo ricavarne il meglio, ma a lunga scadenza dobbiamo cercare di dedicare tutta la nostra energia per ottenere la buddhità. Il Buddha ha insegnato che ci sono due oggetti per la produzione di meriti: i Tre Gioielli e gli esseri senzienti. Il nemico, chi ci danneggia, è tra gli esseri senzienti e se ci arrabbiamo con lui usiamo male questa opportunità e accumuliamo karma negativo; se invece pratichiamo la tolleranza nei suoi confronti accumuliamo karma positivo, che è il compito principale di un seguace del sentiero spirituale. Per i Tre Gioielli abbiamo rispetto e fede e comprendiamo che sono una base di accumulazione di meriti, ma non consideriamo come ciò valga anche per gli esseri senzienti. Che motivo abbiamo per ragionare così? (st.113)
Siccome entrambi sono campi di accumulazione virtuosa, il rispetto che nutriamo per il campo dei Tre Gioielli dobbiamo generarlo anche per il campo degli esseri senzienti. Potremmo però obiettare che essi non sono uguali relativamente alle qualità, perché i buddha ne hanno infinite mentre gli esseri no. Ma ciò che si deve intendere è che sono equivalenti in quanto basi per la produzione di karma positivo, causa dell’ottenimento dell’illuminazione. (st.114)
Accumuliamo meriti generando amore e compassione verso gli esseri, e fede e rispetto verso i Tre Gioielli; in ogni caso dobbiamo avere ugualmente rispetto per i primi, anche se le loro qualità sono solo una piccolissima frazione di quelle dei buddha. (stt.115-116)
Se una persona possiede anche una minima quantità di virtù rispetto ai buddha è degna di ricevere in offerta tutti gli universi, perché ha una parte, seppur piccola, nel farci ottenere le qualità supreme di un buddha. (st.118)
Buddha non è parziale nel donare il suo aiuto e, per ripagare la sua gentilezza, dobbiamo rispettare tutti gli esseri senzienti, che sono gli oggetti del suo beneficiare. Egli ha ottenuto questo stato preoccupandosi della loro felicità, e anche quando era bodhisattva li aveva come oggetto della propria bodhicitta. Il modo migliore per ripagare i buddha, perciò, è servire e prendersi cura degli esseri, ai quali hanno completamente dedicato le loro esistenze. (st.119)
I buddha hanno offerto molte volte le loro vite e sono rimasti nel samsara per un numero infinito di eoni solo allo scopo di aiutare gli esseri, e anche noi per mostrare gratitudine dobbiamo trattarli con rispetto, anche se dovessero danneggiarci, trasformando quest’occasione in accumulo di meriti attraverso la pratica della pazienza. (st.120)
Anche a costo della propria vita i buddha si sono preoccupati del beneficio degli esseri e noi, così pieni di orgoglio, ci consideriamo invece tanto importanti da ignorarli. Ma non dobbiamo più comportarci in questo modo e pensare al contrario di dedicare loro la nostra vita. (st.121)
I buddha sono felici quando gli esseri sono felici, e se noi li danneggiamo indirettamente danneggiamo i buddha. È come se volessimo compiacere una madre, ma nello stesso tempo facessimo del male a suo figlio. Una madre ama il suo bambino, e se noi lo aiutiamo ella ne sarà contenta, mentre soffrirà se gli facciamo del male. Allo stesso modo i buddha, che si sono completamente dedicati agli esseri, saranno compiaciuti se pure noi li beneficiamo. (st.122)
Se una persona ha il corpo avvolto dalle fiamme e noi le offriamo dell’ottimo cibo, di sicuro non sarà in grado di apprezzarlo, similmente se da una parte facciamo offerte ai buddha e desideriamo compiacerli e dall’altra trascuriamo gli esseri e non ne abbiamo compassione, questa è una contraddizione, un comportamento non appropriato, e dobbiamo correggerlo: bisogna rendere omaggio ai buddha prendendosi cura degli esseri. (st.123)
Un re chiese a Nagarjuna: “Come è possibile che io assolva a tanti obblighi e responsabilità per guidare il regno e non trovi il tempo di praticare il Dharma? Cosa mi consigli? Poiché ho reso infelici i buddha col danneggiare e trascurare gli esseri, ora confesso e purifico queste mie azioni errate. Possa essere perdonato qualsiasi dolore io abbia provocato ai buddha per aver agito così. Siccome, definitivamente, il fatto di aiutare gli altri compiace i buddha, io cercherò di fare il loro bene, di diventare loro servitore e, avendo promesso questo, anche se mi dovessero picchiare sopporterò il danno. Possano i buddha essere felici per questa mia pratica”. (stt.124-125)
I buddha hanno tanta compassione che pensano costantemente di alleviare la sofferenza e procurare la felicità a tutti, e questo senso di responsabilità è loro proprio nonostante non abbiano alcun concetto di ‘vero’ io. (st.126)
Non ho nessun dubbio, comunque, sulla presenza di una attitudine altruistica e compassionevole anche in voi. Noi cerchiamo di compiacere Buddha con offerte rituali o di fiori, di luce, di preghiere, ma non dobbiamo tralasciare di avere compassione per gli esseri e di aiutarli, e se siamo in grado di fare ciò faremo felici anche i buddha. Inoltre, rendendo felici gli esseri si alleviano le loro sofferenze, quindi è necessario mettere sempre in pratica questo metodo. E ciò nel nostro stesso interesse, perché è una causa per ottenere l’illuminazione. (st.127)
Se un ministro o un membro di una famiglia reale causa dei danni ad altre persone, queste se sono lungimiranti non si vendicheranno, perché facendolo incorrerebbero nella collera del re, e per evitarla sopportano il male ricevuto. Infatti, rivoltandosi contro uno dei suoi protetti indirettamente si metterebbero contro di lui. (st.128)
Non dobbiamo sottovalutare una persona indifesa o una persona che ci danneggia, perché non solo questi esseri deboli sono sostenuti dai guardiani degli inferni, ma anche dai buddha. (st.129)
Come dobbiamo sopportare i danni causati dagli uomini di un re dispotico perché sappiamo che questi potrebbe causarci ulteriore sofferenza, allo stesso modo dobbiamo sopportare le cattiverie degli esseri malvagi. (st.130)
Comunque un tiranno al massimo potrà danneggiarci fisicamente, ma non mandarci negli inferni. Al contrario, vendicandoci per i danni subiti dagli altri, dovremo poi sopportare la sofferenza di una rinascita nei reami inferiori. (st.131)
Compiacendo quel re non otterremo lo stato di un buddha, compiacendo gli esseri senzienti sì, e anche nella vita incontreremo circostanze favorevoli e troveremo amici, perché le persone che stiamo beneficiando prima o poi ci aiuteranno. (stt.132-133)
Molte espressioni d’amore, però, non sono necessariamente Dharma puro ed è facile che siano mischiate con attaccamento. Gli altri esseri devono essere visti come guide, perché grazie a loro si potrà ottenere lo stato di buddha, e queste sono ragioni valide. Buddha ha detto che morire di per se stesso non è un fatto grave, né importante, ma morire senza aver mantenuto puramente la disciplina etica è qualcosa che dovremmo sentire come insopportabile. Possiamo comprendere il senso delle sue parole riflettendo che se qualcuno ci danneggia possiamo praticare la pazienza e accumulare molti meriti e, a causa di questo, ottenere una rinascita migliore, al contrario se non sopportiamo il male ricevuto e ci vendichiamo questo farà sorgere reazioni negative nell’altra persona, che a sua volta cercherà ancora di danneggiarci, inoltre avremo accumulato una grande quantità di karma negativo, che porteremo con noi morendo, e nelle vite future dovremo sopportare altra sofferenza. Se qualcuno ci insulta ci arrabbiamo, ma esaminando bene possiamo vedere che le parole cattive dalla loro parte non hanno alcun potere, e se ci sentiamo infelici dipende solo da come noi le viviamo. Se mostreremo un atteggiamento paziente, l’altra persona cambierà modo di agire. A Dharamsala c’è un ristorante gestito da una coppia di coniugi. Per molto tempo la moglie ha continuamente trattato male il marito, ma lui non reagiva mai, finché lei si è stancata e ha smesso di insultarlo. L’intolleranza crea sempre disarmonia. Se siamo in preda alla rabbia non possiamo dormire, e anche se mangiamo del cibo prelibato non riusciamo a godere del suo buon sapore. La pazienza fa invece sparire l’insonnia e l’impossibilità di gustare i cibi. Con la pratica della pazienza non solo otterremo lo stato di buddha, ma nelle stesse esistenze condizionate avremo una forma fisica attraente, una lunga vita con piaceri e agi, priva di malattie e sofferenze, o addirittura diventeremo dei monarchi universali. (st.134)
Può essere difficile all’inizio praticare la pazienza, ma con il giusto sforzo avremo dei risultati. Chi la insegna non è poi in grado di praticarla, perché insegnare è facile e praticare molto meno, ma anche solo il pensiero di essere pazienti è di beneficio. A causa dell’ignoranza noi distruggiamo la felicità e le sue cause come fossero un nostro nemico. Non sappiamo praticare la pazienza, dissipando così il karma positivo già accumulato, e fanno lo stesso le visioni errate, il non credere nei Tre Gioielli e nelle vite passate e future, e l’ignoranza riguardo al modo in cui i fenomeni esistono. Il rimedio che elimina alla radice i difetti mentali è invece la saggezza che realizza la giusta visione, la vacuità, e comprendendone l’importanza dobbiamo cercare di svilupparla. Ora abbiamo una piccola dose di amore e compassione, rivolta ad amici e parenti, ma per incrementarla ulteriormente dobbiamo prima di tutto generare equanimità nei confronti di tutti gli esseri. Siamo dispiaciuti quando le persone che ci sono care hanno dei problemi, non lo siamo se li hanno gli sconosciuti e ancora meno se li hanno i nemici, anzi in questo caso proviamo addirittura gioia. Ma la persona che ora ci appare come nemico non è sempre stata tale: nelle vite precedenti non solo è stata nostro amico ma persino nostra madre. D’altra parte i nostri amici e parenti e le persone che ci sono indifferenti nelle vite passate sono stati anche nostri nemici. Con ciò possiamo capire che tutti gli esseri, in quanto amici, nemici, estranei, sono uguali senza distinzione, e non c’è nessuna ragione per avere attaccamento per alcuni, odio per altri e indifferenza per altri ancora. Anche in un altro senso gli esseri sono uguali: tutti desiderano la felicità perché ne sono poveri, e non vogliono la sofferenza. Se dieci mendicanti venissero a chiederci del cibo sarebbe illogico darlo a uno soltanto lasciando gli altri senza, in quanto tutti sono ugualmente bisognosi. Ora, ogni essere desidera la felicità e non vuole soffrire, ma noi discriminiamo tra amici, nemici ed estranei, ricambiando qualcuno con amore e attenzioni, altri con disprezzo, altri con indifferenza, ed è un atteggiamento irragionevole. Un medico che si prende cura solo di alcuni pazienti trascurandone altri è lui stesso in errore e non i malati, che invece hanno tutti bisogno di cure. E anche tutti gli esseri sono uguali nella loro condizione di ‘malati’, nel volere la felicità e nel non desiderare la sofferenza, e siamo noi a sbagliare nel fare discriminazioni. Inoltre tutti sono uguali nei nostri confronti, in quanto ci hanno beneficiato nelle vite passate, e dobbiamo perciò provare una gratitudine imparziale. C’è ancora una ragione per coltivare ed estendere l’amore e compassione che abbiamo per amici e parenti a tutti gli esseri: con tali attitudini possiamo sviluppare la nostra mente fino ad arrivare a pensare che noi stessi, da soli, dobbiamo assumerci la responsabilità di beneficiarli tutti, così sentiremo l’urgenza di raggiungere lo stato di buddha, poiché nella nostra attuale posizione non ne siamo in grado e solo un buddha può farlo; si genererà quindi la bodhicitta. La sorgente della felicità, anche di quella più piccola sperimentata da un animale, è un karma positivo precedente. La causa della pur minima sofferenza è da attribuirsi a un karma negativo. Dobbiamo quindi sforzarci al massimo di purificare il karma negativo e accumulare quello positivo.
Un altro motivo di riflessione è che tutta la felicità deriva dall’aver beneficiato gli esseri, mentre tutti i problemi derivano dall’averli danneggiati e dal non essere stati gentili con loro. Quindi dobbiamo aiutarli, e se al momento non ne siamo capaci dobbiamo almeno evitare di arrecare loro del danno, perché se non siamo in grado di creare positività dobbiamo almeno evitare di produrre negatività, altrimenti pur possedendo molti mezzi materiali saremo ugualmente infelici. Tutta la felicità che desideriamo si può ottenere solo con la pratica spirituale, perciò dobbiamo impegnarci in questa. C’è una grande differenza tra due persone che subiscono un danno, se l’una è un praticante spirituale e l’altra no. La prima non si sentirà angosciata perché comprende che chi le sta facendo del male è oscurato dai suoi difetti mentali, mentre la seconda sarà molto infelice, non essendo in grado di praticare la pazienza. Quindi benché il danno sia lo stesso il risultato sarà diverso. Incontrando circostanze avverse, chi pratica il Dharma sarà in grado di sopportarle, comprendendo che sono il risultato del suo karma negativo, mentre chi non pratica avrà molta sofferenza mentale, non sapendo generare la pazienza. Purtroppo tutti dobbiamo lavorare per procurarci i mezzi di sostentamento e non è facile non tenerne conto, allora dobbiamo continuare a svolgere il nostro lavoro per quello scopo, e inoltre praticare il sentiero spirituale perché ci porti la felicità. Se, ignorando il Dharma, ci preoccupiamo solo dei possedimenti e delle gioie mondane, ne avremo un grande danno. È importante rendersi conto che nel mare, sulla terra, in cielo, vi sono moltissimi tipi di esseri e tra questi anche noi. Ma perché siamo più intelligenti di altri, per esempio degli animali? Perché abbiamo più felicità? Perché possediamo gli strumenti per ottenerne ancora di più? Perché tanta differenza? La risposta sta nel fatto che noi abbiamo creato in precedenza molto più karma positivo e quindi ora ne sperimentiamo il risultato; gli animali invece non sperimentano felicità perché non sono stati capaci di accumularne le cause appropriate. I mezzi materiali sono in grado di portare beneficio solo a breve termine, mentre la pratica spirituale ci può portare beneficio a lunga scadenza e quindi i suoi frutti non ci abbandoneranno mai. I mezzi materiali ci danno una felicità breve ed effimera, il Dharma ce ne fornisce una grande e duratura.
È necessario mettere molto più impegno nella pratica del Dharma, i cui risultati ultimi sono la liberazione personale e lo stato di completa illuminazione, ma essa procura grandi benefici anche all’interno dell’esistenza ciclica.
Se c’è qualcosa verso cui è bene incanalare i nostri sforzi e a cui porgere devozione, questo è il sentiero spirituale.
“Ghe ua di yi gniur du dag
la ma sang ghie drub ghiur ne
dro ua cig chiang ma lu pa
de yi sa la gö par sciog.”
Nei versi della preghiera finale di dedica che abbiamo appena recitato, si auspica che in tutte le vite future possiamo sempre incontrare gli insegnamenti, possiamo non essere mai separati da un Maestro perfetto che ce li trasmetta, e possiamo metterli in pratica, perché si realizzino le qualità e tutti gli stadi del sentiero fino all’ottenimento finale, l’illuminazione. Questa preghiera viene ora fatta in forma di dedica del karma positivo creato durante gli insegnamenti, affinché tutto ciò si avveri. Quando riceviamo insegnamenti, all’inizio dobbiamo generare una motivazione positiva valida, mentre li ascoltiamo dobbiamo essere consapevoli e attenti e quando sono terminati dobbiamo dedicare l’energia positiva generata, i meriti, per l’ottenimento dello scopo più alto che abbiamo intenzione di conseguire. Siamo venuti qui rinunciando alla nostra vacanza e al nostro tempo libero, ma se conosciamo i punti essenziali del Dharma, come quelli che sono stati spiegati, da questi sacrifici otterremo il massimo profitto.

