Vacuità e Sorgere dipendente

Vacuità e Sorgere dipendente

Khensur Ciampa Thegciog
(Ass. Cult. La Ruota del Dharma – 2020)


Insegnamenti sulla vacuità tratti dall’esperienza
(Pagine 15 – 25 del libro)

Sviluppare la motivazione corretta

All’inizio di ogni pratica spirituale occorre riflettere su quale sia la nostra motivazione: si tratta di un punto estremamente importante! Ciò vale quando recitiamo mantra o leggiamo scritture, quando facciamo un ritiro, ma anche quando svolgiamo una qualsiasi azione a beneficio degli altri, e di certo prepararsi generando una buona motivazione è fondamentale sia per chi impartisce che per chi riceve insegnamenti. I Lama della tradizione Khadam del Tibet erano soliti dire: “Vi sono due atteggiamenti mentali fondamentali, uno all’inizio e uno alla fine!”. Il tipo di pensieri che generiamo intraprendendo un’azione ha un grande valore, e anche dopo che la si è conclusa, ve ne sono altri che è bene non manchino. Se non abbiamo una buona motivazione iniziale, può succedere che, per quanto ci impegniamo a livello fisico, verbale o mentale, non otteniamo alcun buon risultato.

Di sicuro è importante trascorrere la maggior parte del tempo in pratiche effettive, come un ritiro, la recitazione di mantra e così via, però dovremmo assolutamente fare la massima attenzione alla loro qualità, di gran lunga più importante della quantità di tempo che vi dedichiamo; la bontà di ogni pratica spirituale è appunto determinata da una corretta motivazione, e se ci si basa su questa, allora andrà sempre meglio, e allungheremo spontaneamente anche il tempo del nostro impegno. Se la motivazione con la quale intraprendiamo un’azione reca traccia di un tipo di interesse che riguarda la vita attuale, come il desiderio di essere felici in essa, di ottenere ogni genere di buone condizioni, di voler guarire da una malattia, o di evitare tutti i possibili altri ostacoli del momento, allora non si tratta di una pura pratica di Dharma. Così, impegnandoci ad esempio in una pratica di lunga vita sulla base dell’esclusiva motivazione di godere di longevità, essa potrà forse produrre l’effetto desiderato, ma questo sarà l’unico buon risultato ottenuto. Come possiamo trasformare una semplice pratica di lunga vita in una autentica pratica spirituale? Dobbiamo pensare in questo modo: ora dispongo di questa preziosa rinascita umana con le otto libertà e le dieci ricchezze, che sono davvero difficili da ottenere. Ho ottenuto questa rara opportunità, e devo assolutamente farne buon uso, al fine di raggiungere l’illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. Se però la mia vita sarà breve, la situazione è difficile, e io non potrò più agire per gli altri in maniera efficace. Per realizzare questo scopo ho bisogno di vivere a lungo, e con tale motivazione mi impegnerò ora in una pratica di lunga vita. È a questo punto che sarà diventata un’effettiva pratica di Dharma!

