Breve biografia del ven. Ghesce Yesce Tobden
All’età di dodici anni fu affidato al ven. Dhamciö del monastero di Sera, dove iniziò gli studi monastici; poi quando raggiunse i diciotto anni sua madre morì, l’anno successivo anche la giovane sorella e subito dopo il padre. Così rimase solo e una parente cominciò ad appropriarsi dei beni della famiglia; quindi non esitò a vendere quelli rimasti e a offrirne il ricavato al proprio monastero, dove rappresentava un esempio di grande disciplina e impegno nello studio, e lì conobbe la terza reincarnazione di Ciüsang Rinpoce, con il quale Ghesce Tobden strinse uno straordinario legame, sentendolo come proprio guru radice, e iniziò a seguirne i consigli e a riceverne istruzioni in merito alla filosofia e alla pratica buddhista.
Egli era in quegli anni davvero povero, la sua porta era priva di serratura e non possedeva nulla che qualcuno potesse desiderare.
A quei tempi – si parla di settant’anni fa – ogni monaco doveva arrangiarsi da solo per procurarsi il cibo e quanto necessario alla sopravvivenza; non c’erano gli sponsor a pensare a loro, come accade oggi! Ogni monastero doveva provvedere autonomamente al vitto e all’alloggio dei monaci, e questi a volte ricevevano qualcosa, altre assolutamente nulla. Ghesce-là per sostenersi aveva della tsampa (farina tostata) cui aggiungeva dell’acqua (ogni tanto per esempio Ciüsang Rinpoce lo chiamava e gliene offriva un po’) o poteva prepararsi solo un po di tè nero, e questa condizione durò per i tanti anni in cui si dedicò con rigore allo studio della filosofia buddhista.
Allora nei monasteri in Tibet si usava tenere una volta all’anno un periodo di sessioni intensive di dibattito. Durante le pause la maggior parte dei monaci rimaneva presso il proprio monastero, invece Ghesce-là si recava a Mindugtzari, che è un posto meraviglioso in montagna, un posto santo vicino a Lhasa. Vestito del suo semplice e povero mantello di lana, e portando con sé solo i testi radice, una ciotola e un po’ di tsampa, mentre camminava memorizzava le scritture, poi si accampava dove capitava per affrontare la notte, senza che ci fosse alcun riparo. Poi il mattino seguente riprendeva il cammino, dirigendosi verso luoghi isolati e tranquilli, continuando a memorizzare i testi.
Fece così per molti anni ed era noto per questo.
Trascorreva la vita tra lo studio degli insegnamenti di Buddha Shakhyamuni, la loro memorizzazione e la meditazione, ma non solo: ne sperimentava personalmente il contenuto, li metteva in pratica. Lui non solo ‘ingoiava’, ma masticava ed assaporava il gusto degli insegnamenti! Si impegnò con sforzo per molto tempo; non fu così semplice, ma in questo modo divenne un grande meditatore.
Poi il Tibet venne prima minacciato dalla Cina e dopo breve tempo, nel 1959, questa invase infine il nostro territorio. In quel periodo Ghesce-là stava concludendo gli studi sui cinque grandi trattati, ma non fece in tempo a sostenere gli esami per diventare ghesce, e venne imprigionato per due volte, fino al 1962. Riuscì poi a scappare e, alla fine del 1963, dopo un anno e mezzo di traversie e dopo aver percorso a piedi il Tibet occupato, raggiunse attraverso i passi himalayani il confine nord-orientale dell’India. Lì però le guardie di frontiera lo legarono e imprigionarono, non credendo affatto alle sue parole. Infatti, essendo ormai il Tibet una frontiera chiusa e il flusso dei profughi interrotto, si pensava che nessuno potesse affrontare un tale viaggio da solo e senza mezzi, quindi per gli indiani Ghesce-là era una sospetta spia dei cinesi. Per fortuna fu aiutato da un suo amico, Tashi, (un tibetano una volta monaco e divenuto guardia di frontiera) che lo riconobbe e tra lo stupore generale confermò il suo racconto, garantendo per lui e ottenendone la liberazione.
Quindi Ghesce-là venne a sapere che i principali monasteri tibetani erano stati ricostruiti nel sud dell’India, e si rimise subito in viaggio per Buxa, dove riprese a studiare finché, a trentasette anni, al termine del completo ciclo di studi nel monastero di Sera-Me, ottenne il massimo risultato: il titolo di ghesce lharampa.