Commento al 7° capitolo:
La perseveranza entusiastica

Cominciamo ora il commento al settimo capitolo, che tratta della perseveranza entusiastica, o sforzo gioioso, o apprezzamento della virtù.

Se siamo in grado di praticare la pazienza e sopportare le sofferenze e il danno causato da altri, dovremmo anche avere il desiderio di ottenere l’illuminazione per loro. Generiamo quindi lo sforzo entusiastico, senza il quale non potremo riuscirci. (st.1)
Per accendere una lampada sono necessarie circostanze favorevoli – per esempio l’assenza di vento – e lo stesso vale per le azioni virtuose e per la creazione di meriti, che non potranno essere prodotte senza lo sforzo gioioso, quella mente che prova piacere nell’impegnarsi in pratiche meritorie, e la cui natura è l’apprezzamento del karma positivo e delle virtù.
Lavorare e impegnarsi duramente negli affari non è sforzo entusiastico, con il quale si intende invece solo quello indirizzato verso le azioni positive, e il cui ostacolo è la pigrizia, che non fa apprezzare i meriti e le virtù. (st.2)
Una persona pigra non sarà in grado di praticare il Dharma, di studiare con profitto, né di avere un buon pasto, perché non sarà nemmeno capace di preparare il cibo per se stessa.
La pigrizia ha tre aspetti. 
Il primo è la pigrizia dell’attaccamento ad attività mondane, cioè l’interesse verso le negatività e il non preoccuparsi di ciò che è degno di essere fatto, ossia della pratica del Dharma. È l’attrazione per le attività non virtuose, che non portano come risultato la felicità definitiva.
Il secondo aspetto è la stanchezza, per cui pur comprendendo che nel Dharma ci sono molte cose da praticare, ci si sente senza la forza per farlo. Nel Mahayana occorre considerare che tutti gli esseri sono più importanti di noi, e si tratta di una pratica piuttosto difficile, alta: pensare di non avere la necessaria energia per impegnarsi in essa costituisce questa forma di pigrizia.
Il terzo aspetto della pigrizia è il non sentirsi in grado di fare alcune cose, non avere una buona opinione di sé, pensare di non avere né la capacità né l’intelligenza per affrontare determinati impegni, essere scoraggiati. 
Le cause della pigrizia, opponenti della perseveranza entusiastica, sono:
• il voler godere della felicità che si ottiene più facilmente, il non volere fare alcuno sforzo;
• il desiderio e l’attaccamento al sonno; 
• il non essere abili nel comprendere la propria specifica sofferenza, per cui tanto meno si riesce ad avere avversione per le sofferenze dell’esistenza ciclica in generale. (st.3)
Quando realizzeremo la natura di sofferenza del samsara, genereremo repulsione e disprezzo per essa e potremo così far diminuire la pigrizia. Su questa base, osservando tutti gli esseri, capiremo poi che anche loro come noi sono in una situazione di sofferenza e come noi desiderano liberarsene.
 