Lo stesso principio si lascia applicare in molti altri casi; per esempio, se siamo malati e desideriamo recitare dei mantra al fine di guarire, possiamo procedere come prima esposto, riportando la mente al la consapevolezza che adesso disponiamo della preziosa opportunità di aiutare gli altri raggiungendo l’illuminazione per il loro beneficio, e che non possiamo lasciarla inutilizzata. La preziosità della nostra esistenza umana La nostra attuale esistenza umana è una forma di vita assunta senza il minimo controllo da parte nostra, ma sulla base di karma e afflizioni, ed è caratterizzata dal dolore. Eppure, essa ci offre la possibilità di ottenere la liberazione dal ciclo di morti e rinascite condizionate, nonché la meta finale dell’illuminazione; per questo motivo, negli insegnamenti la si definisce ‘preziosa’. Se possedessimo un gioiello capace di esaudire i desideri, lo considereremmo di estremo valore, poiché ci farebbe ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno in questa vita. Comunque, se pure ne possedessimo in enorme quantità, tali gioielli non ci aiuterebbero in alcun modo a sviluppare la rinuncia, l’amore, la compassione e la visione corretta della vacuità. Grazie a una preziosa rinascita umana, che va perciò considerata di valore superiore alla gemma che esaudisce i desideri, saremo invece in grado di ottenere tutte quelle realizzazioni, e se la utilizziamo in maniera corretta, addirittura potemo raggiungere l’illuminazione in una sola vita con questo stesso corpo, e persino impiegarci meno tempo, come tre anni e tre cicli lunari e mezzo. Poiché attraverso di essa si può acquisire tanto, i vantaggi di possedere questa forma di esistenza vengono evidenziati con enfasi, anche se, naturalmente, il nostro attuale tipo di esistenza umana non è in alcun modo perfetta; è segnata da errori, caratterizzata da problemi, ci costringe a sperimentare i tre, sei e otto tipi di sofferenza (3), ed essendo un risultato di karma e afflizioni, è comunque da superare. Karma e afflizioni mentali: le cause dell’esistenza ciclica Abbiamo ottenuto questa vita sulla base di karma e afflizioni mentali, secondo un processo ben definito. Dapprima la mente si afferra alla vera esistenza; da tale ignoranza derivano quindi le differenti afflizioni, quali l’attaccamento, l’odio e così via; agendo sotto il loro influsso creiamo karma; questo ci spinge infine verso un tipo specifico di rinascita. Un’esistenza umana è da attribuirsi per certi aspetti a karma positivo, creato tramite la pratica della disciplina etica e delle altre perfezioni, come la generosità e la pazienza, e tramite pure preghiere. Tali cause virtuose sono necessarie, però non ci danno la facoltà di scegliere dove rinascere, e infatti la nostra è un tipo di esistenza ancora sotto il controllo del karma e delle afflizioni. Queste ci assoggettano da tempo senza inizio al dolore; siamo ancora oggi loro schiavi, e ci troviamo quindi ad essere spinti in rinascite negli inferni, nel reame degli spiriti famelici, nel reame degli animali e così via. Adesso, però, abbiamo la possibilità di fare qualcosa: almeno di tentare di scappare dal ciclo di morti e rinascite! Se non cogliamo ora questa opportunità, cosa potremo mai fare in futuro, quando ci troveremo nuovamente in dimensioni in cui non vi è alcuna possibilità di liberarsi, come nei reami inferiori? E anche se rinascessimo come esseri umani, potrebbe capitarci di vivere in un’area isolata o non civilizzata, priva d’insegnamenti che riguardano la causa, la natura e le radici dell’esistenza ciclica, e i metodi per liberarsene. In tali casi, che possibilità avremmo di cambiare qualcosa della nostra situazione? I Lama khadampa dicevano: “Adesso che disponiamo delle otto libertà e delle dieci ricchezze, dobbiamo davvero stare attenti. Siamo arrivati ad un punto decisivo, dal quale o si procede verdo l’alto o verso il basso. Fino ad ora tutto è sempre stato sotto il dominio delle afflizioni, perché esse controllano la mente, la quale a sua volta controlla le nostre azioni di corpo e parola. Ebbene, dobbiamo determinarci a impedire che ciò continui ad accadere, utilizzando gli antidoti adeguati”.