Diede quindi molti insegnamenti nel suo stesso monastero. Lui era particolarmente esperto nel Vinaya (il corpo di insegnamenti sulla disciplica monastica) e tra i monaci era rinomato per questo. Poi dal 1965 al 1967 venne invitato ufficialmente come docente di filosofia buddhista all’Università di Varanasi – essendo stato riconosciuto a Ghesce-là il livello di sapere proprio di un pandita indiano – e per tale incarico ricevette uno stipendio molto elevato. Quanti erano vicini a Ghesce-là rimasero sbalorditi e osservarono che aveva avuto una grande fortuna a ricevere tutte quelle rupie, che erano davvero un valore enorme!
Ma quando da ragazzo Ghesce-là aveva dovuto sperimentare la grande sofferenza per la perdita dell’intera famiglia, ciò aveva provocato in lui un cambiamento interiore decisivo e divenne la condizione per fargli generare la rinuncia. Quindi, come affermano molti Lama che lo hanno conosciuto, aveva realizzato la mente della rinuncia già da giovane, mentre ancora studiava in monastero con il suo guru radice.
Così, sebbene gli si fosse presentata la eccezionale opportunità di essere ben pagato dal governo indiano per insegnare, Ghesce-là maturava invece nel cuore il forte desiderio di abbandonare ogni tipo di benessere materiale e la profonda aspirazione di ritirarsi in montagna a meditare. Questi crebbero sempre di più finché, all’età di quarantaquattro anni e con il beneplacito del Dalai Lama, Ghesce-là lasciò il suo impiego di docente e finalmente poté coronare il suo sogno, ritirandosi in montagna sopra Mc Leod Ganj, a due o tre ore di cammino da Dharamshala, in una piccolissima costruzione in pietra che da allora è sempre stata la sua dimora abituale.
Era composta da un’unica stanza, grande appena per contenere un letto e un semplice altare, con una finestrina che era stata ricavata semplicemente disponendo le pietre a tale scopo. Una porta cadente si apriva su di un minuscolo cortile che proteggeva l’entrata dagli animali selvatici che vivono lassù, con un angolo in cui accendeva il fuoco per cucinare e dove teneva un contenitore di latta per riporvi un pò di cibo e le poche cose che possedeva. Lui ha vissuto lì per ventinove anni in ritiro, dedicandosi esclusivamente alla pratica.
Lama Yesce era molto amico di Ghesce Yesce Tobden, e fu tramite lui che Piero Cerri e Claudio Cipullo (tra i suoi primi discepoli italiani) lo conobbero. Provarono subito una grande ammirazione per Geshe-la e ne ricavarono grande ispirazione per la pratica spirituale. Quando nel 1976 Ghesce-là si ammalò molto seriamente, Lama Yesce alla fine lo convinse ad accettare un piccolo alloggio presso il Centro Tushita a Mc Leod Ganj, e lì anche Massimo Corona ebbe l’occasione di incontrare questo maestro magro e dall’aspetto dimesso, ma che emanava una speciale forza interiore. Pensarono allora di invitarlo a venire in Italia, però senza successo, finché lo stesso Lama Yesce propose al Dalai Lama di avere Ghesce Yesce Tobden come insegnante di Dharma all’Istituto Lama Tzong Khapa appena fondato.
Il Dalai Lama accolse con favore le sue parole e, quando qualche giorno dopo Ghesce Yesce Tobden ebbe un colloquio personale con lui, gli parlò della richiesta ricevuta e gli domandò: “Vuoi andare?”, ma quella volta Ghesce-là non rispose. Durante un secondo incontro, il Dalai Lama gli disse che aveva fatto delle divinazioni, che esse avevano dato un risultato molto favorevole, che quindi era opportuno andare in Italia, in questo Centro di studi buddhisti. Io sono sicuro che con la sua chiaroveggenza aveva visto che far venire Ghesce Tobden in Italia sarebbe stato di grande beneficio, che in termini di relazioni passate c’era un legame karmico fortissimo con gli italiani!
Fu così che nel 1979, obbedendo a Sua Santità il Dalai Lama, Ghesce Tobden partì con Luca Corona per arrivare all’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, e vi rimase fino a tutto il 1980, come primo Lama residente.
31 Luglio 1999
Dopo essersi manifestati i segni dell’ultima fase di assorbimento della coscienza sottile ed essersi così concluso l’intero processo della morte, il 13 agosto il suo corpo è stato portato in montagna, in un terreno del Tibetan Children Village sopra Mc Leod Ganj messo a disposizione dalla sorella del Dalai Lama, dove ha avuto luogo la cremazione, alla presenza di vari monaci e meditatori suoi discepoli.
Proprio lì è stato poi costruito uno stupa dell’illuminazione.
Per devozione e come pratica di accumulazione di meriti, moltissimi discepoli di Ghesce Yesce Tobden, tibetani e occidentali, hanno partecipato alla realizzazione di questo e di altri tre stupa, in cui sono state riposte le sue ceneri e altre preziose e rare reliquie.