La maggior parte degli esseri di questa terra non conosce il sentiero spirituale e persino chi lo conosce non lo pratica, dal momento che alcuni non vi si sentono a loro agio e altri, pur comprendendo che devono intraprenderlo, pensano di rimandare questo momento per portare prima a termine ciò che stanno facendo. In tale situazione, pur conoscendo il sentiero e il modo di praticarlo, non lo si sa mettere a frutto.
E perché non sappiamo dedicarci completamente al Dharma fin d’ora? Perché non abbiamo una forte determinazione. 
Ciò che ci può spronare a riportare la mente alla pratica è principalmente il ricordo dell’impermanenza e della morte, poi il considerare la fortuna di avere ottenuto una preziosa rinascita umana, con la consapevolezza di avere una buona combinazione di corpo e mente che, se non si sfruttano subito, in futuro difficilmente potranno essere riottenuti. 
Grazie a questa preziosa rinascita umana possiamo conoscere e praticare il Dharma, il cui valore è molto superiore a una enorme quantità di gioielli, il più prezioso dei quali non ci potrebbe liberare dal samsara, né aiutare a ottenere lo stato di un buddha, e che comunque dovrebbe essere lasciato al momento della morte. Sulla base della nostra preziosa rinascita umana, applicando lo sforzo necessario, possiamo praticare per ottenere la liberazione e anche l’illuminazione. 
Se ci rendiamo conto di questo ma non pratichiamo il Dharma, quando lo faremo? Come un animale catturato dalla trappola di un cacciatore sicuramente morirà, così noi, catturati dalla trappola dei difetti mentali, siamo già nella bocca della morte ma non realizziamo questo pericolo e, se non ci riusciamo ora, quando potrà succedere? (st.4)
Non siamo veramente consci neanche del fatto che la morte, in molti luoghi e proprio in questo istante, sta prendendo molti esseri umani. Quanti, giovani o vecchi, inconsapevoli della morte sono andati a dormire tranquilli e sono stati sottratti alla vita! Anche noi siamo sul punto di morire e non siamo certi di quando in effetti accadrà. 
Sappiamo esprimere tutto ciò a parole, ma non è ancora parte della nostra mente, perché se lo avessimo davvero compreso non perderemmo tempo, e faremmo sempre in ogni istante qualcosa di utile. La morte è sicura e il corso della nostra vita molto incerto, e noi lo sappiamo ma non ci rendiamo conto precisamente di ciò che dobbiamo fare. Ci comportiamo come un bufalo con il suo macellaio che, pur avendolo visto uccidere altri animali, continua tranquillamente a pascolare. (st.5)
Noi non siamo coscienti di ciò che succede e sprechiamo il nostro tempo, così ogni momento che passa è un momento perso. Siamo sicuri di morire, è come se ci fosse già la strada segnata. Il ‘signore della morte’ si sta avvicinando sempre di più e, mentre noi ancora indulgiamo a mangiare e dormire, continua ad avanzare. (st.6)
La persona condannata a morte come può godere del cibo e del sonno nel poco tempo che le rimane? Se lo fa, sicuramente ci sembrerà irragionevole, ma noi ci comportiamo allo stesso modo e, con la morte che si avvicina ogni istante di più, anziché trovare una via d’uscita continuiamo a godere dei vari piaceri. Dobbiamo usare il tempo che ci resta per azioni positive, virtuose!
In Occidente la maggior parte delle persone non apprezza che si parli della morte, ma se non comprendiamo l’incertezza della vita, l’impermanenza, la certezza della morte, non potremo dedicarci alla pratica spirituale e vincere la pigrizia. La consapevolezza di queste cose è necessaria per sfruttare il tempo in modo proficuo e, avendo considerazione per le prossime vite, lavoreremo affinché siano fortunate.
Se non ci fosse un’altra rinascita dopo la morte non ci sarebbe bisogno di preoccuparsi, ma non è così: la mente continua, e dopo questa ci saranno altre esistenze, la qualità delle quali dipende dal karma accumulato precedentemente, e se vogliamo la felicità dobbiamo prepararci.
Questo corpo, ottenuto dai nostri genitori, al momento della morte dovrà lasciarci e volendo ottenere una situazione migliore dobbiamo creare karma positivo; se invece ci lasceremo andare otterremo rinascite sfortunate come cani, gatti, vermi o anche peggiori. Come uomini o deva avremo meno sofferenza e più felicità rispetto ad altri esseri. Se otterremo ancora una forma umana favorevole, allora avremo la speranza di migliorare, di poter praticare il Dharma ed eventualmente di riuscire a eliminare tutti i difetti mentali, ottenendo infine la liberazione o anche l’illuminazione.
Se non siamo abili a creare in questa vita karma positivo e a evitare il karma negativo, molto probabilmente nella prossima vita otterremo molta più infelicità, per esempio nascendo come animali, e allora sarà difficile avere la possibilità di praticare il Dharma e, invece di progredire, con quel tipo di esistenza si peggiorerà sempre più la propria condizione.
Come per la buona riuscita di una vacanza dobbiamo prepararci bene, lo stesso dobbiamo fare per le vite future, e allora non ci saranno incertezze rispetto ai risultati che otterremo; viceversa, la situazione sarà molto precaria. Ora siamo in salute ed abbiamo tempo, cosa potremo fare invece quando, malati o sul letto di morte, pur avendone il desiderio non riusciremo a impegnarci in niente e non ne avremo più il tempo? (st.7)
La morte viene improvvisamente e non aspetta nessuno, anche se avremo iniziato un lavoro che dobbiamo a tutti i costi portare a termine, e anche se avremo ancora progetti per il futuro. (st.8)
Se abbiamo praticato il Dharma, pur se la morte arriva inaspettatamente non avremo nessun tipo di rimpianto e moriremo in tranquillità, in caso contrario saremo in preda al rimorso, comprendendo che non abbiamo saputo intraprendere le azioni positive necessarie, né saputo purificare quelle negative. In quel momento il viso dei nostri parenti sarà gocciolante di lacrime e i loro occhi rossi e gonfi di dolore e, a causa del nostro karma negativo, saremo tormentati da visioni terrificanti. (st.9)
Udiremo perfino il suono agghiacciante degli inferni, il nostro corpo proverà molto dolore e non tratterremo più gli escrementi. Come potremo compiere delle azioni positive in un momento così cruciale? (st.10)
Come i pesci catturati e gettati sulla sabbia rovente si agitano in modo convulso nell’agonia e nel dolore, anche noi, memori delle azioni negative compiute, soffriremo. (st.11)
Come possiamo rimanere così rilassati e non preoccuparci di niente sapendo di aver accumulato tanto karma negativo? Se il nostro corpo non può sopportare il calore dell’acqua bollente, come possiamo immaginare di poter sopportare il calore tremendo degli inferni? Le pene che sperimenteremo nei reami inferiori saranno senz’altro maggiori di quelle della vita attuale. (st.12)
L’ustione sulla mano di un adulto provoca dolore e ancora di più sulla mano di un bambino, e chi ha commesso più karma negativo soffrirà pene ancora più intense.
Dopo avere creato tutte le cause per avere risultati di sofferenza come possiamo sentirci a nostro agio?
Non possiamo aspettarci di avere le cose che desideriamo se non mettiamo il necessario sforzo entusiastico per ottenerle. Abbiamo sperimentato molte volte la morte ed essa si avvicina di nuovo sempre di più, ciò nonostante abbiamo la convinzione che la nostra vita sia lunga e che ci rimangano ancora molti anni da vivere. Questo pensiero ci sconfigge e ci farà soffrire. (st.13)
Ora abbiamo una preziosa vita umana e possiamo ottenere qualunque cosa vogliamo se sappiamo metterla a profitto, perfino la liberazione da ogni sofferenza. Tutto ciò che desideriamo è nelle nostre mani, e se vogliamo ottenere delle situazioni favorevoli dobbiamo impegnarci e creare karma positivo: dipende da noi. La sofferenza e l’infelicità hanno cause, altrimenti ci sarebbero due alternative: o continuerebbero per sempre o non ci sarebbero affatto. E non è così, perché la sofferenza esiste, ma è impermanente, quindi ha cause, ossia le impronte mentali negative, che però possono essere rimosse con la purificazione.
Ora siamo nel samsara, simile a un oceano di sofferenza, e per attraversarlo e raggiungere l’altra sponda abbiamo una barca, rappresentata dalla nostra preziosa vita umana. Essendo molto difficile ottenere di nuovo in futuro una rinascita favorevole come questa, non dobbiamo perdere tempo e sprecarla lasciandoci dominare dal sonno e dall’ignoranza, visto che adesso possiamo realizzare qualsiasi scopo. (st.14)
La nostra mente esiste da un tempo senza inizio e i nostri difetti mentali hanno viaggiato sempre con lei: non possiamo fissare un momento in cui sia incominciata, un momento prima del quale non c’era niente.
Può essere difficile per noi stabilire come da una particolare causa si abbia un certo effetto, ma possiamo dire sicuramente che una causa positiva produce un effetto positivo e viceversa. Solo un buddha può conoscere gli effetti specifici che si possono ottenere da determinate cause, e sa che per ottenere una forma umana o come deva ci si deve basare sulla disciplina morale e per ottenere gli agi e i piaceri di questi tipi di esistenza ci si deve basare sulla pratica della generosità. D’altra parte, qualsiasi nostra sofferenza è causata solamente dal karma negativo da noi stessi creato.
Persino gatti o cani possono trovare cibo e un buon padrone, in dipendenza di un loro buon karma precedente. Essi sono nati come animali perché non hanno osservato la disciplina morale, e godono di condizioni favorevoli perché hanno praticato la generosità. Tra gli esseri umani ve ne sono alcuni ricchi, altri poveri: sono tutti uomini come conseguenza dell’essere stati in grado di praticare la disciplina etica, ma chi è povero nonostante ogni sforzo lo è perché non ha praticato la generosità. La rinascita umana è dovuta alla pratica della moralità e la condizione di povertà alla mancanza di generosità. La relazione di causa ed effetto è una cosa sicura.
I bodhisattva sono esperti nei diversi tipi di moralità, e tutte le loro attività possono essere incluse nelle sei perfezioni.
Quando si va in battaglia si indossano armature e si portano armi, così volendo praticare il Dharma dobbiamo indossare l’armatura della perseveranza e, senza indulgere nello scoraggiamento, farci sostenere dall’entusiasmo. Praticando con zelo dobbiamo controllare noi stessi. 
Chi pensa che tutti gli esseri siano uguali nel desiderare la felicità e nel non desiderare la sofferenza è considerata un’ottima persona.
È bene pensare a noi stessi, ma senza dimenticare gli altri, lasciando cioè spazio anche al pensiero che si rivolge a loro. 
Se godiamo di qualche felicità, è importante desiderare che anche gli altri possano fare altrettanto e, se sperimentiamo sofferenza, desiderare che anche gli altri possano non doverla più sopportare.
Se siamo soddisfatti per un buon pasto, generiamo il desiderio che lo stesso avvenga anche per gli altri!
Comprendendo l’importanza delle rinascite fortunate, estendiamo il pensiero anche agli altri di ottenerne una, poiché è egoistico non farlo. Se abbiamo un corpo sano sviluppiamo il desiderio che tutti possano averlo a loro volta. Sebbene tutti questi siano solo pensieri, in questo modo però si allena la mente per potersi un giorno davvero impegnare nell’attualizzare ogni tipo di azione altruistica.
Abbiamo detto che tutti gli esseri sono stati tanto gentili con noi e ci sono stati di grandissimo aiuto, perciò dobbiamo sviluppare il desiderio di ripagarli per questo. Nel capitolo della pazienza si è discusso su come anche i nemici siano stati gentili con noi. Se perfino essi possono esserci di grande beneficio, tanto più lo sono coloro che ci stanno aiutando, quindi dobbiamo ricambiare la gentilezza di tutti, e il modo migliore per farlo è cercare di liberare ogni essere dalla sofferenza e di dare loro la felicità.
Per mezzo delle due attitudini di amore e compassione è possibile sviluppare bodhicitta, grazie alla quale si può ottenere lo stato di buddha e quindi essere di massimo beneficio per tutti gli esseri. Tutto ciò non deve rimanere a livello intellettuale o verbale e, se lo interiorizziamo profondamente, potremo davvero realizzare tale tipo di mente.
Dopo aver sviluppato l’equanimità dobbiamo andare oltre e non accontentarci, riuscendo a porre gli esseri al nostro posto e noi al loro. Ora ci sentiamo più importanti degli altri, ma sviluppando l’equanimità dapprima ci porteremo al loro stesso livello, e poi li considereremo più importanti, ossia scambieremo noi stessi con gli altri. (st.16)
Una volta sviluppata questa attitudine mentale potremo perfino sacrificarci per gli altri, ed essere contenti quando qualcuno è felice, anche se noi stiamo soffrendo.
Se pensiamo di trarre profitto dagli altri esseri o di poterli anche sacrificare per ricavarne un guadagno è senz’altro scorretto, ma è proprio il nostro modo di comportarci. I pescatori vanno in mare e catturano molti pesci e crostacei, sacrificando inoltre in un giorno anche mille vermi, perché pensano di essere più importanti di loro. Attualmente siamo abituati a simili atteggiamenti, ma dobbiamo sviluppare una visione completamente opposta e sacrificare noi stessi per gli altri, anche a costo della vita, e ci sono due modi per farlo: con l’aspettativa di avere qualcosa per noi in futuro, o senza.
Ora abbiamo semplicemente il desiderio di beneficiare gli altri, ma una volta ottenuto lo stato di buddha ci riusciremo davvero. Il fatto di poter godere allora anche noi di molta felicità è secondario e risulterà come un guadagno extra. Il modo di pensare mahayana è di essere preoccupati principalmente per gli altri: qualsiasi cosa otteniamo noi è come un sottoprodotto.
Similmente, se lo scopo che ci motiva alla pratica del Dharma è di ottenere effetti positivi nelle vite future, se avremo qualcosa di buono anche in questa vita si tratterà di un risultato secondario. Buddha ha detto che le persone che si preoccupano delle vite future otterranno dei benefici anche in questa. Coltivando il grano desideriamo avere un buon raccolto, ma otterremo anche la paglia, pur non avendone avuta la specifica intenzione.
 