La nostra esistenza è dunque sorta sulla base di karma ed afflizioni. E l’ignoranza che si afferra alla vera esistenza e oscura la mente è a sua volta la loro radice, quindi è considerata l’effettiva radice anche dell’esistenza ciclica. Essa è una disposizione mentale che fa sì che un oggetto appare esistere dalla propria parte, e come tale la mente lo percepisce; in seguito a questo sorgono poi le altre afflizioni, come l’attaccamento e l’odio, e sotto il loro influsso intraprendiamo attività attraverso le quali creiamo il karma che ci proietterà verso una nuova rinascita nell’esistenza ciclica, e quindi verso nuova sofferenza. Quando ascoltiamo insegnamenti sulla vacuità, ciò che cerchiamo di scoprire è proprio cosa fare per indebolire, danneggiare e finalmente distruggere tale ignoranza. Ebbene, solo la saggezza che realizza la vacuità è in grado di annientare la disposizione mentale che si afferra alla vera esistenza. Le quattro nobili verità Il primo insegnamento del Buddha fu quello sulle quattro nobili verità. Dapprima egli parlò della verità della sofferenza, dei diversi modi in cui si manifesta, e di come riconoscerli. Una volta compresi questi, si può analizzare la causa della sofferenza, e nella seconda nobile verità è spiegato che ogni tipo di sofferenza sorge da karma e afflizioni. Con la terza nobile verità si afferma che, abbandonando le cause, si ottiene la cessazione della sofferenza. La quarta nobile verità, infine, espone il sentiero tramite il quale possiamo ottenere tale cessazione, ossia le pratiche per lo sviluppo della saggezza che realizza la vacuità. Tutto ciò è comparabile al processo di guarigione di un malato. Una persona sofferente per una malattia innanzi tutto si rivolge ad un medico, a cui ne spiega i sintomi. Appena il medico diagnostica la malattia che li ha causati, il paziente sarà senz’altro interessato a sapere quali siano le cure e le medicine adatte, e mentre gli viene descritta la strategia della cura, ascolterà con estremo entusiasmo, essendogli stato prospettato un percorso verso l’eliminazione dei propri disturbi, e quindi verso la guarigione. Similmente, attraverso le quattro nobili verità, all’inizio diventiamo consapevoli dei sintomi che sperimentiamo, ossia dei vari tipi di sofferenza. Avendoli riconosciuti, generiamo allora il desiderio di scoprire da dove derivi tutto questo dolore, ed è per questo motivo che la verità della causa della sofferenza viene esposta dopo la verità della sofferenza. Una volta compreso che il karma e le afflizioni mentali ne sono la causa, nasce quindi il desiderio di liberarsene. Infine, ascoltando gli insegnamenti del Buddha, che affermano che tramite la saggezza che ha la piena comprensione della vacuità ci si può liberare dalle cause di ogni sofferenza e perciò dalla sofferenza stessa, sorge quindi un profondo interesse verso il sentiero che mostra come generare tale saggezza e realizzare la verità della cessazione.

Perché meditare sulla vacuità

Avendo costantemente presente che la radice dell’esistenza ciclica può essere recisa attraverso la realizzazione della vacuità, la nostra pratica spirituale diventerà migliore e sempre più potente. Se agiamo con attenzione e con reale impegno saremo davvero in grado di fare molto. Nelle scritture si ripete di continuo: “Se desideriamo praticare, facciamolo adesso, altrimenti potremmo non farlo mai più”. Sfruttando la vita attuale in modo corretto, forse potremo avere un’altra preziosa rinascita umana nella prossima vita, sebbene normalmente sia raro, tuttavia anche se ottenessimo nuovamente una rinascita umana con i diciotto segni, questo non significherà necessariamente che riusciremo ancora ad utilizzarli bene. Abbiamo una grande responsabilità nei confronti delle nostre rinascite future, e se ora non agiamo adeguatamente, gli effetti si ripercuoteranno sulla nostra prossima vita e su quelle successive. Si può affermare che se non ci assumiamo ora la responsabilità che dovremmo, molte nostre vite future saranno rovinate, viceversa, se adottiamo un comportamento corretto, non solo ci staremo prendendo cura della nostra felicità futura, ma anche del benessere di molti altri esseri. Se una persona non capisce cosa occorre fare, la sua situazione resta bloccata, e non ci stupiremmo se non facesse nulla. Noi, invece, abbiamo tutte le possibilità, e se continuiamo a non agire, la nostra diventa un’occasione preziosa che è andata sprecata. Equivarebbe all’essere arrivati sull’isola del tesoro e, pur essendo stati consapevoli di poter portare a casa ogni genere di oggetti preziosi, ritornare da quel viaggio a mani vuote. A quel punto tutti ci deriderebbero, perché ci saremmo lasciati sfuggire un’occasione unica, e in effetti ci saremmo dimostrati davvero stupidi! Considerando le sei perfezioni, comprendiamo come sia di particolare importanza la saggezza che realizza la vacuità. Le prime cinque – la generosità, la moralità, la pazienza, lo sforzo entusiastico e la concentrazione – se prive della saggezza che realizza la vacuità, sono paragonabili ad un gruppo di ciechi che non riesce a raggiungere la propria meta, laddove se avessero come guida qualcuno in grado di vedere potrebbero andare ovunque. Ora, la saggezza che realizza la vacuità è come un occhio offerto alle prime cinque perfezioni, capace di guidarci fino all’illuminazione, a cui esse da sole non sono in grado di condurci. Buddha Shakyamuni è venuto in questo mondo, e ha insegnato, affinché superassimo tutti gli errori dell’esistenza ciclica e ogni tipo di sofferenza, e potessimo così entrare nel giardino dell’illuminazione. Egli stesso definiva i Sutra sulla Perfezione della Saggezza come i supremi fra tutti i sutra, poiché spiegano la vacuità in maniera diretta, e affermava che occorre considerarli come inseparabili da lui, poiché ovunque i Sutra sulla Perfezione della Saggezza si trovino, in quel luogo il Buddha è presente. Trascrivere questi sutra, leggerli, e fare loro offerte rappresenta le più eccellenti tra le pratiche, perché hanno come oggetto la vacuità. Viene affermato che si accumulano più meriti studiando insegnamenti il cui soggetto esplicito è la vacuità, seppure ancora si hanno dei dubbi in merito, che non praticando le altre cinque perfezioni per cento ere cosmiche.

Confrontando gli insegnamenti sulla vacuità con quelli sull’amore e la compassione, i primi risultano lineari, mentre meditare sui secondi è alquanto difficile. Quando Buddha raggiunse l’illuminazione, la prima cosa che disse fu: “Ho trovato istruzioni simili ad un nettare, ma non le insegnerò, poiché non vi sono esseri umani che le possano capire. Si riferiscono ad un fenomeno non composto, ad uno stato profondo che pacifica tutte le costruzioni mentali causate dall’afferrarsi alla vera esistenza, e che è chiara luce”. I segni sopra indicati – l’essere non composto, profondità, pacificazione, libertà dalle distorsioni e chiara luce – si riferiscono tutti proprio alla vacuità! Il riconoscimento del non sé nell’Hinayana e nel Mahayana C’è una sola porta che conduce alla pace della liberazione: la saggezza che realizza la vacuità. Gli arhat hinayana shravaka e pratyekabuddha hanno anch’essi dovuto basarsi su tale saggezza per raggiungere la pace della liberazione, lo stato nel quale ogni sofferenza dell’esistenza ciclica viene superata. Letteralmente, la parola arhat significa ‘distruttore del nemico’, intendendo con ‘nemico’ le afflizioni mentali di attaccamento, odio e via di seguito, anche dette ‘ostruzioni alla liberazione’. Tra i due tipi di ostacoli, le ostruzioni alla liberazione e le ostruzioni all’onniscienza, un arhat hinayana ha superato le prime, ma non le seconde. Le ostruzioni alla liberazione impediscono soprattutto l’ottenimento della liberazione, o nirvana, proprio come le nuvole impediscono di vedere l’azzurro del cielo, ma una volta che sono state spazzate via si ha finalmente la possibilità di ammirarlo. Le ostruzioni alla conoscenza, invece, impediscono di realizzare la piena e completa illuminazione di un buddha, e un arhat hinayana non le ha ancora eliminate. La differenza tra i due tipi di ostruzioni si può esemplificare così: se conserviamo dell’aglio in un sacchetto, questo ne assumerà l’odore; le ostruzioni alla liberazione sono paragonabili all’aglio, e l’arhat a una persona che lo toglie dal sacchetto; l’odore dell’aglio però continuerà a permearlo, e ciò è simile alle ostruzioni all’onniscienza, che quell’arhat ancora non ha eliminato. Gli arhat hanno superato le ostruzioni alla liberazione – ossia la mente che si afferra alla vera esistenza, le afflizioni che stanno alla radice dell’esistenza ciclica e anche le loro impronte – tuttavia permangono in loro le ostruzioni all’onniscienza – ossia ancora qualcosa di erroneo nella mente, simili a macchie lasciate dalle afflizioni – che gli arhat pratyekabuddha e shravaka non sono in grado di superare, mancando dei metodi specifici. Nel buddhismo possiamo distinguere tra due sentieri: l’Hinayana (Piccolo Veicolo) e il Mahayana (Grande Veicolo). Il termine ‘veicolo’ indica qualcosa che può essere portato o sostenuto; ebbene, i seguaci dell’Hinayana non sono in grado di sviluppare amore e compassione al punto da assumere su di sé la responsabilità di liberare tutti gli esseri dalla sofferenza e condurli alla felicità – aspirazione propria ai seguaci del Mahayana – e possono solo nutrire il desiderio di liberare se stessi. Buddha conosceva le differenti predisposizioni, sistemi di valori e interessi degli esseri, e sapeva che per alcuni anche solo pensare di sviluppare amore e compassione verso tutti gli altri, e di assumersi la responsabilità di liberarli dal samsara è qualcosa di insostenibile. Poiché, quindi, tale vasta visione non avrebbe potuto essere condivisa da tali individui, egli non cercò in alcun modo di forzarli, ma diede loro insegnamenti su i quattro ancoraggi della consapevolezza, i quattro perfetti abbandoni, le quattro gambe delle emanazioni magiche, i cinque poteri, le cinque forze, i sette rami per l’illuminazione, gli otto sentieri degli arya, pratiche grazie alle quali si può raggiungere la liberazione, e che quindi sono fondamentali, in particolare, per i seguaci dell’Hinayana. I loro testi non contengono alcuna spiegazione sullo sviluppo di bodhicitta, e anche se è probabile che tra loro vi siano praticanti che leggono e studiano le scritture mahayana, o che ne incontrano i maestri, ciò non basta a rendere le pratiche mahayana centrali per gli hinayanisti. Viceversa, nei grandi monasteri della tradizione mahayana tibetana si usano studiare anche le scritture hinayana, infatti i monaci devono apprendere come i loro praticanti percorrano i rispettivi sentieri dell’accumulazione, della preparazione, della visione, della concentrazione e del non più apprendimento, giungendo finalmente allo stato di arhat.