Nel primo capitolo si è detto che una persona che ha preso i voti del bodhisattva e ha effettivamente generato la mente di bodhicitta, anche durante il sonno crea azioni positive. Il sonno è un fattore mentale neutro e renderlo positivo o negativo dipende dalla motivazione con cui si va a dormire, ed è quindi molto importante che sia buona. Addormentiamoci ricordando i Tre Gioielli, oppure bodhicitta, o pensando alla non-esistenza intrinseca dei fenomeni. Nel Tantra ci sono numerose pratiche, e ci si può impegnare in alcune anche nel sonno.
Quando comprendiamo bene che il Dharma è l’unica cosa che vale la pena di essere praticata e in cui mettere sforzo, questa realizzazione ci eviterà ogni tipo di pigrizia. Solamente un buddha ha l’onniscienza, ossia conosce tutti i fenomeni del samsara e al di là del samsara, e li conosce come noi potremmo percepire con chiarezza una mela posta sul palmo della nostra mano. Un buddha sa anche che solo il Dharma potrà esserci di beneficio sempre, perciò ci insegna che dobbiamo praticarlo.
Non possiamo sfuggire alla morte e, se ci saremo preparati bene, in quel momento non ci preoccuperemo e ci separeremo da questa vita senza paura, altrimenti temeremo il futuro.
Non ci sono ragioni logiche per affermare che non esiste una prossima vita e non lo è certo quella di dire che non la vediamo. In Tibet è molto improbabile trovare qualcuno che neghi le vite future, perché le persone sono abituate a questo modo di pensare ed anche perché sono stati riconosciuti molti Lama reincarnati. Ci sono anche esempi di persone morte che ritornano come spiriti o in altra forma dai propri familiari e si lamentano perché non si sono presi abbastanza cura di loro. Comunque, che ci crediamo o no, fare buoni preparativi torna a nostro vantaggio: se le vite future esistono saremo a posto, se non esistono ciò che avremo fatto di positivo ci sarà stato utile in questa vita.
Prepararsi per il futuro non significa costruirsi una bella casa o accumulare denaro in banca, perché non potremo portarli con noi dopo la morte, ma significa purificare il karma negativo e accumulare quello positivo. Comunque non dobbiamo accontentarci solo di questo, perché così facendo otterremo una rinascita migliore, ma si tratterà sempre di una vita presa sotto l’influenza del karma e dei difetti mentali, inoltre finché non saremo liberi dall’esistenza condizionata non avremo ottenuto nulla di degno e di importante e nasceremo senza scelta, invecchieremo senza scelta, ci ammaleremo senza scelta, moriremo senza scelta. 
Neppure però basta desiderare la liberazione per sé, perché tutti gli esseri sono nelle stesse nostre condizioni, quindi come praticanti spirituali dobbiamo estendere il desiderio di tale ottenimento anche a loro, e avere come scopo ultimo lo stato di un buddha.
Potremmo pensare: “L’illuminazione è senz’altro valida, ma come posso io riuscire a raggiungere una meta così difficile?”. Non dobbiamo avere questo tipo di pigrizia! (st.17)
Buddha ci dice solo e unicamente la verità e possiamo credergli quando ha detto che anche mosche, api e zanzare, sviluppando lo sforzo entusiastico, possono ottenere lo stato insuperabile dell’illuminazione. (st.18)
Se nei sutra è spiegato che anche i piccoli insetti, sviluppando il vigore e lo sforzo adeguato, possono riuscirci, per noi risulta più facile, perché abbiamo ottenuto una rinascita decisamente superiore, con una mente intelligente e condizioni più favorevoli. (st.19)
Nel passato abbiamo avuto molte vite e siamo stati certamente anche zanzare, ma ora abbiamo ottenuto una preziosa rinascita umana. Se in questa vita riusciamo a sviluppare la bodhicitta, a praticare e a ottenere lo stato di  un buddha, questa è la prova di come le zanzare e gli altri animali hanno effettivamente le medesime possibilità. Infatti lo stesso Buddha era stato prima dell’illuminazione un essere ordinario come noi, e in qualche vita precedente anche un insetto, quindi quella zanzara di una vita passata poi è diventata Buddha.
Un praticante laico andò un giorno da Buddha Shakyamuni e gli chiese se precedentemente avesse accumulato qualche virtù. La risposta che ricevette fu che molte vite prima in una certa regione si ebbe una inondazione e vicino a un piccolo stupa un cavallo depose degli escrementi. Quella persona era a quel tempo una mosca e si posò sugli escrementi che, galleggiando sull’acqua, fecero il giro dello stupa: tale circostanza permise alla mosca di accumulare del karma virtuoso.
Se anche un piccolo seme di virtù come questo, creato senza consapevolezza, può essere la causa della liberazione, a maggior ragione ciò è vero per quello che facciamo intenzionalmente.
Se non siamo pigri e generiamo il giusto sforzo, sicuramente otterremo lo stato di un buddha, e abbiamo visto che per riuscirci bisogna sviluppare tutte le qualità positive, per esempio la generosità, che comprende l’offrire anche la nostra stessa vita e parti del nostro corpo. Ora, possiamo pensare di non essere in grado di fare questo, ma occorre comprendere come ‘grande’, ‘lungo’, ‘difficile’ siano tutti concetti relativi. (st.20)
Nelle vite passate abbiamo sopportato sofferenze incredibili e ciò non ha prodotto alcun risultato, mentre i piccoli sforzi che possiamo fare adesso daranno un risultato vasto, per cui riflettiamo sul fatto che tutto è relativo. Per esempio, quando siamo rinati come mucche in vite precedenti ci hanno uccisi e macellati, eppure questa sofferenza non ha dato alcun frutto, non ci ha fatto raggiungere la buddhità. (st.21)
La sofferenza che sopportiamo per ottenere l’illuminazione avrà termine, perché quando un bodhisattva ha raggiunto un certo livello anche se può apparire che patisca in realtà non soffre più, mentre la sofferenza che sperimentiamo nell’esistenza ciclica è senza fine. (st.22)
Nel caso di una malattia, per guarire siamo disposti a sottoporci a un intervento chirurgico anche doloroso, ossia accettiamo questa sofferenza e lo stesso medico ci consiglia di farlo, proprio per evitare che peggioriamo. Con spirito simile dobbiamo essere in grado di sopportare la sofferenza di questa vita allo scopo di non doverne subire di maggiori nell’esistenza ciclica, e poter invece sperimentare la grande felicità della liberazione. (st.23)
Dobbiamo sopportare con gioia la sofferenza e le difficoltà che incontriamo nella pratica del Dharma, poiché Buddha, il migliore dei medici nel trattare i più grandi mali, ci offre metodi abili ed efficaci per vincere l’ignoranza. (st.24)
E tutto il sentiero, grazie al quale possiamo eliminare ogni problema dell’esistenza condizionata, è valido e colmo di gioie, così se all’inizio abbiamo delle difficoltà dobbiamo sopportarle.
Dapprima Buddha insegna la generosità, non costringendoci a compierla ma attraverso ragioni fondate, spiegandoci i benefici che ne derivano; quando poi li avremo compresi, noi stessi avremo desiderio di praticarla.
Il metodo usato da Buddha fornisce la spiegazione dei vantaggi che derivano dall’impegnarsi nel sentiero spirituale, lasciando quindi la scelta all’individuo che, avendoli apprezzati, praticherà il Dharma e non si demoralizzerà anche se lo dovrà fare per un lungo periodo. Senza una tale comprensione, diventerebbe insopportabile anche solo sedere in questa sala per ascoltare insegnamenti. Quando ci siamo impegnati per tutta la notte qui al Centro nella pratica dei ventuno aspetti di Tara, lo abbiamo fatto sulla base delle ragioni valide da noi riconosciute, grazie alle quali non abbiamo avuto difficoltà nel portarla a termine.
I consigli di Buddha non sono ordini od obblighi ma semplici spiegazioni che, una volta comprese, faranno spontaneamente nascere l’aspirazione a praticare. Per esempio, quando avremo sviluppato una profonda attitudine di generosità, non solo la pratica stessa ma anche semplicemente il sentire richieste di aiuto da poter soddisfare ci darà gioia.
Buddha non suggerisce di offrire fin dall’inizio una parte del nostro corpo, ma di cominciare nel dare prima oggetti senza importanza e poi aumentare gradatamente il valore delle offerte donando un po’ di cibo, quindi denaro, abiti e così via. Quando svilupperemo la saggezza che comprende l’autentica natura dei fenomeni, comprenderemo come il nostro corpo sia un oggetto ordinario, ne avremo allora considerazione come per la frutta o l’insalata, e saremo quindi in grado di offrirlo allo stesso modo di queste. (st.25)
Un bodhisattva nel sentiero della preparazione praticando in tal modo sperimenta ancora sofferenza, ma ha la forza di affrontarla con gioia, e raggiungendo poi il sentiero della visione non dovrà neppure più sopportarla. Da tale livello in poi egli considera il proprio corpo come noi il cibo, e non ha alcuna difficoltà a donarlo. (st.26)
Tale bodhisattva ha compassione, ha gioia, ha la possibilità di scegliere la rinascita, e se vede che c’è uno scopo valido nel donare il proprio corpo lo farà come atto di generosità, e riprenderà rinascita in una situazione più conveniente, in cui potrà essere di maggior beneficio agli esseri.
Al giorno d’oggi non abbiamo più bisogno di dare il nostro corpo per rinascere in un altro paese e offrire in questo modo aiuto agli altri, perché è sufficiente prendere l’aereo e spostarsi, ma in passato può darsi che un bodhisattva trovasse più conveniente quel metodo, avendo inoltre nuovi genitori a prendersi cura di lui!
Stiamo parlando del vigore nella pratica, della gioia di fare azioni virtuose, antidoti alla pigrizia, che invece ci lega all’interesse per azioni che non hanno alcun senso e valore, che ci impedisce di praticare il Dharma perché è troppo difficile o perché ci sono troppe cose da fare, con il risultato che ci deprimiamo e ci sentiamo incapaci. Questa pigrizia è un modo errato di pensare e ci ostacola nell’impegnarci in ciò che è vantaggioso. Dobbiamo smettere di darle occasione di sorgere, e invece riflettere sul fatto che ciò che è contenuto negli insegnamenti è stato detto da Buddha, e avere fiducia in essi.
Potremmo pensare che lo stato di un buddha non sia così vicino e che dovremo praticare per eoni ed eoni, sentendoci perciò scoraggiati. Ma un bodhisattva non deve abbattersi in questo modo, perché avendo purificato il karma negativo e sviluppato la virtù non avrà sofferenza fisica, e avendo sviluppato la saggezza non mancherà di gioia. Poiché abbiamo la concezione di un vero ‘io’ sperimentiamo infelicità mentale e, a causa del karma negativo creato sulla base dell’aggrapparsi a esso, sofferenza fisica, ma un bodhisattva che ha eliminato entrambe queste cause non sperimenterà più problemi di alcun tipo. (st.27)
Un bodhisattva deve coltivare la mente e praticare la virtù per un numero incalcolabile di eoni, ma con l’abbandono dell’afferrarsi all’‘io’ e degli altri difetti mentali, non accumula più karma negativo, causa di sofferenza, e quindi non la sperimenta; di conseguenza non ha importanza se per raggiungere l’illuminazione deve impiegare così tanto tempo, non avendo più alcuna difficoltà nell’esistenza ciclica. 
Se soffriamo mentalmente o fisicamente, anche una breve permanenza nel samsara ci sembra insostenibile, ma se non ne dobbiamo sopportare nessuna, anche rimanervi per eoni non costituisce un problema.
Un bodhisattva ha generato la mente del risveglio e promesso di impegnarsi nelle varie pratiche per il beneficio di tutti gli esseri, e a causa di questo ha accumulato molte virtù, per le quali sperimenterà solo condizioni favorevoli. Egli possiede la saggezza che comprende la reale natura di tutti i fenomeni, per questo la sua mente è gioiosa, inoltre avendo grande compassione anche se deve rimanere per eoni nel samsara non se ne preoccupa. (st.28)
 