Descriviamo ora le varie tappe del Mahayana: dapprima i suoi praticanti percorrono il sentiero dell’accumulazione, distinto nei livelli di piccolo, medio e grande; quindi percorrono il sentiero della preparazione distinto nei livelli di calore, vetta, pazienza e Dharma supremo; poi, con il sentiero della visione, iniziano i dieci bhumi (terreni) dei bodhisattva, fino ad arrivare al sentiero della meditazione e del non più apprendimento; percorrendoli, essi eliminano gli ultimi ostacoli alla liberazione, e poi purificano anche le ostruzioni all’onniscienza. Alla fine del settimo terreno, i bodhisattva hanno abbandonato tutto ciò che gli arhat hinayana abbandonano durante l’intero cammino verso il nirvana. I secondi impiegano molto tempo a riflettere sugli svantaggi dell’esistenza ciclica e ad osservare la natura dei piaceri samsarici, arrivando al riconoscimento che tutto ciò che è proprio dell’esistenza ciclica è della natura della sofferenza; poi, quando alla fine ne emergono tramite lo sviluppo della saggezza che realizza la vacuità, in loro sorge una grande gioia, ed essi si assorbono in questo stato di pace – che assomiglia molto ad uno stato di sonno profondo – grazie al potere della concentrazione univoca. In ogni caso, però, hanno bisogno di essere risvegliati da questo samadhi, e ciò avviene per l’intervento di buddha e bodhisattva, che li rendono consapevoli di come non abbiano ancora abbandonato tutto ciò che è da abbandonare, e non ancora ottenuto tutto ciò che si può ottenere; a quel punto anche questi arhat si determinano ad entrare nel Mahayana, ma sebbene abbiano già superato tutto ciò che un bodhisattva alla fine del settimo terreno ha superato, devono percorrere i diversi sentieri del Mahayana dall’inizio, semplicemente per accumulare meriti. Essi hanno completato l’acquisizione di saggezza, avendo realizzato la vacuità, ma la loro pratica è priva di aspetti che riguardano il metodo, ovvero della generazione di amore, compassione e bodhicitta. Chi ha ottenuto l’illuminazione possiede due corpi: il corpo di verità (dharmakaya) e il corpo della forma (rupakaya). La causa sostanziale per il primo è la saggezza che realizza la vacuità, e sia gli shravaka che i pratyekabuddha la possiedono; essi però mancano delle cause sostanziali per ottenere il secondo, ossia di quell’amore e grande compassione sulla cui base si accumulano i necessari meriti. Un Sutra sulla Perfezione della Saggezza è anche detto Grande Madre, proprio poiché la saggezza che realizza la vacuità è quella madre che dà alla luce (illuminazione) shravaka, pratyekabuddha e bodhisattva, laddove il termine ‘illuminazione’, per i primi due, si riferisce ai rispettivi stati di arhat. In quei sutra è spiegato: “Tutti i Buddha dei tre tempi – del passato, del presente e del futuro – hanno raggiunto l’illuminazione basandosi sulla saggezza che realizza la vacuità”. Questa è una verità estremamente importante, e poiché è contenuta nei Sutra sulla Perfezione della Saggezza, anch’essi sono ritenuti tali.

La realizzazione della vacuità recide la sofferenza alla radice

La causa alla base di ogni problema dell’esistenza ciclica è la cosiddetta ‘visione della raccolta del transitorio’, che può essere superata solo tramite la meditazione sulla vacuità. Quell’oscurazione è la radice di tutte le altre afflizioni – attaccamento, odio, orgoglio, invidia e così via –, e si usa paragonare la meditazione sulla vacuità allo scoccare una freccia avvelenata che va a distruggere la forza vitale di un organismo maligno, paralizzando quindi tutte le sue funzioni. Se, per mezzo della saggezza che realizza la vacuità, riconoscessimo la non-esistenza dell’oggetto che viene ingannevolmente percepito dalla mente che si afferra alla vera esistenza, svanirebbero automaticamente anche tutte le altre afflizioni, come pure tutti gli errori che sorgono da esse, poiché avremmo distrutto la loro causa radice. D’altra parte, attraverso la meditazione costante sull’amore, la compassione e la bodhicitta, possiamo senz’altro diventare familiari con queste attitudini positive, ma non saremo in grado di superare la mente ancora oscurata che le sostiene. Tali qualità, di fatto, non possono essere un antidoto contro l’ignoranza, in quanto non si riferiscono al suo stesso oggetto, da osservare in maniera opposta; invece, per esempio, l’amore può fungere da antidoto all’odio – proprio perché i due fattori mentali osservano lo stesso oggetto e in maniera diametralmente opposta – e, per lo stesso motivo, la compassione può opporsi alla mente che desidera fare del male.

(prosegue …)