Si racconta di un bodhisattva, il cui nome significa ‘Colui che piange continuamente’ che per poter fare offerte al Maestro cercò in molti modi di accumulare ricchezze, tentando anche di vendere il proprio corpo.
Gli aryabodhisattva, coloro che hanno raggiunto il sentiero della visione, possono decidere della loro esistenza liberamente e scelgono di rinascere dove sono di maggior beneficio per gli esseri. Per riconoscere le loro reincarnazioni bisogna esaminare e chiedere a grandi Lama che hanno il potere di vedere la mente, e possiamo avere fiducia in quanto dicono.
Oltre alla reincarnazione del xiii Dalai Lama, l’attuale xiv Dalai Lama, in Tibet sono stati riconosciuti numerosi altri Lama reincarnati e anche in altre parti del mondo ce ne devono essere molti, anche se non sono stati individuati. Questi bodhisattva possono apparire nell’aspetto di capi di stato o comunque di guide allo scopo di beneficiare gli esseri, ed è proprio per questo che prendono forme diversificate.
All’interno delle varie tradizioni religiose ci sono sicuramente molti esseri apparsi in quel modo per meglio aiutare gli altri e anche tra gli animali, come abbiamo già detto, ci sono senza dubbio dei bodhisattva che, grazie a quella forma, riescono a dar loro protezione. Per esempio, tra i cervi ci sono certi capi branco che conducono tutti gli altri, e se ci sono riserve dove è proibita la caccia li guidano in quella direzione.
Dobbiamo ottenere lo stato dell’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, avendo come basi questi e i buddha. Il sentiero mahayana è più profondo e più sacro di quello hinayana perché un bodhisattva può purificare una quantità di karma negativo maggiore ed accumulare oceani di virtù. (st.29)
Comprendendo l’importanza dello sforzo entusiastico dobbiamo generarlo, e far svanire ogni scoraggiamento e stanchezza, salendo così sul cavallo della bodhicitta e percorrendo il sentiero che va di gioia in gioia fino alla felicità ultima. (st.30)
Se ci dicono di raggiungere un certo luogo a piedi ci sentiremo molto scoraggiati, ma sarà diverso se potremo andarci in macchina, così se veniamo esortati a ottenere lo stato di buddha attraverso il sentiero della gioia non ci sentiremo depressi.
Il compito e le responsabilità di un bodhisattva sono di aiutare tutti gli esseri, ottenendo lo stato di buddha tramite la purificazione di tutto il karma negativo e l’accumulazione di ogni virtù, e per fare questo si ha bisogno di sostegni. Quattro sono le forze che aiutano un bodhisattva e che favoriscono lo sviluppo della perseveranza entusiastica: l’aspirazione, la fermezza, la gioia, il riposo. (st.31)
Aspirazione. La paura della sofferenza dell’esistenza condizionata genera il desiderio della liberazione. Per ottenerla dobbiamo utilizzare i tre addestramenti, mentre per l’illuminazione i due metodi: la bodhicitta e la saggezza che realizza la vacuità. Bisogna avere una profonda comprensione di quali siano i requisiti necessari e fare uno sforzo per acquisirli. Certi che con lo stato di buddha potremo beneficiare tutti gli esseri, spontaneamente nascerà un forte desiderio di ottenerlo, infatti siamo soliti dire in generale che aspiriamo a fare qualcosa che ci piace.
Fermezza. È quell’attitudine che esamina i vantaggi o meno di una certa azione e se la ritiene opportuna, dopo aver deciso di farla non abbandona più questa determinazione. Quindi, prima di praticare il Dharma dobbiamo esaminare se c’è qualche ragione per farlo e ciò che perdiamo se non lo pratichiamo, così vedremo che ci sono molti vantaggi, e ci impegneremo senza esitazione, con mente stabile e senza ripensamenti. Se pratichiamo o ascoltiamo il Dharma perché i nostri amici lo fanno, non avremo un sostegno forte e la nostra pratica non sarà ferma, poiché non avendone capito noi stessi l’importanza non avremo una nostra propria motivazione, ma una presa in prestito! Un’altra ragione non valida per andare a seguire corsi di Dharma è che in questo modo potremo fare anche una vacanza. Gioia. I bambini non sono mai stanchi del gioco e lo stesso tipo di entusiasmo e gioia dovremmo avere noi per l’ascolto e la pratica del Dharma. Riposo. Questa parola in tibetano significa anche ‘abbandonare’. Quando si pratica il Dharma, per l’intensità dell’impegno ci si sente stanchi ed è bene quindi riposarsi per essere in grado di ricominciare dopo con nuovo vigore. Dobbiamo generare la perseveranza entusiastica e i quattro fattori che la sostengono e avere sempre consapevolezza in qualsiasi pratica stiamo facendo. Per esempio, se stiamo sviluppando la saggezza che percepisce la vacuità occorre avere l’attenzione discriminante per vedere se la nostra mente sta mettendo il giusto sforzo, in modo continuo e univoco, nella direzione che abbiamo scelto. (st.32)
Abbiamo promesso di diventare bodhisattva per il beneficio di tutti gli esseri, per questo dobbiamo innanzi tutto purificare ogni errore fatto in passato, e per eliminarne anche uno solo dobbiamo mettere molta energia, perché siamo abituati a creare karma negativo e poco inclini a crearne di positivo. Comunque, se non cominciamo subito, come potremo sopportare la grande sofferenza che ne deriverà? (st.34)
Per ottenere lo stato di buddha occorre anche realizzare tutte le qualità positive, e per ciascuna occorrono molto tempo e impegno. Poiché adesso non abbiamo nemmeno una frazione di tutte le virtù che dobbiamo accumulare, se non ci sforzeremo già da ora come potremo generarle tutte? (st.35)
Pur avendo ottenuto una preziosa rinascita umana non l’abbiamo usata nel modo migliore, sprecando la maggior parte di tale condizione favorevole. (st.36) Generiamo quindi pentimento per avere agito così stupidamente. “Non ho fatto offerte ai bodhisattva e agli esseri senzienti, non ho compiuto azioni in favore del Dharma, non ho accumulato molte virtù, né purificato molto karma negativo. A chi era debole e ammalato non ho saputo dare sicurezza e conforto. Anche se ho fatto tante promesse, e per numerosissime volte, di raggiungere lo stato di buddha per il beneficio degli esseri, l’unica cosa che come umano ho messo in pratica è stata, nascendo, procurare grande sofferenza a mia madre: questo sono riuscito a ottenere con la mia rinascita, nient’altro”. (st.38)
Qui Shantideva ci ricorda che ci sono solo vantaggi nella pratica del Dharma, ma che se non ci applichiamo in essa tutto ciò che avremo ricavato dalla nostra preziosa rinascita umana sarà stato il dolore causato a nostra madre durante il parto. Se un bambino non volesse andare a scuola, ma trascorresse tutto il suo tempo solo a giocare, quale opinione ne avrebbero i vicini e cosa proverebbero i genitori? Per i buddha e i bodhisattva noi siamo proprio come lui. Se poi un ragazzo va a scuola, ma terminati gli studi non cerca un lavoro, vagabonda e assume droghe, sarà oggetto di biasimo. Ugualmente, se si studia il Dharma ma poi non si mettono in pratica gli insegnamenti che avrebbero permesso di eliminare la sofferenza e accumulare i meriti, sarà come aver condotto una vita sventurata, e i buddha e i bodhisattva ne saranno addolorati. (st.39)
Ci sembra che lo stato di buddha sia molto lontano, ma se rinasceremo in una esistenza inferiore allora anche una rinascita umana ci apparirà lontana come ora lo stato dell’illuminazione. Per il fatto che non abbiamo interesse nel Dharma, la nostra situazione attuale è di non avere neanche la certezza di non rinascere in un reame inferiore, ma se ne abbiamo anche solo un po’ dobbiamo coltivare tale interesse e non lasciarlo morire. Esso è la base di ogni azione virtuosa, perciò non dobbiamo abbandonarlo, ma incrementarlo, riconoscendo le cause e gli effetti di ogni azione. Dobbiamo capire che la sofferenza deriva dai difetti mentali e perciò sforzarci di eliminarli, sviluppando una grande aspirazione per la pratica. (st.40)
I piccoli sollievi alla fame o al freddo possono essere procurati con mezzi materiali, ma quelli maggiori si ottengono solo attraverso il Dharma e, comprendendo che esso riuscirà a fornirci ciò che vogliamo, nascerà il piacere e l’impegno per praticarlo. Tralasciare un grande obiettivo per qualcosa di piccola importanza è un comportamento sciocco. Noi siamo anche venuti da luoghi molto lontani, ci siamo sforzati per arrivare qui, e abbiamo saputo che la felicità deriva dal karma positivo e la sofferenza dal karma negativo, quindi la nostra pratica deve essere rivolta ad accumulare il primo e non il secondo, e questa comprensione è sorta proprio grazie all’impegno messo nel raggiungere questo Centro. Non siamo venuti qui in vacanza, ma con lo scopo di migliorare la nostra vita, e per riuscirci bisogna praticare la virtù, così che venga realizzato l’obiettivo che ci ha motivati. Se un ammalato con una grave malattia sa dove si trova una farmacia con le medicine che gli occorrono e dov’è un medico che lo può curare, ma non ci va, è solo per un errore suo, dovuto alla sua stupidità. Io, per esempio, ho messo tutto il mio impegno nel dare insegnamenti, ma se poi voi non avete alcuna comprensione della necessità di applicarli, non posso aiutarvi ulteriormente! Ora abbiamo sofferenza fisica, infelicità mentale, siamo costretti a separarci da ciò a cui siamo attaccati, e questo per le impronte delle azioni negative commesse in passato. (st.41)
Quando avremo eliminato la malevolenza e gli altri fattori mentali negativi e saremo costantemente impegnati in azioni virtuose, troveremo situazioni favorevoli ovunque ci rechiamo. (st.42)
Tutti fanno accurati preparativi per la visita di una persona importante, perché ne hanno rispetto, così se desideriamo essere trattati anche noi allo stesso modo dobbiamo accumulare karma positivo, perché ogni cosa desiderabile si ottiene come frutto di azioni meritorie compiute. Ma avendo creato karma negativo, ovunque andremo troveremo condizioni e situazioni sfavorevoli che ci sopraffaranno. (st.43)
Sukhavati è una terra pura, immacolata, vasta, pervasa di deliziose fragranze, e se un bodhisattva rinasce in tale regno non lo fa dal ventre materno ma da un loto dischiuso dalla luce che si irradia dal capo di Buddha, si nutre di amrita, o nettare celestiale, e non di sostanze ordinarie come le nostre, la musica e i suoni che ascolta possiedono le sessanta qualità della parola di un buddha, e il suo corpo luminoso si sostiene con il samadhi focalizzato sull’autentica natura dei fenomeni. (st.44)
Sukhavati è governata da Buddha Amithaba, che lo fa in accordo al Dharma, e si rinascerà in questa terra pura solo a causa delle azioni virtuose accumulate: non è possibile andarci in aereo, né con nessun altro mezzo materiale. La pratica del Dharma ci può portare a simili risultati, per questo dobbiamo intraprenderla. Ci sono differenti tipi di nascita: da un fiore di loto, da fattori coadiuvanti come umidità e calore, da un uovo, da un ventre materno. All’inizio di un eone gli esseri per lo più nascono da un loto o un bocciolo di fiore, non si nutrono di sostanze grossolane ma di una specie di manna, un cibo delicato che ricopre la terra e che non implica la produzione di escrementi, e luce si emana dal loro corpo a causa delle precedenti azioni positive. Quando il loro karma virtuoso però comincia a esaurirsi, tali effetti risultanti diminuiscono, e gli esseri iniziano a utilizzare cibo più grossolano. Da quel momento si forma l’apparato digerente, e si ha necessità di espellere escrementi, poi si formano i genitali, con la divisione tra maschio e femmina, e quindi inizia la nascita dal ventre. Il risultato del karma negativo può essere la rinascita in un reame infernale, dove i guardiani ci scorticano vivi, ci versano metallo fuso sul corpo, ci trafiggono con spade e lance roventi, ci tagliano in mille pezzi, gettandoci poi su un terreno di ferro incandescente. (st.45)
Poiché esistono condizioni estremamente positive, ce ne possono essere anche di negative. Sentendo parlare di Sukhavati possiamo forse desiderare di rinascervi, ma ascoltando dei reami inferiori è impensabile fare altrettanto, e ci risulta sgradevole anche solo che li si menzioni. Siccome possiamo avere i buoni effetti di cui si è parlato, dobbiamo generare lo sforzo entusiastico per produrre karma positivo, meditando con rispetto su di esso e su ciò che produce. (st.46)
D’altra parte comprendendo che il karma negativo può portare davvero i risultati spiacevoli prima descritti, sorgerà spontaneo il desiderio di trattenersi dal crearlo. Quando il sole splende nel cielo neanche le più alte montagne possono ostacolarlo, così un bodhisattva, che ha infinite qualità, non sarà mai scoraggiato dalle azioni negative degli esseri, per quanto spregevoli possano essere. I bodhisattva hanno una tale grande determinazione e una illimitata compassione verso tutti, che niente e nessuno, nemmeno coloro che fanno esattamente il contrario di quanto viene loro consigliato li possono demotivare, poiché possiedono stabilità mentale. Un altro aspetto della fermezza di un bodhisattva è quello che dal tibetano viene tradotto con ‘orgoglio’, ma non si tratta del difetto mentale, bensì di fiducia in se stessi. Quando si è esaminato ciò che si deve fare, occorre avere la determinazione di portare a compimento l’azione e in questo caso la fiducia in se stessi è molto importante. In generale, prima di affrontare qualcosa dobbiamo stabilire se la possiamo fare o meno, se ci sono ragioni valide per portarla a termine e, se ci sentiamo in grado, avendola iniziata dobbiamo arrivare alla conclusione, se invece non troviamo nessun buon motivo e non ci sentiamo fiduciosi, dobbiamo lasciar perdere. (st.47)
“Se non porterò a compimento un lavoro iniziato, questa abitudine continuerà in altre vite e le negatività e le sofferenze aumenteranno, inoltre anche le altre azioni, al momento di fruttificare, saranno deboli e incomplete”. (st.48)
Volendosi impegnare nel Dharma dobbiamo prima analizzarlo a fondo, vedere se abbiamo sufficienti ragioni per applicarci nella pratica e abbastanza fiducia in noi stessi, e quindi intraprenderla; se invece non le troviamo dobbiamo cercare di acquisirle in futuro. Occorre avere una mente salda e la certezza di riuscire a distruggere le visioni errate e gli altri difetti mentali, applicando gli antidoti. (st.49) [………….]
Come possono ottenere la liberazione coloro che per debolezza d’animo smettono di tentare? (st.53)
Perciò, con una stabile fiducia in se stessi occorre evitare ogni caduta nella propria condotta, e se ci si lascia sconfiggere in questo la determinazione di ottenere ogni potere sarà solo un oggetto di scherno. (st.54)
Si dice che un buddha è come il leone, che non è pari agli altri animali ma ne è il re, il più forte, così che nessuno può danneggiarlo. E anche un bodhisattva, figlio dei Conquistatori, è simile a un leone, perché può distruggere ogni difetto mentale ed esserne fiero. (st.55)
Chi ha tale fiducia in se stesso non verrà sopraffatto dai difetti mentali, ma lo sarà chi ha l’orgoglio ordinario, quella presunzione che condurrà nei reami inferiori. (st.56)
Chi è orgoglioso non è amato dagli altri e rimarrà solo, al contrario di chi è umile. Il risultato di essere orgogliosi è che nelle vite future si sperimenterà la schiavitù, si sarà alla mercè degli altri, oppure stupidi, pazzi, senza affetti, disprezzati da tutti. (st.58)
Chi ha orgoglio non può essere annoverato tra le persone fiere, tra gli ‘eroi vittoriosi’, in grado di vincere questo e gli altri difetti mentali. Tali eroi saranno amati da uomini e dei, ed esaudiranno i desideri di tutti gli esseri. (st.59)
È possibile sviluppare molti meriti sulla base dello sforzo entusiastico ed essi sono la causa sostanziale della nostra felicità, anche di quella ottenuta attraverso fattori esterni materiali. Per esempio, due commercianti o due uomini d’affari con la stessa cultura e lo stesso impegno nel lavoro hanno un differente successo in dipendenza del karma positivo che possiedono. E come lo si può accumulare? Avendo fede nei Tre Gioielli e facendo loro offerte e, nei riguardi degli esseri senzienti, beneficiandoli con una motivazione di amore e compassione. Lo sforzo entusiastico è il provare gioia nell’accumulare meriti, e chi non è capace di generarlo non potrà ottenere i risultati desiderati, e soffrirà molto anche chi è incline a lamentarsi per ogni piccola difficoltà. Ci sono molte cose che ci possono attrarre, ma la più preziosa è il sentiero spirituale, sorgente di ogni felicità, e tralasciarlo per rincorrere azioni prive di significato, come parlare a vanvera, poltrire o divertirsi, è sbagliato. Non bisogna avere questa pigrizia. All’inizio è difficile controllare il corpo e la mente, ma potremo riuscirci utilizzando lo sforzo entusiastico nella pratica, e applicandoci nell’uguagliare e nello scambiare noi stessi con gli altri. Se sappiamo praticare il Dharma ne godremo senz’altro i risultati e nessuno ce li potrà togliere; esso è il miglior metodo per ottenere la felicità. Le sofferenze che sperimentiamo sono causate dai nostri difetti e non da quelli degli altri e, se siamo in grado di eliminarli, elimineremo anche le cause della sofferenza e avremo una felicità permanente. Quindi potremo aiutare anche gli altri a farlo, illustrando le nostre esperienze. Stabilendo l’abitudine di controllare i difetti mentali non ne saremo sopraffatti ma, finché non ne avremo padronanza, per un praticante è meglio evitare gli oggetti che li possono attivare, e trovare invece un posto isolato in cui non ci sia pericolo di venire in contatto con essi. Tuttavia, se ciò non fosse possibile, occorre allora essere vigili, come quando trovandosi in un posto pieno di ladri e banditi si sta attenti alle cose che si possiedono, mettendole al sicuro e proteggendole con cura. Nelle situazioni in cui è facile che sorgano difetti mentali dobbiamo rammentare gli antidoti appropriati ed essere come il leone, che non ha alcuna paura di essere sopraffatto dagli altri animali. (st.60)
Per esempio, possiamo avere motivi che ci inducono ad arrabbiarci, e allora occorre ricordare che l’ira non ci crea che sofferenza e non danneggia in alcun modo il nemico, ma solo noi, perciò eviteremo di generarla. Possiamo anche esaminare cosa succede quando cominciamo ad avere attaccamento, supponiamo per una persona. Che cosa fa sorgere questo desiderio? La pelle? Gli organi interni? Riflettendo, ci convinceremo che non c’è alcuna parte degna della nostra attenzione e anche se ne trovassimo una, a esempio la pelle, dobbiamo analizzare quale zona della pelle. Una piccola? Una grande? Dove? Vedremo allora che non ce n’è nessuna ‘veramente’ attraente. Possiamo anche pensare di staccare la pelle e tenerla in mano, e chiederci se proveremmo ancora attaccamento. Non basta esprimere il desiderio di eliminare i difetti mentali responsabili della nostra sofferenza, ma bisogna esaminare la meccanica con cui si sviluppano, analizzare se nell’oggetto dei difetti stessi esistono veramente gli aspetti corrispondenti a ciò che noi crediamo, per poi renderci conto che c’è solo una nostra sopravvalutazione e niente, intrinsecamente, nell’oggetto in quanto tale. Quando ci troviamo in una situazione di pericolo abbiamo l’istinto di proteggere i nostri occhi come se fossero la cosa più preziosa, allo stesso modo dovremmo essere consapevoli quando sorgono i disturbi mentali, e correre in difesa della nostra mente. (st.61)
È meglio essere bruciati o tagliati a pezzi piuttosto che permettere alle concezioni disturbanti di soggiogarci. In ogni momento dobbiamo avere consapevolezza di quanto stiamo pensando, dicendo, facendo, e se ci rendiamo conto che non è qualcosa di corretto dobbiamo fermarci subito. (st.62)
Con questa stanza si conclude l’insegnamento sulla fermezza mentale, una delle forze che favoriscono nel bodhisattva la generazione della perseveranza entusiastica. I bambini trovano piacere nel gioco e non sono mai stanchi, perché si divertono e vogliono sempre continuare; ugualmente noi dovremmo essere felici nel compiere le azioni virtuose e non averne mai abbastanza. (st.63)
Nelle attività mondane, negli affari o nel lavoro si mette tanto impegno, anche se i risultati di felicità non sono sicuri, ma nel Dharma, dove invece c’è certezza di avere tali effetti, non ci si applica. (st.64)
Proviamo grande attaccamento per gli oggetti dei sensi, simili a miele spalmato sulla lama di un rasoio che, se cerchiamo di leccare, con molta probabilità ci taglierà, eppure non ne abbiamo mai abbastanza. È certo invece che il Dharma ci darà una felicità autentica, e allora perché ci sentiamo appagati credendo di aver già fatto sufficienti azioni che la faranno maturare? (st.65)
L’elefante che sperimenta il caldo del sole e vuole trovare refrigerio bagnandosi in un lago non si trattiene dal gettarsi nell’acqua, e noi dobbiamo avere lo stesso slancio nel compiere di continuo azioni virtuose, così che nessuno ci possa fermare. (st.66)
D’altra parte non dobbiamo impegnarci nel Dharma in modo eccessivo, per non correre il rischio di provare poi repulsione per la pratica stessa. Bisogna iniziare un’attività, poi riposarsi e riprendere successivamente, con buon senso. Soprattutto all’inizio, dobbiamo abbandonare la pratica quando ci stiamo stancando troppo e, quando ci riposiamo, facciamolo pensando di poter così praticare meglio in seguito, e in questo modo anche il riposo diventerà un’azione virtuosa. (st.67)
Abbiamo già il desiderio spontaneo di una situazione esistenziale migliore, così dobbiamo svilupparlo fino a voler ottenere lo stato di un buddha. Su una solida base di avversione al samsara dobbiamo sviluppare bodhicitta e, se tale repulsione è già sorta, possiamo farlo subito. Volendo costruire una casa di cinque piani, se pretendiamo di fare subito il quinto piano non ci riusciremo; comunque, una volta finito il primo non dobbiamo fermarci lì, ma continuare con il secondo e così via. Chi ha una buona esperienza nelle arti marziali sa che deve allo stesso tempo difendersi e tentare di colpire il nemico e, se viene disarmato, cercare subito di raccogliere la spada. Allo stesso modo, anche se per un solo istante perdiamo l’arma della consapevolezza dobbiamo reimpadronircene, per paura che i difetti mentali ci possano causare danni e gettarci nei reami inferiori. (stt.68-69)
Quando una freccia avvelenata si conficca in una gamba, per proteggere l’intero corpo può essere necessario tagliarla, poiché una piccola quantità di veleno diffusa nell’organismo dal sangue può procurarci la morte. Così, con un minimo difetto mentale che riesce a permanere nella mente il pericolo è comunque grave, e dobbiamo avere il controllo anche sui più piccoli di essi, in caso contrario subito si diffonderanno nella mente. (st.70)
Occorre avere consapevolezza nella pratica, similmente a una persona che viene obbligata da un nemico a portare sulla testa un vaso di olio ed è minacciata, qualora ne versi anche una sola goccia, di essere uccisa. (st.71)
Vedendo un serpente in grembo non si starà tranquilli, ma ci si alzerà e lo si caccerà via, così se sopravvengono pigrizia o sonnolenza non dobbiamo indugiare, ma abbandonarle velocemente. (st.72)
Se scopriamo di essere pigri dobbiamo biasimarci e rivolgerci queste parole: “Fino a questo momento ho lasciato che succedesse, ma d’ora in poi cambierò”. (st.73) Occorre avere sempre il controllo della mente con attenzione e intelligenza, e se incontriamo un buon insegnante o possediamo un buon testo cerchiamo di seguirne i consigli con profitto. (st.74)
Abbiamo vantaggi dal Dharma in generale e dal sentiero mahayana in particolare, perciò dobbiamo approfittare del nostro corpo e della nostra mente e far sorgere in noi la gioia e l’entusiasmo per la pratica spirituale, perché se non sfruttassimo al massimo questa condizione favorevole commetteremmo un grave errore. (st.75)
“Un leggero fiocco di cotone viene spinto nel movimento anche da un vento molto debole, e a dirigere così la mia mente deve essere la gioia, e allora porterò a compimento ogni cosa”. (st.76)
Dobbiamo utilizzare la nostra attuale condizione umana impiegando le tre porte di corpo, parola e mente, con cui compiere qualsiasi azione virtuosa, in modo da realizzare nel più breve tempo possibile lo stato dell’illuminazione perfetta. Quando pratichiamo dobbiamo partire dalle pratiche più semplici e poi impegnarci via via in quelle più elevate, proprio come anche quando consumiamo un pasto seguiamo un certo ordine nel gustare le varie portate. Alla mattina, svegliandoci, dobbiamo ricordarci della nostra preziosa rinascita umana, che essa avrà fine, che prenderemo un’altra esistenza la cui qualità sarà determinata dal karma; quindi ci determineremo a crearne di positivo e a eliminare quello negativo già accumulato. Alla sera è bene invece fare un bilancio delle azioni compiute, sviluppando il desiderio di migliorarle in futuro, di raggiungere la liberazione e, estendendolo ancora, di prenderci cura degli altri al meglio, grazie all’ottenimento dello stato di un buddha. Quando puliamo la casa, buttiamo via quello che non serve e riponiamo le cose utili, e così dobbiamo fare rispetto alla mente, eliminando ciò che crea problemi e proteggendo ciò che ci recherà vantaggi. Stiamo studiando il Dharma per trasformare le nostre attitudini mentali. Adesso siamo attaccati a questa vita, e il primo cambiamento consiste nel considerare più preziosa la vita futura; successivamente dobbiamo aspirare alla liberazione, e questo è il secondo tipo di motivazione; infine, in accordo all’insegnamento mahayana, se ora ci preoccupiamo solo di noi stessi dobbiamo trasformare questa attitudine, considerando invece gli altri più importanti, e questo è il terzo tipo di motivazione, quello più elevato. Per raggiungere lo stato di un buddha dobbiamo praticare il Dharma, dopo averlo appreso, ed è per questo che state ascoltando insegnamenti sul Bodhisattvacharyavatara. Capite? Comunque, se non siete d’accordo, potete alzarvi ed andarvene.