Introduzione dell’autore
alla seconda parte del volume

Proprio come la desideriamo noi, tutti gli esseri desiderano la felicità; e proprio come non la vogliamo noi, tutti gli esseri non vogliono la sofferenza. Ebbene, gli insegnamenti di Buddha contengono i metodi per eliminare la sofferenza e stabilire definitivamente la felicità, non solo per noi, ma anche per tutti gli altri.
All’inizio occorre coltivare l’amorevole gentilezza e la compassione verso ogni essere, e l’aspirazione di aiutarli ad abbandonare la sofferenza e trovare la felicità. Se non siamo in grado di sviluppare subito amore e compassione nei confronti di ognuno, almeno possiamo smettere di causare loro del male. Sempre più persone si stanno rendendo cont dell’importanza degli insegnamenti di Buddha, sia per se stessi che per la società. Seguendo il sentiero che lui ha mostrato, non danneggiamo nessuno, e procuriamo benefici a tanti. D’altra parte, se non riusciamo a praticarli, il difetto è nostro, e non degli insegnamenti!
Quando siamo affllitti perché non posiamo ottenere ciò che desideriamo, o quando siamo costretti a vivire in condizioni spiacevoli, questi disagi e tutte le altre sofferenze sono il risultato delle nostre stesse azioni scorrette commesse nelle vite precedenti, che sono state motivate dalle afflizioni mentali, come l’attaccamento, la rabbia e l’orgoglio, a loro volta sorti a seguito della concezione errata che si afferra ad una vera esistenza del sé.
Tuttora abbiamo tale tipo di falsa concezione ma, se la indeboliamo, possiamo minare anche la forza delle afflizioni mentali che da essa derivano. Proprio come danneggiando le radici di un albero ne vanno a risentire i suoi rami, foglie e fiori, allo stesso modo, diminuendo il nostro afferrarsi ad una vera esistenza, indeboliremo le afflizioni mentali, e saremo in grado di eliminare le azioni non valide che porterebbero infelicità in futuro.
Se solo riflettiamo adeguatamente su come i fenomeni non esistano nel modo in cui lo ritiene la concezione che si afferra ad un vero sé, ciò ci condurrà alla comprensione che essa è una visione errata. A meno che non seguiamo il sentiero che porta alla realizzazione della non vera esistenza del sé, non riusciremo mai ad ottenere la liberazione dal ciclo continuo di morti e rinascite, e neppure riusciremo mai ad ottenere lo stato del nirvana hinayana degli shravaka (uditori) e dei pratyekabuddha (realizzatori solitari), né quello mahayana dei bodhisattva. Infatti, non ci sono buddha, bodhisattva, pratyekabuddha, né shravaka, del passato, presente o futuro, che non hanno percorso il sentiero che conduce alla realizzazione della vacuità di una vera esistenza. Questo è il sentiero lodato da tutti i buddha e bodhisattva, e se desideriamo la pace e la felicità per noi stessi e per gli altri, dobbiamo assolutamente impegnarci nello studio della vacuità, ed acquisirne la piena e profonda comprensione intuitiva.
Se le reliquie con le ceneri del Buddha fossero poste in stupa costruiti con le sette gemme preziose, se essi fossero pari in numero agli atomi dell’intero universo, e se gli esseri senzienti di tutti i tre reami facessero offerte a tali stupa, verrebbero creati incommensurabili meriti. Ebbene, se qualcuno semplicemente facesse una copia dei Sutra sulla Perfezione della Saggezza (Prajnaparamita) e li offrisse agli altri, egli creerebbe meriti ancora più vasti, poiché i sutra sulla suprema saggezza-madre presentano direttamente il significato della vacuità, ed è dalla perfetta comprensione di questa che tutti i buddha e bodhisattva dei tre tempi hanno ottenuto le rispettive realizzazioni.
Quando la nostra pratica è sostenuta dalla comprensione della vacuità, siamo in grado di eliminare ogni sofferenza, così come la suprema medicina è in grado di curare ogni malattia. I Sutra sulla Perfezione della Saggezza sono di immenso beneficio, poiché piantano i semi della saggezza suprema nelle menti dei praticanti, e ciò alla fine sopraffarrà tutte le svariate sofferenze dell’esistenza condizionata, allo stesso modo in cui piantando il seme di una pianta medicinale, si produrranno radici, fusto, rami, foglie, fiori e frutti, ognuna di tali parti con le sue specifiche proprietà curative. Volendo usare una metafora moderna, possiamo pensare a quanto accade con un generatore elettrico, capace di fornire un tipo di energia che renderà possibile il funzionamento di molti svariati apparecchi, quali radio, condizionatori, frigoriferi, treni, e così via.
Ancora, si può paragonare la perfezione della saggezza alla Terra, che sorregge tutte le cose che si trovano sulla sua superficie. Ci si potrebbe chiedere: “Perché lodare tanto la perfezione della saggezza? Non sono forse l’amore e la compassione la causa dell’ottenimento della buddhità?” Ebbene, se l’amore e la compassione non sono sostenuti dalla saggezza che comprende la non intrinseca esistenza delle tre sfere di soggetto, oggetto e azione, essi non diventeranno la causa per l’ottenimento della buddhità.
La saggezza che realizza la vacuità è la causa principale per tagliare la radice dell’esistenza condizionata; l’amore e la compassione vengono sviluppati come preliminari per tale realizzazione, ma una volta che essa è stata acquisita, così come un monarca universale è accompagnato dalla propria corte, essi sono sostenuti e vanno al seguito della saggezza che percepisce direttamente la vacuità, ed è a quel punto che diventano la causa per l’ottenimento dell’illuminazione!
Una volta, Buddha chiese ad Indra: “Cosa sceglieresti tra la perfezione della saggezza e una Terra pura colma di sacre reliquie?” Indra rispose che avrebbe preferito possedere la prima, e ne spiegò così il perché: “Non è che io manchi di rispetto per le reliquie, ma sia i buddha che le loro reliquie provengono dalla pratica della perfezione della saggezza ed è per il rispetto che nutrono verso di essa che gli esseri ordinari venerano i buddha e le loro reliquie. Con la sua affermazione, Indra paragona i buddha e le loro reliquie alle persone che circondano un monarca, le quali ricevono rispetto e onori proprio a causa della loro vicinanza al re. Inoltre, similmente ad un vaso al cui interno si trova la ‘gemma che esaudisce i desideri’, che è considerato prezioso per via di ciò che contiene, gli esseri rispettano il santo corpo di Buddha perché contiene il dharmakaya, il corpo appunto di saggezza.
Gli alberi sono di molti differenti tipi, dimensioni e aspetti, ma tutti offrono una particolare protezione cui viene dato un unico nome: ombra. Allo stesso modo, alle sei pratiche della disciplina etica, della generosità, della pazienza, della perseveranza entusiastica e della concentrazione viene attribuito lo stesso appellativo di ‘perfezione’ quando sono associate con la saggezza della prajnaparamita. Copiare i testi sulla prajnaparamita ed offrirli agli altri fa creare più meriti di quelli derivanti dal condurre allo stato di arya un numero di esseri uguale agli atomi del mondo; e spiegare il significato di quei testi ne fa creare una quantità ancora maggiore!
Ci sono diciassette livelli di spiegazioni sui vari crescenti tipi di benefici della perfezione della saggezza, e tutti i meriti derivano da essa. Senza un germoglio non ci possono essere stelo, foglie o fiori, e se non c’è la saggezza che realizza la vacuità non c’è possibilità di diventare un buddha. E se nel mondo non appare nessun buddha, non ci saranno bodhisattva, shravaka o pratyekabuddha, e nessuno che recherà vasti benefici agli esseri senzienti. È per via del sole che sorge che tutti gli abitanti della terra possono godere del suo calore e della sua luce, ed è per via della nascita di un buddha nel mondo che le persone ricevono da lui insegnamenti che sono in grado di praticare; poi possono generare bodhicitta, e produrre così incredibili benefici anche per gli altri esseri. Se i naga lasciassero il Lago Manasarowa, tutti i laghi e fiumi del mondo si prosciugherebbero, la vegetazione seccherebbe e non ci sarebbero raccolti, e i loro tesori non verrebbero più trovati. Allo stesso modo, se manchiamo della saggezza che percepisce la vacuità, non ci saranno quell’amore e quella compassione che hanno il supporto di tale saggezza, non ci sarà alcuna generazione di bodhicitta, e nessuna illuminazione risultante.
In effetti, tali ottenimenti dipendono proprio dall’amore e dalla compassione che si accompagnano e sono sostenuti dalla saggezza che ha la piena e profonda comprensione della vacuità! In accordo a una profezia del Buddha, nel 1357 d.C. nacque in Tibet Lama Tzong Khapa, annunciato da presagi di grande auspicio. All’età di tre anni egli venne posto sotto la tutela del suo primo maestro, e per i successivi trentatré anni fu guidato negli studi dai più grandi yogi ed eruditi del Tibet. Combinando lo studio e la meditazione con la perfetta rinuncia, egli divenne esperto nelle pratiche dell’Hinayana, del Mahayana e del Vajrayana. La sua fama come insegnante cominciò a diffondersi quando era ancora novizio, e crebbe sempre più, finché fu riconosciuto ovunque come un impeccabile maestro di conoscenza e pratica del Dharma. Avendo dettagliatamente studiato i trattati dei grandi pandita indiani Nagarjuna e dei suoi figli spirituali Aryadeva, Buddhapalita, Bhavaviveka, Chandrakirti e altri ancora, riguardanti il significato definitivo degli insegnamenti di Buddha sull’autentica natura della realtà, entrò quindi in ritiro per meditarvi profondamente, e infine ne ottenne la perfetta e piena comprensione.
Ispirato da quell’esperienza di chiara realizzazione, compose poi in un solo giorno l’Essenza delle Buone Spiegazioni – la lode a Buddha Shakyamuni per il suo insegnamento sul sorgere dipendente, che insieme alla versione estesa dal titolo Essenza delle Buone Spiegazioni, che Differenzia tra i Significati da Interpretare e Quelli Definitivi, rappresenta il cuore delle spiegazioni di Lama Tzong Khapa sui sutra, laddove sono diciotto, nel complesso, i volumi da lui scritti per chiarificare tutti i significati di sutra e tantra.
Molti discepoli di Lama Tzong Khapa hanno composto commentari su quella lode; il mio insegnamento si baserà sul Commentario del grande Lama Phurbu Ciog; da esso ho anche estratto i titoli delle varie sezioni [della seconda sezione di questo volume] in cui è suddiviso ogni capitolo.

Acharya Ghesce Ciampa Thegciog
Monastero Nalanda, Lavour – Francia – Autunno 1984

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