Abbiamo così concluso il settimo capitolo.

Commento all’8° capitolo:
La concentrazione

Pagine 211-243 del volume

Commento al 9° capitolo:
La saggezza

Pagine 245-346 del volume

Commento al 10° capitolo:
La dedica

Nel decimo capitolo è descritto il modo con il quale i bodhisattva, i figli spirituali dei buddha, dedicano i meriti delle loro azioni per il beneficio di tutti gli esseri e, nei primi versi, il bodhisattva Shantideva dedica quelli creati per l’aver composto questo testo affinché gli esseri di tutte le direzioni possano impegnarsi nella condotta dei bodhisattva. (st.1)
Possano essere liberi dalla sofferenza e sperimentare una gioia e una felicità vaste come l’oceano. (st.2)
Finché l’esistenza ciclica permane possano non perdere mai la felicità, grazie ai bodhisattva e ai buddha. (st.3)
Possano tutte le sofferenze dei reami inferiori sparire, e gli esseri che vi dimorano godere della beatitudine suprema. (st.4)
Possano questi meriti far sì che coloro che sperimentano l’intenso freddo trovino calore e coloro che sono oppressi dal caldo trovino refrigerio. (st.5)
Nei reami inferiori ci sono situazioni in cui gli esseri sono costretti a camminare su foglie affilate come rasoi, ferendosi piedi e gambe, e nel testo si auspica che per i meriti dei buddha e dei bodhisattva quei luoghi si trasformino in boschi piacevoli. Sempre nei reami inferiori c’è un albero particolare che appare attraente ma in realtà è costituito da spade e coltelli, e salendoci ci si taglia; possa allora trasformarsi nell’albero che esaudisce tutti i desideri. (st.6)
Anche se gli inferni sono luoghi di sofferenza, possano trasformarsi in luoghi di gioia, con laghetti di loto dal profumo fragrante, echeggianti richiami di cigni e di oche selvatiche. (st.7)
Possano i mucchi di carbone ardente prodotti dalle fiamme dell’inferno trasformarsi in gioielli, il terreno rovente diventare un pavimento di cristallo, e quelle particolari montagne degli inferni che si avvicinano sempre più a coloro che abitano quelle regioni fino a schiacciarli possano trasformarsi in celestiali luoghi di offerte. (st.8)
Possa la pioggia di lava rovente e di armi trasformarsi in una pioggia di fiori e, negli inferni dove gli esseri continuamente si affrontano con le armi, possano i loro combattimenti trasformarsi in un giocoso scambio di fiori. (st.9)
Ci sono inferni dove gli esseri rimangono ustionati in torrenti di sostanze acide, e altri dove gli insetti mangiano la carne di chi vi dimora, ma per le virtù di aver composto questo testo possano tali luoghi trasformarsi in terre percorse da freschi ruscelli, e quegli esseri goderne in compagnia di consorti divine, avendo ottenuto corpi celestiali. (st.10)
I versi recitano che a un certo punto gli attendenti del signore della morte e gli avvoltoi si ritirano, il cielo si schiarisce di colpo e altre cose straordinarie succedono nei reami infernali, poi gli esseri che vi si trovano guardando il cielo scorgono la forma di Vajrapani, che dà loro gioia e consolazione. Per via della forza da lui così generata, possano essi seguirlo. (st.11)
Quando gli esseri che stanno soffrendo per la lava infuocata la vedono estinguersi, grazie a una pioggia di fiori e acqua profumata, possano provare una improvvisa gioia per la fine dei loro tormenti e, chiedendosi a chi sia dovuto tutto ciò, in quel momento possano accorgersi di Padmapani e generare grande devozione. (st.12)
Nel momento in cui gli abitanti degli inferni ammirano una grande luce radiante e si chiedono chi l’abbia prodotta, possano scorgere il giovane Manjushri, che elimina ogni paura ed è rispettato anche dai re dei reami paradisiaci, come Shiva. (st.13)
Altri vedono Manjushri e il suo seguito di bodhisattva, che gli offrono diademi e gioielli in palazzi incantevoli risonanti di inni cantati da migliaia di divinità femminili; a questa visione, possano essere liberi dalla sofferenza e colmi di letizia. (st.14)
Nei versi di dedica si prega poi affinché tutti gli esseri possano realmente trovare ristoro con la pioggia fresca e profumata delle nuvole create da Samantabhadra, uno degli otto bodhisattva principali insieme a Manjushri e Avalokiteshvara. Ancora, possano i meriti di avere composto questo testo permettere a tutti di eliminare le proprie sofferenze e problemi, di vedere quei bodhisattva e, attraverso il potere delle loro benedizioni, di godere di ogni tipo di felicità che si può trovare nelle rinascite umane e divine. (st.15)
Avendo accumulato meriti, li si può dedicare per l’ottenimento della perfetta illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, per la continuazione e la non degenerazione degli insegnamenti di Buddha, per la lunga vita del proprio Maestro.
La principale paura degli animali è di essere divorati, e Shantideva dedica i propri meriti affinché gli animali siano liberi da quel terrore. (st.16)
Poiché gli spiriti famelici soffrono per la fame e la sete, mentre le genti del continente settentrionale non hanno questo problema, una sua ulteriore preghiera è allora che i preta possano essere felici quanto quelle, e che una corrente di nettare possa fluire continuamente dalle mani di Avalokiteshvara e col suo refrigerio far svanire la loro sofferenza. (st.17)
Possano i ciechi vedere di nuovo le forme, possano i sordi ritrovare il potere dell’udito e le donne partorire senza dolore. (st.18)
Possano tutti gli esseri sperimentare i godimenti di dei e dee, ma simili a illusioni. Possa chi è nudo trovare vestiti e chi è assetato acqua deliziosa. (st.19)
Possano i poveri trovare ricchezza e i deboli, prostrati dal dolore, gioia. Possano i disperati trovare nuova speranza, felicità e forza d’animo. (st.20)
Possano gli ammalati essere liberi dalle loro malattie, e anche le più piccole di quelle che nel mondo esistono non manifestarsi mai più. (st.21)
Possa chi è spaventato non avere più paura, chi è prigioniero ottenere la libertà, chi è privo di forza o senza potere trovarli, e possano gli esseri preoccuparsi del beneficio reciproco. (st.22)
Possano i viaggiatori trovare felicità ovunque vadano, e tutti i loro scopi senza sforzo realizzarsi. (st.23)
Chi naviga con barche o navi possa ottenere ciò che desidera, avere un ritorno sicuro e riunirsi felicemente ai propri cari. (st.24)
Chi ha smarrito la strada possa incontrare compagni di viaggio, e così non dover temere tigri o banditi e avere un cammino non faticoso. (st.25)
Possano le benevole divinità locali proteggere i bambini, gli anziani, i pazzi, chi è senza protezione, chi viaggia in luoghi selvaggi, o senza sentieri, o che incutono paura. (st.26)
Possano tutti gli esseri possedere fede, intelligenza e l’eccellente condotta che deriva dal seguire la legge di causa ed effetto. (st.27)
Possano ottenere tesori vasti come lo spazio e goderne per sempre e, come risultato del controllo sulla propria mente, possano evitare di essere fonte di disputa o di danno. (st.28)
Possano quelli con poca gloria essere dotati di grandezza, e coloro il cui aspetto è spiacevole acquisire un corpo attraente e maestoso. (st.29)
Possano quelli con forme di vita sfortunate ottenere rinascite superiori, con maggiori possibilità ed energia per la pratica del Dharma. Possa chi appartiene a un basso stato sociale ottenere magnificenza e gli orgogliosi l’umiltà. (st.30)
Possano i meriti qui accumulati divenire l’antidoto alle sofferenze degli esseri e alle loro cause. (st.31)
Possano tutti essere mai separati dalla mente del risveglio, seguire sempre la condotta dei bodhisattva praticando le sei paramita, essere guidati e protetti dai buddha, e abbandonare ogni azione malvagia. (st.32)
Possano tutti gli esseri ottenere una lunga vita, avere soddisfazione e gioia, e non dover neppure udire la parola ‘morte’. (st.33)
Possano i giardini di alberi che esaudiscono i desideri riempire ogni direzione con il suono del Dharma proclamato dai buddha e bodhisattva. (st.34)
Possa ovunque la terra essere pura, priva di asperità, liscia come il palmo della mano di un bambino e della natura del lapislazzuli. (st.35)
Possano i bodhisattva dimorare in tutte le terre, adornandole con le loro manifestazioni eccellenti, e dare discorsi e insegnamenti circondati da cerchi di discepoli. (st.36)
Possano tutte le creature ininterrottamente udire il suono del Dharma. (st.37)
Possano sempre incontrare buddha e bodhisattva, e possa venir reso omaggio con nuvole di infinite offerte a questi maestri spirituali del mondo. (st.38)
Possano gli esseri celestiali far cadere la pioggia nei periodi appropriati, affinché ci siano raccolti abbondanti. Possano i re governare in accordo al Dharma, e per questo far prosperare gli abitanti del mondo. (st.39)
Possano le medicine essere efficaci per guarire ogni tipo di malattia, e la cura alternativa della ripetizione dei mantra avere successo. Possano dakini, rakshasa e gli altri possedere una mente di compassione e amore. (st.40)
Qualunque creatura possa non soffrire mai, non danneggiare gli altri, non ammalarsi, non essere spaventata o disprezzata, e la sua mente non essere mai depressa. (st.41)
Nei templi o monasteri in cui è praticata la recitazione e la lettura dei testi, possano queste preservarsi e svilupparsi, i membri del sangha vivere in armonia e i loro propositi essere realizzati. (st.42)
Possano i monaci e coloro che desiderano praticare trovare luoghi quieti e solitari, e possa la loro meditazione avere successo, grazie all’abbandono degli oggetti di distrazione. (st.43)
Nei tempi passati in India c’erano monache completamente ordinate, mentre ora sembra che non ne esistano più, e nel testo si prega che queste bikshuni possano essere materialmente autosufficienti, abbandonare i litigi tra loro, e non subire violenze. Ugualmente tutti coloro che hanno un’ordinazione possano essere adorni della moralità e non lasciarla mai indebolire. (st.44)
Chi ha avuto la sfortuna di averla fatta degenerare possa pentirsene e purificare e, come frutto dell’aver sradicato ogni negatività, possa ottenere la felicità che proviene da una rinascita superiore, e anche in quell’esistenza la condotta spirituale possa non declinare mai. (st.45)
Possano i saggi, ricchi di conoscenza, ricevere onori e offerte, avere una mente pura, e la loro fama diffondersi in ogni direzione. (st.46)
Possano gli esseri ottenere una forma superiore a quella dei deva. (st.47)
Questo viene auspicato perché i deva – godendo di una grande felicità – non hanno interesse per il sentiero spirituale, quindi si ha bisogno di una rinascita migliore della loro per realizzare velocemente lo stato di un buddha.
Possano gli esseri continuamente fare offerte ai buddha e gioire per la loro beatitudine. (st.48)
Possano i bodhisattva vedere realizzato il desiderio di servire tutti gli esseri, e questi ricevere ogni cosa che i buddha si erano proposti di dar loro. (st.49)
Similmente, possano i pratyekabuddha e gli shravaka trovare felicità. (st.50)

Nelle stanze seguenti Shantideva parla in prima persona:
“E finché non avrò raggiunto il ‘Terreno del gioioso’, per la gentilezza di Manjushri possa in tutte le mie vite avere consapevolezza, e ricevere sempre l’ordinazione. (st.51)
Anche sostenendomi con cibo semplice e comune, possa godere di un corpo forte e sano, e per tutte le vite future non mancare del posto ideale per praticare il Dharma e di ogni altra cosa necessaria. (st.52)
Ogni volta che ho incertezze riguardo alla pratica, oppure ho il desiderio di porre una domanda anche molto semplice, possa io avere la visione dello stesso Manjushri, e per la sua benedizione comprendere ogni significato e pacificare ogni dubbio. (st.53)
Manjushri ha sviluppato la mente dell’illuminazione e ha poi praticato le sei perfezioni trascendentali. Possa la mia vita essere come la sua e io in questo modo ottenere la realizzazione finale”. (st.54)

Ogni pratica deve essere motivata dal desiderio di beneficiare gli esseri, poi ci si impegna nei vari tipi di meditazione, come quella analitica sul rifugio e le altre, e si termina dedicando tutti i meriti accumulati al raggiungimento di quel nostro scopo iniziale. Se la dedica viene fatta così, neppure l’odio e gli altri fattori mentali negativi potranno distruggerli.
A questo punto mancherebbe il commento degli ultimi versi, ma vengono tralasciati per buon auspicio, e concludiamo qui la spiegazione del testo.

Riassumendo, relativamente ai capitoli del Bodhisattvacharyavatara, il primo tratta dello sviluppo di bodhicitta, che si ottiene con l’accumulazione di una grande quantità di meriti, e dei benefici del generare questa mente.
D’altra parte, se si è completamente schiavi delle negatività tale generazione è molto difficile, per cui la base (la mente allo stato attuale) deve essere purificata dal karma negativo e dai difetti mentali e il secondo capitolo tratta infatti di questo. Vi è anche spiegato come accumulare nello stesso tempo meriti, con la pratica dei sette rami.
Dopo aver purificato le negatività e accumulato meriti si è pronti per generare la mente dell’illuminazione, quindi si prendono i voti e si pratica la condotta del bodhisattva, come descritto nel terzo capitolo.
Avendo preso gli impegni d’onore si cerca quindi di mantenerli con consapevolezza e coscienziosità e questo è l’argomento del quarto capitolo.
Il quinto capitolo è relativo all’attenzione discriminante, la cui funzione è di verificare se la propria condotta è appropriata per un bodhisattva oppure no e, come il quarto, riguarda la prima delle sei perfezioni, la moralità.
Il sesto capitolo tratta della pazienza, il settimo della perseveranza entusiastica, l’ottavo della concentrazione, il nono della saggezza, il decimo e ultimo è la dedica.

Per ottenere lo stato finale di illuminazione, lo stato di onniscienza di un buddha, bisogna generare la mente altruistica del risveglio, la bodhicitta, e per procedere attraverso il sentiero bisogna impegnarsi nelle sei perfezioni trascendentali. Avendo successo nella loro pratica si può purificare ogni difetto mentale, acquisire tutte le qualità perfette di un buddha e simultaneamente lavorare per il beneficio altrui. Sarà allora realizzato il proprio scopo e anche quello degli esseri, avendo ottenuto quello stato che è di massimo beneficio personale, ma anche di supremo beneficio per gli altri.
In breve, l’obiettivo finale della pratica è l’ottenimento del dharmakaya e del rupakaya e per ottenere questi corpi della saggezza e della forma, bisogna addestrarsi nella saggezza e nel metodo, le cui pratiche si effettuano attraverso l’ascolto, la riflessione e la meditazione sulle due verità: ultima e relativa.

Anche se gli insegnamenti non sono stati proprio perfetti né molto chiari, e non sono stati completi, alla fine abbiamo così terminato la spiegazione del Bodhisattvacharyavatara.

L’Abhisamayalankara, un testo compilato dal pandita Asanga, il quale per lo sforzo messo in molti anni di meditazione riuscì a percepire direttamente Maitreya, contiene appunto gli insegnamenti da questi ricevuti. Esso descrive molte delle qualità dei buddha e dei bodhisattva, tratta dei vari significati della vacuità e sul suo fondamento è stato strutturato il lam-rim.
La prima di quelle qualità è che mentre gli esseri ordinari come noi cercano di suonare la tromba delle proprie qualità, esaltandole, e di nascondere i propri difetti e i propri errori, il bodhisattva agisce in modo esattamente contrario.
La seconda qualità di un bodhisattva è che egli sostiene il Dharma e insegna agli esseri in accordo alla propria esperienza e senza alcuna attitudine contaminata, come quella di celare i propri difetti o di enfatizzare le proprie virtù e conoscenze.
Una sua ulteriore virtù è di praticare il Dharma per il beneficio degli esseri, per la propria e altrui salvezza. Un bodhisattva ha una mente colma di compassione per ogni creatura, coltivata attraverso le quattro meditazioni illimitate sull’equanimità, l’amore, la compassione e la gioia, così dobbiamo seguirne l’esempio, per ottenere lo stesso tipo di mente, ricca di tutte le qualità descritte. Un bodhisattva è anche libero dal più piccolo istinto di avarizia riguardo al corpo, ai possedimenti e ai meriti, e cerca di compiacere il proprio Guru con un appropriato comportamento di corpo, parola e mente. Egli non solo ascolta e pratica gli insegnamenti del Mahayana, ma anche quelli dell’Hinayana, ha un forte desiderio di ottenere l’ordinazione monastica e invece in qualche modo ha avversione per la vita in famiglia, ha l’aspirazione di ottenere il corpo di un buddha e insegna senza porsi limiti, cioè non cercando di nascondere o tenere per sé quanto conosce, ma trasmettendo agli altri tutto ciò che sa.
Quando noi prendiamo voti o impegni cerchiamo di mantenerli e li manteniamo, e un bodhisattva parla e segue la verità proprio come se avesse preso un voto. Possiamo pregare per avere le sue qualità.
Ottenendo il secondo terreno (bhumi) del bodhisattva, si è realizzata, delle sei perfezioni, quella della disciplina morale, e la ferma determinazione di non raggiungere solo lo stadio di uno shravaka o di un pratyekabuddha, bensì di seguire il sentiero mahayana fino all’ottenimento della buddhità.
Per ottenere lo stato dell’illuminazione per il beneficio degli esseri, bisogna generare il desiderio di lavorare per loro e, perché sorga, dobbiamo pensare a tutta la gentilezza e benevolenza che ci hanno rivolto, e avere grande pazienza, secondo le istruzioni del Bodhisattvachayavatara, ossia sopportando ogni tipo di difficoltà e di sofferenza volontariamente, non reagendo ai danni che riceviamo, non lasciandoci scoraggiare dalle difficoltà che ci sono nella pratica, come quelle per la realizzazione della vacuità.
Occorre poi avere un interesse entusiastico per il sentiero spirituale, amore e compassione per gli esseri, un pieno senso di rispetto verso i superiori, praticare bene ciò che si è imparato dal proprio Maestro, e avere una positiva e gioiosa disposizione verso le pratiche della pazienza, dello sforzo entusiastico, della meditazione.
Dobbiamo pregare per sviluppare dentro di noi le qualità dei bodhisattva del primo e secondo terreno, e determinarci a praticare tutto ciò che essi praticano. Se lo facciamo, ciò è veramente apprezzabile, e in tal modo, imitando gli esseri superiori, saremo di esempio a nostra volta.

Ora parlerò delle ultime stanze del Bodhisattvacharyavatara.

Si dice che rimarranno esseri nel samsara per una lunghezza di tempo vasta come lo spazio, e per tale durata il bodhisattva ha il coraggio di restarvi, per guidarli e aiutarli, perciò egli genera la mente altruistica e ottiene lo stato finale di un buddha. (st.55)
Quando i bodhisattva raggiungono il primo e secondo stadio del bodhisattva-bhumi ottengono completa libertà dalla morte e dalle rinascite, quindi scelgono il luogo dove possono maggiormente aiutare gli esseri, che trarranno perciò beneficio dalle loro abilità. Se invece quei bodhisattva vedono che la loro presenza non è così utile, poiché ne hanno appunto completa padronanza muoiono, pregando di ricevere su di loro tutte le sofferenze del samsara. Shantideva auspica quindi che per il potere del sangha già al livello di aryabodhisattva possano gli esseri sperimentare la gioia e la felicità. (st.56)

Nel testo è Shantideva a pregare in tal senso, ma comunque tutti i bodhisattva fanno altrettanto.
L’unica medicina e antidoto alle sofferenze del samsara è costituita dagli insegnamenti del Dharma, così la dottrina del Buddha è la sorgente di ogni felicità e gioia; per questo motivo possa mantenersi integra, e i suoi praticanti essere rispettati e sostenuti. (st.57)
Con tali parole si auspica anche che le comunità a indirizzo spirituale possano non avere problemi finanziari ed essere utili per quanti si rivolgono a loro, e che il Dharma possa fiorire e preservarsi fino alla fine dei tempi.
Poi Shantideva dice: “Grazie al tuo potere e ispirazione, Guru Manjushri, ho potuto generare la mente dell’illuminazione e ho potuto comporre questo lavoro, quindi a te mi prostro con rispetto e rendo omaggio. Devo la possibilità di contemplare il Dharma e sviluppare la mia mente alla gentilezza di tutti i miei Guru, quindi a voi miei Maestri, mi prostro”. (st.58)
Seguono infine alcuni versi contenenti la dedica della dedica, cioè dei meriti accumulati dedicando, ed essi sono ancora indirizzati al beneficio degli esseri, affinché possano liberarsi dal samsara e avere felicità.
Viene così ulteriormente mostrata la pratica della generosità.

Queste erano le stanze e i versi tralasciati prima, con i quali si conclude ora effettivamente la spiegazione del testo.

Nella stesura originale il Bodhisattvacharyavatara era in sanscrito e successivamente è stato tradotto in tibetano. La prima traduzione fu del ven. Bante Peltzeg (inizio ix sec. d.C.), poi c’è stata quella di Rincen Zangpo (958-1051), ed è bene se ne possiamo trovare versioni in inglese e in italiano.

Soprattutto bisogna cercare di ascoltare, riflettere, meditare e praticare, il che significa che dopo aver compreso i benefici del Dharma occorre portarne i contenuti nella nostra vita.
Questo Centro ha sostenuto molte spese sia per l’invito che per l’organizzazione dei corsi, molti hanno sopportato pazientemente tante difficoltà per ascoltarli, ma questa è stata un’ottima occasione per tutti noi, e ne sono molto contento. Ora abbiamo capito le ragioni per cui bisogna praticare il Dharma e questo è importante, ed è stato reso un grande servizio agli altri spendendo tutto quel denaro. Questi corsi sono stati di grande beneficio, anche se ci sono stati problemi per i visti e ritardi nello scambio della corrispondenza. Infatti, poiché le lettere che mi sono state scritte erano in inglese, ho dovuto cercare qualcuno che me le traducesse, poi ho risposto in tibetano affidando a una persona che invece non l’ha fatto l’incarico di informare del suo contenuto il Centro.
Comunque, a parte queste difficoltà iniziali, sono stato qui, mi sono trovato bene e ho goduto di buona salute. In futuro potrete riascoltare i nastri dei vari capitoli, leggere i testi relativi, invitare un Lama residente e altri Maestri, ma soprattutto bisogna cercare di avere rinascite future migliori, gradualmente fino all’ottenimento dello stato di buddha.
In breve, l’essenza di ciò di cui abbiamo parlato è che dobbiamo considerare le vite future più importanti di quella attuale, dal momento che sono molto più numerose, perciò dobbiamo impegnarci per mettere in pratica gli insegnamenti e migliorare anche quelle. E ogni tanto è bene che leggiate anche altri testi per approfondire quanto è stato insegnato. Penso inoltre che anche quando non c’è qui un insegnante, al sabato e alla domenica sia utile fare dei gruppi di discussione, in cui una persona per quindici minuti parla di qualche soggetto specifico e gli altri ascoltano, rilevando se è corretto o sbagliato, nel qual caso chiarificheranno i contenuti. È importante e utile farlo tre o quattro volte al mese, perché si evita così di dimenticare quanto è stato insegnato, e se si dimentica non si può neanche praticare. Qualche volta potete anche impegnarvi insieme nella puja a Tara.
Ora siamo tutti amici di Dharma e dobbiamo quindi reciprocamente offrirci gentilezza e aiuto.

Ci sono quattro tradizioni principali del buddhismo tibetano: Ghelug, Kaghyu, Sakya e Nyma.

Milarepa, il santo kaghyupa, condensa il lam-rim nei seguenti tre punti:
“Se non si contempla la natura della legge del karma, ossia come le azioni valide e le azioni negative producano risultati rispettivamente in accordo a esse, il potere sottile della caratteristica di maturazione del karma può portare una rinascita di insopportabile sofferenza. Perciò coltivate la consapevolezza riguardo alle azioni e ai loro effetti!

Se non si contemplano i danni dell’indulgere nei piaceri sensoriali, e non si fa cessare dal profondo l’attaccamento per essi, non si diventerà liberi dalla prigione dell’esistenza condizionata. Perciò coltivate la mente che percepisce tutto come un’illusione, e applicate l’antidoto contro l’origine della sofferenza!

Se non si è in grado di mostrare gentilezza verso tutti gli esseri viventi in ciascuno dei sei reami samsarici, verso di loro che una volta sono stati i nostri propri genitori, si cade nelle limitazioni del sentiero minore. Perciò coltivate la mente universale dell’illuminazione, che guarda a tutti gli esseri con grande amorevolezza e considerazione!”

Quindi, come è detto qui, si dovrebbe meditare su tali pratiche preliminari generali finché non si ottenga una ferma stabilità interiore al riguardo.

La scuola Sakya ha un breve testo dal titolo ‘Separarsi dai quattro attaccamenti’.
Delle quattro strofe di cui è composto, nella prima si dice che colui che è attaccato a questa vita non è un praticante spirituale e che non dobbiamo essere preoccupati solo della fama o delle ricchezze attuali, ma praticare anche per il miglioramento delle vite future, e se un laico facesse così sarebbe un grande praticante di Dharma.
Nella seconda strofa è contenuta l’esortazione a sviluppare una pura rinuncia e ad aspirare a un livello superiore di esistenza. Infatti se una persona è felice o si trova a suo agio in prigione non genererà alcun desiderio di fuggire; allo stesso modo se si è attaccati alla felicità transitoria e momentanea delle rinascite condizionate non si cercherà di liberarsi da esse.
La terza strofa recita: “Essere preoccupati solo di sé non permetterà mai di ottenere la mente altruistica di bodhicitta”. Un bodhisattva cerca la felicità e la liberazione per ogni essere, al contrario di noi che cerchiamo il nostro piacere e siamo preoccupati solo di noi stessi.
Nella quarta strofa si dice: “Afferrandosi solidamente al concetto di esistenza intrinseca non si potrà mai ottenere la giusta visione della vacuità” e questo è stato spiegato anche nel nono capitolo del Bodhisattvacharyavatara.

Tutti gli insegnamenti del lam-rim in essenza sono contenuti nelle quattro strofe di questo testo dei sakyapa, e per i ghelugpa ne ‘I tre aspetti principali del sentiero’ (rinuncia, bodhicitta, e corretta visione o vacuità), così che i primi due dei quattro attaccamenti a cui si riferisce il testo sakya risultano compresi nella rinuncia.

Nella scuola Nyma questi stessi concetti sono così espressi: “Invertire l’interesse per questa vita, invertire la mente che cerca il piacere momentaneo e transitorio, invertire la mente che cerca piaceri e felicità solo per sé, invertire la mente che concepisce un sé intrinsecamente esistente nei fenomeni”.

Le tre pratiche preliminari dei kaghyupa, le quattro separazioni dall’attaccamento dei sakyapa, i tre aspetti principali del sentiero dei ghelugpa, i quattro punti dell’invertire la mente dei nymapa concordano sul fatto che prima occorre analizzare i vantaggi del praticare e gli svantaggi del non farlo – soprattutto cercando di non rinascere nei reami inferiori – come secondo stadio bisogna liberarsi dal samsara attraverso la rinuncia, quindi si deve abbandonare la preoccupazione per la sola propria felicità e cercare di attuare il beneficio degli altri, unitamente allo sviluppo della saggezza suprema.
La comprensione della vacuità è il modo migliore per purificare ogni negatività, quindi dobbiamo realizzarla. Applicando il metodo e la saggezza si ottiene lo stato di buddha, dopodiché si vedranno esauditi i propri desideri e si sarà anche in grado di aiutare tutti gli esseri.

Secondo la tradizione, dopo aver terminato la spiegazione di un testo si ricomincia da capo, e adesso lo farò.

Il titolo del breve poema che commenterò è in sanscrito Bodhisattvacharyavatara e in tibetano Ciöngiug, e viene studiato e meditato dai praticanti di tutte le quattro scuole tibetane. Il grande bodhisattva Shantideva inizia con versi di omaggio ai buddha e ai bodhisattva, non solo, ma anche a tutti gli esseri degni di rispetto e, dopo l’omaggio reso con le prostrazioni, fa sorgere in sé la determinazione a praticare le sei perfezioni trascendentali.
Shantideva spiega che il suo testo tratterà degli insegnamenti di Buddha, e che quindi non vi si troverà niente di nuovo, o che non sia stato già insegnato e discusso. Egli si dichiara non molto esperto nell’arte della retorica e dice di mancare della convinzione di essere di beneficio agli esseri, però scrive perché il ricordo delle pratiche fatte non venga spazzato via dalla sua mente e perché, come continuazione della sua esperienza, chiunque abbia la sua stessa fortuna possa conoscere questo testo e goderne i benefici, e leggendolo o trasmettendolo possa comprenderne il significato. Per esempio noi lo abbiamo studiato, e dipenderà dal nostro impegno metterlo in pratica.
Siccome un’altra tradizione vuole che si termini un insegnamento con una citazione positiva e di buon auspicio, questa è la frase con cui ora concludo:

“Essendo andati a lavorare durante il giorno e venendo qui ad ascoltare gli insegnamenti la sera, impiegando tutta questa energia, si è accumulata una grande quantità di meriti, così adesso li dedichiamo per il beneficio di tutti gli esseri e perché il Dharma si preservi a lungo”.

Adesso recitiamo insieme l’ultima stanza del testo, meditando sul significato del dedicare i meriti:

“Mi prostro a Manjughosha,
per la cui gentilezza ho generato stati mentali virtuosi,
e mi prostro ai miei Maestri spirituali,
per la cui gentilezza li ho poi sviluppati.”

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